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sabato, Giugno 1, 2024
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COSI’ IL TAR HA REINTEGRATO IL CONSIGLIO
Marano, la sentenza integrale. 2

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Nondimeno non va sottovalutata la peculiarità della fattispecie concreta in esame, nella quale, come si è subito posto in evidenza già nella parte iniziale di questa motivazione, il punto di attacco della stessa ricostruzione dei fatti proposta dall’amministrazione degli interni è costituito dall’ingerenza dell’organizzazione (“clan Nuvoletta”) nel regolare svolgimento delle ultime consultazioni elettorali (pag. 6 già citata della relazione di accesso), ingerenza che si è però concretizzata non già nell’appoggio al sindaco Bertini uscito vincitore dalle urne, ma al suo oppositore, Spinosa Giuseppe. Questa peculiarità della vicenda, già sopra sottolineata, se non può condurre ad un mutamento di orientamento interpretativo, che questa Sezione non ha motivo in questa sede di prendere in considerazione, deve tuttavia realisticamente indurre a una particolare attenzione e severità nel riscontro, voluto dalla Corte costituzionale

(dec. 103/1993 cit.), sia in ordine all’accertamento “di situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusioni anche indirette degli organi elettivi con la criminalità

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organizzata”, sia sul punto della “stringente consequenzialità tra l’emersione, da un lato, di una delle due situazioni suddette, “collegamenti” o “forme di condizionamento”, e, dall’altro, di una delle due evenienze, l’una in atto, quale la compromissione della libertà di determinazione e del buon andamento amministrativo nonché del regolare funzionamento dei servizi, l’altra conseguente ad una valutazione di pericolosità, espressa dalla disposizione impugnata con la formula “tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica>>. Nel bilanciamento tra gli interessi pubblici, entrambi di pari rango costituzionale, che si contrappongono nelle fattispecie applicative della misura straordinaria dello scioglimento del consiglio comunale ex articolo 143 t.u.e.l., costituiti da un lato dall’elettorato passivo, ma anche attivo, e dall’altro dalla prevenzione e dal contrasto di gravissime forme di criminalità organizzata a tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, non può non avere un peso importante la circostanza, ora nuovamente sottolineata, per cui la maggioranza che regge l’amministrazione fatta oggetto di scioglimento non è quella appoggiata alle elezioni dalla camorra, ma quella che ne ha subito l’avversione e l’inimicizia. Di fatto il provvedimento impugnato finisce per sancire una sorta di “blocco” della democrazia nel comune di Marano, poiché significa che l’esito delle elezioni, benché contrario al candidato della camorra, è nella sostanza irrilevante. Queste considerazioni non implicano certamente l’inamovibilità del governo locale che sia espressione della parte politica che si è contrapposta in sede elettorale ai candidati sostenuti dalla malavita organizzata. Ben può accadere, infatti, che abbia a verificarsi comunque la collusione degli organi elettivi con la criminalità organizzata ed i conseguenti ulteriori presupposti per l’adozione della misura dissolutoria degli organi elettivi. Ma – ed è questo il punto che si vuole evidenziare – occorrerà, in tal caso, quando le elezioni abbiano sancito la vittoria di chi si è opposto al candidato sostenuto dalla malavita, che l’accertamento delle collusioni anche indirette degli organi elettivi con la criminalità organizzata, nonché la ricordata “stringente consequenzialità” con gli esiti di compromissione della libertà di determinazione e del buon andamento amministrativo, nonché del regolare funzionamento dei servizi, ovvero di grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica, sia particolarmente attento e convincente. Perché altrimenti il surriferito bilanciamento tra gli opposti interessi rischia di apparire troppo sbilanciato in favore delle esigenze di prevenzione, con eccessiva compressione del rispetto del gioco democratico nelle elezioni locali.
Occorre adesso procedere all’analisi dei singoli elementi addotti dall’amministrazione a sostegno del decreto di scioglimento.
Si è già ampiamente detto dell’irrilevanza, ai fini qui considerati, del fatto in sé della presenza, nel consiglio comunale, di quattro consiglieri ritenuti in qualche modo vicini ad ambienti della malavita organizzata.
L’ulteriore tassello offerto nella ricostruzione della commissione d’accesso è costituito dalla posizione di tre assessori nominati dal sindaco Bertini: Nuvoletti Massimo, Chianese Raffaele e Amitrano Alberto. Il primo è assessore alle politiche culturali, giovanili e dello sport e sarebbe “controindicato”, ancorché “immune da pregiudizi penali”, in quanto “nipote di Nuvoletta Aniello, Angelo ed Antonio, tutti personaggi di spicco del clan Nuvoletta”. Il secondo è assessore alle periferie e al decentramento amministrativo ed è cognato della moglie di Nuvoletta Eduardo, figlio del deceduto “boss” dell’omonimo clan, Nuvoletta Lorenzo. Il terzo è assessore con delega alla polizia municipale e alla viabilità ed ha per genero il nipote per parte di madre dei già citati Nuvoletta Aniello, Angelo ed Antonio, tutti personaggi di spicco del clan Nuvoletta.
Sul punto parte ricorrente insiste sulla labilità delle parentele (o affinità), sulla mancata considerazione sociologica dell’alto grado di agglutinamento sociale che caratterizza i piccoli centri della Campania (“parentele di paese” estese e ramificate a coprire cospicui gruppi di soggetti) che renderebbe del tutto privi di significato i riferiti legami.
In merito il Collegio rileva l’apoditticità dell’indicazione nella stessa relazione della commissione di accesso, che nessun ulteriore elemento significativo offre sul punto, affidando la deduzione (o l’illazione) al puro e semplice dato anagrafico. Dato anagrafico che per gli assessori Chianese e Amitrano è oggettivamente non assumibile ex se ad elemento indiziario utile, trattandosi di mere affinità e neppure di rapporto di parentela. Quanto alla posizione dell’assessore Nuvoletti, che pare oggettivamente capace di maggiore significato, trattandosi di parentela di terzo grado con esponenti di spicco del clan Nuvoletta, deve osservarsi che la controindicazione è attenuata e validamente contrastata dalla circostanza, ricordata dai ricorrenti e non contraddetta dall’amministrazione, per cui il predetto Nuvoletti Massimo è altresì nipote di un vice questore di polizia ed appartiene a un ramo della famiglia Nuvoletta che “da tempo ha preso decisamente le distanze” dal ramo della famiglia implicato in coinvolgimenti camorristici. Non senza considerare, infine, che l’assessore Nuvoletti è delegato alle politiche culturali, giovanili e dello sport, ramo dell’amministrazione che non pare convergente sulla linea degli interessi tipici della malavita organizzata (edilizia, appalti, concessioni etc.).
La commissione di accesso affronta dunque il capitolo dei dipendenti dell’amministrazione comunale, indicando cinque dipendenti (più un soggetto destinatario di incarico professionale) o pregiudicati o sottoposti a procedimenti penali o legati per vincoli di affinità a pregiudicati.
Parte ricorrente replica osservando che si tratta di soli 5 dipendenti, che non rivestono qualifica apicale, su 219 in servizio presso il comune di Marano, donde l’assoluta implausibilità di un condizionamento dell’azione amministrativa dell’ente; che questi dipendenti erano già in servizio quando il comune di Marano era governato dalla commissione prefettizia (insediatasi a seguito del precedente scioglimento per infiltrazioni camorristiche avvenuto nel 1991), che non li aveva ritenuti incompatibili; aggiunge che il sindaco, proprio al fine di segnare una soluzione di continuità con le precedenti gestioni, ha assunto le figure apicali mediante contratti a tempo determinato con soggetti estranei alla realtà locale ed ha provveduto alla selezione di quadri intermedi attingendo a selezioni compiute dal Formez; precisa infine che due dei cinque dipendenti indicati dalla commissione di accesso sono stati in realtà prosciolti dagli addebiti, e di questo la commissione non avrebbe tenuto conto.
Le argomentazioni di parte ricorrente appaiono persuasive e dimostrano ulteriormente sia l’insufficienza qualitativa dell’istruttoria, che si è limitata in sostanza all’elenco meccanico di tutte le situazioni e fatti che potessero in qualche modo prestarsi a una ricostruzione dell’elemento collusivo con la malavita organizzata, senza però curare adeguatamente il momento di sintesi in ordine alla vera significatività degli elementi raccolti.
Si adduce, quindi, nella ricostruzione dell’amministrazione, la circostanza che un componente della commissione edilizia, Carandente Tartaglia Giuseppe, risulta essere nipote di tale Carandente Tartaglia Mario, ritenuto affiliato al clan Nuvoletta. Ma anche in questo caso non si allega nessun fatto che possa indurre a ritenere che questo componente, incensurato e non implicato direttamente, a quel che consta dagli atti, in fatti legati alla vita del clan malavitoso, ammesso e non concesso che il rapporto di parentela indicato possa rivestire in sé un significato utile ai fini di questo accertamento, abbia agito per determinare atti – o sia comunque parte attiva in atti e procedimenti – rivolti a consentire una gestione del rilascio dei titoli edilizi favorevole alla delinquenza organizzata.
Nel capitolo terzo la relazione di accesso si sofferma su alcuni settori dell’attività amministrativa in cui si sarebbero rilevate illegittimità.
La commissione censura in primo luogo due episodi omissivi, relativi alla mancata repressione di occupazioni in parte abusive di suolo pubblico da parte di due esercizi pubblici (bar) gestiti da soggetti legati al sodalizio criminale egemone (per interposte persone e comunque con riferimento a soggetti ritenuti in qualche modo vicini al clan camorristico). Ma la stessa relazione di accesso rileva, tuttavia, a pag. 14, che tali episodi possono al più “indurre ad ipotizzare l’esistenza in capo alla civica amministrazione quanto meno di un condizionamento psicologico negativo”. Si tratta peraltro di episodi sostanzialmente di lieve entità (rilascio di titolo all’occupazione di suolo pubblico con piccoli chioschi; mancato rinnovo del titolo) e in parte opinabili (mancanza di concessione edilizia per la realizzazione di queste strutture, asseritamente necessaria sulla base di una puntigliosa disamina della strumentazione urbanistica e del regolamento edilizio) che non appaiono concludenti nella direzione della dimostrazione dei presupposti per far luogo al provvedimento di scioglimento oggetto di giudizio.
Il capitolo quinto della relazione di accesso è dedicato all’abusivismo edilizio. Depurata l’indagine dal riferimento al generale e generico fenomeno dell’abusivismo edilizio e alla mancata sua repressione (nonché alla mancata gestione delle domande di sanatoria edilizia), che è riferimento privo di significato in una realtà territoriale deturpata da decenni di omesso governo del territorio (anche se la difesa di parte ricorrente ha depositato una statistica relativa all’abusivismo edilizio in Marano che proverebbe i risultati positivi nel contrasto al fenomeno conseguiti dalla giunta Bertini), occorre soffermarsi sull’episodio più rilevante, concernente la mancata repressione della lottizzazione abusiva della zona G4 di rispetto cimiteriale di inedificabilità assoluta, realizzata soprattutto da tale Felaco Giuseppe, ritenuto affiliato al clan Nuvoletta e tra i destinatari della già richiamata ordinanza dell’8 ottobre 2003 del g.i.p. presso il Tribunale di Napoli.
Ma anche questo episodio, pur nella sua indubbia gravità, come esempio di amministrazione illegittima e di inefficace cura degli interessi pubblici, risulta privo della concludenza ad esso riconosciuta dall’amministrazione. E ciò sia perché (come chiarito dalla stessa commissione di accesso- pag. 21) “trae origine da un iter burocratico amministrativo risalente a una fase antecedente l’attuale assetto politico dell’Ente rinnovato con le elezioni del 2001, ma pur sempre riconducibile al 1995, epoca di gestione dell’attuale sindaco Bertini”; sia perché non vi è prova in atti che i predetti abusi edilizi non fossero preesistenti (le domande di condono attestano l’ultimazione delle opere in epoca anteriore al 1994), sicchè analoghi addebiti di inerzia avrebbero potuto essere rivolti alla commissione prefettizia che ha operato dopo il 1991; sia perché, infine, effettivamente dal 1995 ad oggi sono intervenute nuove misure di condono (nel 1994 e nel 2003) che hanno reso oggettivamente complesse le procedure repressive. Deve inoltre sottolinearsi che gli atti censurati dalla commissione di accesso, indicati come sintomatici della denunciata collusione o sudditanza, si collocano nell’anno 2000 (ingiunzione 23 del 15 giugno 2000) e nell’anno 2001 (ordinanza di sospensione n. 7 del 5 aprile 2001), ma anteriormente alle elezioni (svoltesi nel maggio 2001) da cui è nata la consiliatura oggetto di scioglimento.
Più in generale, per questo, come per altri episodi di asserita illegittimità di atti dell’amministrazione comunale (ivi inclusi quelli in precedenza riferiti), la sommatoria analitica, nella relazione della commissione di accesso, dei singoli fatti non va al di là della dimostrazione di inefficienze amministrative e di dubbi di legittimità degli atti, ma non riesce a costruire un’ipotesi convincente di collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o di forme percepibili di condizionamento degli amministratori stessi, che avrebbero dovuto costituire le premesse su cui basare la dimostrazione della sussistenza del presupposto per la misura dissolutoria, né tanto meno riescono a dimostrare l’ulteriore presupposto, sul piano effettuale, del provvedimento di scioglimento, vale a dire l’incidenza di queste illegittimità in termini di compromissione della libera determinazione degli organi elettivi e del buon andamento dell’amministrazione, nonché del regolare funzionamento dei servizi, ovvero di pregiudizio grave e perdurante per la sicurezza pubblica.
Così nel capitolo sulle concessioni edilizie la commissione di accesso si diffonde in una puntigliosa e analitica critica della legittimità di talune concessioni edilizie rilasciate nel 2002 che non solo non appare risolutiva sul piano del collegamento con finalità sviate di favore per la malavita organizzata, ma resta dubbia e opinabile sul piano stesso della certezza delle conclusioni in ordine alla effettiva illegittimità di tali atti amministrativi (che rimane, in definitiva, da provare).
Nel capitolo sesto si affronta il tema degli appalti pubblici, ma, al di là della complessa disamina delle intricate vicende (anche giurisdizionali) dell’appalto dei lavori di ampliamento del cimitero – che evidenziano soluzioni amministrative discutibili, in parte derivanti dal succedersi non sempre coordinato degli atti, ma non pongono in luce chiari elementi di sviamento in favore di interessi criminali – non emergono altro che piccoli episodi di varianti in corso d’opera asseritamente eccessive o indebite. Per la ditta Errichiello costruzioni – gravata da informativa antimafia sfavorevole – la stessa commissione dà atto che per l’importo dei lavori dati in appalto non occorreva la previa liberatoria prefettizia.
Il capitolo settimo, sul commercio all’ingrosso su aree pubbliche nel mercato ortofrutticolo, mette in luce una decennale inerzia che, però, come efficacemente replicato dai ricorrenti, potrebbe essere del pari imputata anche alle precedenti amministrazioni, ivi inclusa la già citata commissione prefettizia.
Come osservato criticamente dai ricorrenti, il capitolo ottavo della relazione della commissione di accesso, intitolato “altre vicende amministrative rappresentative di palesi illegittimità”, sembra collocarsi piuttosto sul piano del controllo amministrativo di legittimità degli atti degli enti locali, che non sul piano, in questa sede pertinente, della ricostruzione della sussistenza dei più volte richiamati presupposti utili ai fini dell’adozione delle misure straordinarie di cui all’articolo 143 del t.u.e.l. Nelle diecine di pagine di questo capitolo della relazione nulla è detto circa il profilo più importante, che avrebbe dovuto dare un significato di insieme ai vari ed eterogenei episodi di illegittimità rilevati, vale a dire circa gli elementi di collegamento di tali asserite illegittimità con lo scopo sviato di favorire la malavita organizzata (ad es. al par. 3, relativo agli appalti pubblici di servizi, dopo una doviziosa analisi di taluni rapporti e connesse asserite illegittimità, relativi al servizio di n.u., si rileva, a pag. 69, che nulla sussiste come controindicazione mafiosa a carico delle ditte appaltatrici; lo stesso dicasi per le ditte interessate dal servizio di refezione scolastica: cfr. pag. 73 relazione).
Nelle pagg. da 74 a 90 della relazione viene svolta un’accurata analisi sulle assunzioni di personale. Numerose sono le illegittimità rilevate. Molte di queste richiederebbero, peraltro, appositi accertamenti, che non possono certo svolgersi in questa sede (v’è difatti da ritenere che le parti interessate avrebbero di che replicare alle tesi esposte dalla commissione d’accesso e il giudizio finale sulla legittimità di talune di queste procedure spetterebbe pur sempre al competente giudice del lavoro). Ma questo profilo diviene del tutto ininfluente di fronte al dato centrale, di diretta e sicura rilevanza in questo giudizio, che è costituito dall’assenza da qualsivoglia indicazione circa le controindicazioni in termini di collegamento malavitoso di tale procedure della cui legittimità si dubita.
Il par. 5 (da pag. 90 a pag. 97 della relazione) esamina la gestione dei lavori di somma urgenza con affidamento diretto. Anche in questo caso la commissione, dopo un’accurata esposizione della normativa applicabile (legge “Merloni” e connesso regolamento generale), denuncia molte illegittimità e una gestione raffazzonata e approssimativa degli atti da parte del competente ufficio. Ma anche in questo caso, a pag. 97, la commissione “evidenzia che nulla è emerso agli atti delle Forze dell’Ordine a carico delle ditte suindicate”. Anche in questo caso, la conclusione che dall’esame della relazione istruttoria trae il Collegio è che la commissione abbia svolto un ottimo lavoro di controllo amministrativo sugli atti e sulla gestione comunale, portando alla luce gravi fenomeni di illegittimità che avrebbero validamente sorretto misure repressive sugli atti e sulla gestione (se l’ordinamento le prevedesse e se non fossero stati abrogati taluni previgenti strumenti di controllo statale sugli enti locali). Ma non ha offerto alcun elemento utile ai fini della ricostruzione dei presupposti cui la legge riconnette la misura di cui all’articolo 143 del testo unico degli enti locali.
Si profilano dunque illogiche le conclusioni tratte dalla commissione di accesso sulla base delle indagini compiute.
Debole si palesa in particolare, come più volte rilevato, la ricostruzione del nesso tra le illegittimità amministrative riscontrate e i pretesi vantaggi, non puramente episodici e casuali, per la locale criminalità organizzata. La ricostruzione di un significato univoco della congerie di dati e riferimenti acquisiti è stata affidata ad elementi oggettivamente poco convincenti, opinabili, incapaci, pur nel loro assieme, di costituire quegli elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica, che costituiscono, nella legge, i presupposti dell’adottato decreto di scioglimento. La labilità del significato e della concludenza degli elementi raccolti ai fini di una coerente prospettazione circa la sussistenza degli elementi di condizionamento e circa gli altri presupposti di legge, è acuita e resa più grave nel caso in esame dalla ricordata peculiarità della fattispecie, che avrebbe richiesto uno sforzo dimostrativo maggiore e più severo, al fine di dimostrare l’assunto di base su cui si regge la ricostruzione proposta dall’amministrazione, vale a dire l’avvenuto ridisegno dei rapporti, dopo le elezioni del 2001, nella direzione di un avvicinamento tra il gruppo di governo espresso dal sindaco eletto e il clan malavitoso locale, che pure aveva “puntato” sul candidato antagonista del Bertini. Al fine, cioè, di dimostrare l’inutilità, ai fini di una sana vita democratica nel comune di Marano, della scelta degli elettori di votare in maggioranza per la coalizione opposta a quella sostenuta dal clan locale.
Per tutti gli esposti motivi il ricorso deve giudicarsi fondato e va accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati.
Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di causa.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA, SEZIONE I^, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, così decide:
dichiara inammissibile l’intervento ad opponendum proposto da Santoro Antonio e altri;
dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse l’impugnativa di cui al punto g) del ricorso introduttivo, relativa al decreto prefettizio di sospensione del consiglio comunale;
accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla il decreto del Presidente della Repubblica del 28 luglio 2004 di scioglimento del consiglio comunale di Marano.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Napoli nella Camera di Consiglio del 27 ottobre 2004.
Il Presidente
Il Relatore

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