23 C
Napoli
sabato, Aprile 27, 2024
PUBBLICITÀ

Violenza choc, uccisa per difendere l’auto

PUBBLICITÀ

L’urlo disperato: «Mamma, mamma spostati». La ragazza capisce che sta per consumarsi la tragedia: l’uomo che le ha appena rubato l’auto ingrana la retromarcia e travolge la donna, Piera Calanna, 52 anni, due figli: Lisa, 25 anni, testimone dell’uccisione della mamma e Beniamino, 27enne, per tutti Benny. Il dramma si consuma in pochi istanti in un vialetto tra villette a schiera di via Vicinale Amodio, zona residenziale di Giugliano, Licola alta, come dicono qui. La solita mattina; la vita che riprende lentamente. Il film dell’uccisione di Piera è scritto in una decina di metri di vialetto davanti casa: travolta dall’auto della figlia guidata dal ladro che gliela sta portando via. Nessun tentativo di bloccarlo o di aggrapparsi alla vettura: Piera è corsa in strada attirata dalle urla della figlia, per capire cosa stesse accadendo e si piazza dietro l’auto che il ladro sta portando via. Sono le 8,45. In casa Odierno Lisa e Benny sono pronti per uscire: lavorano in redazione al «Notiziario news dei comuni flegrei» quotidiano di area che diffonde 3000 copie al giorno. Il loro papà, Vittorio, è l’editore. Lisa esce per prima: un saluto alla mamma, una carezza a Eros, il pastore tedesco che fa la guardia nel giardinetto della villetta a un piano. Benny la raggiungerà dopo. Lisa si mette al volante della Punto nuova. Uscita dal garage, la ragazza esce su via vicinale Amodio per dirigersi verso Pozzuoli. Ma s’accorge di aver lasciato a casa il suo computer portatile, strumento di lavoro indispensabile per lei. Poco male, ritorna sui suoi passi, ferma la Punto davanti al cancello, un colpo di clacson come segnale alla mamma, e s’avvia verso l’ingresso. Piera s’affaccia. «Mamma ho dimenticato il computer». »Aspetta, te lo porto io», le risponde. In quel momento Lisa ha la sensazione di avere qualcuno dietro di lei. Si volta di scatto e vede un uomo entrare nella sua Punto. Venticinque anni, t-shirt bianca, jeans. La ragazza scatta verso il cancello, raggiunge l’auto, tenta di aprire lo sportello. Ma il ladro ha fatto scattare la sicura; lei non s’arrende: batte i pugni contro il finestrino e urla: «Esci dall’auto, esci…». Le urla attirano l’attenzione di Piera che s’affretta a raggiungere la figlia. Il papà non è in casa. Lisa si para davanti alla Punto. «Di qui non passi». Il bandito inizia a premere sul gas, facendo compiere all’auto piccoli balzi. Lisa non si sposta; il bandito fa qualche metro in retromarcia e si ferma. Nel frattempo Piera è nel vialetto, dietro all’auto. L’uomo fissa la ragazza, forse le urla qualcosa dal chiuso dell’abitacolo. Poi, ingrana la retromarcia. Lisa intuisce le sue intenzioni e urla alla madre di spostarsi. È una frazione di secondo: la Punto, lanciata, travolge Piera, la sbalza di una manciata di metri. La donna cade a terra, batte con il capo. Il bandito non si ferma: Piera, immobile sul selciato, viene nuovamente travolta. La Punto arriva alla fine del vialetto, una rapida manovra, lo stridio degli pneumatici e sparisce. Le urla attirano Benny, che si precipita sulla madre, le fa la respirazione bocca a bocca mentre un vicino, anch’egli attirato dal trambusto, prova con il massaggio cardiaco. Dalle case partono le telefonate al 118, al 112. Arriva l’ambulanza: inutili i tentativi di rianimazione. I carabinieri – coordinati dal comandante provinciale Gaetano Maruccia – dopo le prime notizie fanno scattare la caccia all’uomo con elicottero e unità cinofile: una, forse due persone. Tocca a Lisa descrivere l’assassino della mamma. E saranno i dettagli che lei fornirà a mettere gli investigatori sulle tracce dei ladri.

MAURIZIO CERINO






Piera, manager-ombra di una famiglia di editori


PUBBLICITÀ

Giugliano. «Guance piene e sorriso facile», Piera Calanna viene ricordata come una donna amabile, piena del sole e del calore tipico della terra in cui era nata e dove è vissuta fino al 1987, la Sicilia. Dalla provincia di Catania si era trasferita nel napoletano, insieme con il marito Vittorio Odierno e i loro due figli ancora piccoli, Benny e Lisa, che ora hanno rispettivamente 27 e 25 anni. Da anni i membri della famiglia Odierno gestiscono tutti insieme una piccola casa editrice e curano la pubblicazione di un giornale locale «Il Notiziario Flegreo». Piera era una donna determinata, molto presente anche sul lavoro ed era benvoluta dai dipendenti della ditta in via Montagna Spaccata, al confine tra Quarto e Pozzuoli. Non aveva un ruolo specifico, così come succede nelle piccole ditte a conduzione familiare: si dava da fare per aiutare i suoi familiari e teneva i rapporti con i fornitori, con gli enti, con gli inserzionisti. Con lo stesso trasporto si è sempre dedicata alla famiglia.

TONIA LIMATOLA





L’urlo: mamma levati quello ti ammazza


Benny raccoglie l’ultimo respiro della madre Poi chiama il padre: corri a casa


Giugliano. «Le ho urlato: mamma spòstati. Per carità, mamma: spòstati che quello lì ti travolge! Lei mi guardava, mi ricordo bene i suoi occhi che mi guardavano fermi. Non si è mossa. Nemmeno di un centimetro. E quello lì gli è passato sopra con le ruote, a marcia indietro per due volte. Ma come si fa? Mi chiedo: ma che modo è mai questo? Come si fa a veder morire sotto gli occhi la propria madre per colpa di un balordo e di una stupida, inutile, maledetta automobile?». Lisa ha venticinque anni e i capelli ricciolini come quelli di mamma sua. Solo che i suoi sono quasi biondi, mentre Piera, che «era un angelo e le piaceva ospitare sempre tanta gente in casa, specialmente giovani come i suoi due figlioli», ce li aveva invece scuri. Indossa una blusa blu notte e pantaloni neri, Lisa. E ha gli occhi pesti, per il troppo piangere che mai si consuma. È disperata. Da stamattina Lisa parla a scatti, frasi brevi, è ancora sotto choc. In casa, ripete monotona come in una cantilena: «Ma che modo è questo, ma che modo è mai questo… ma davvero si può morire così?». Mattinata di orrore. Ha vissuto in presa diretta l’omicidio della mamma, ha urlato perchè lei si salvasse, ha dovuto arrendersi di fronte a quel lago di sangue, alla tragedia ormai consumata. Lisa, che studia all’università di Salerno e frequenta nel contempo la redazione del Notiziario, il giornale di famiglia, era legatissima alla donna uccisa. Mamma e figlia. Una vita quasi in simbiosi, fatta di amore e mille sguardi, di improvvise distanze e teneri abbracci. Vicine da sempre, e specie da quando in questa villetta il papà Vittorio non abitava più. Strade che si separano, gli accidenti della vita. Mamma e papà non vivevano più insieme. Perciò, ieri mattina è toccato all’altro figlio, Benny, 27 anni, giornalista, avvertire suo padre dell’orrore che si era appena consumato. Una telefonata. Un sussurro, la voce rotta dall’emozione: «Papà corri…». E lui, Vittorio, che da quasi vent’anni edita il Notiziario news dei Comuni flegrei, si è precipitato qui col cuore in gola e l’anima in tumulto. È arrivato quando era ormai troppo tardi. Tardi per dare soccorso. E per tutto. Lei, Piera, era morta pochi istanti prima fra le braccia del figlio Benny, accorso nel viale alle grida della sorella: il giovane ha potuto rubarle un estremo, balenante, tenerissimo sguardo. Benny ha tentato anche di inseguire a piedi l’automobile guidata dal killer, ma dopo qualche metro ha dovuto arrendersi. Ora è caccia all’uomo. I cani lupo addestrati saltellano veloci fra queste campagne ricolme di immondizia che nessuno raccoglie. Chiaro e dettagliato il racconto che Lisa ha fatto ai carabinieri. È probabilmente grazie alla sua memoria che ci si mostra non pessimisti sulla possibilità di individuare l’omicida. O gli omicidi, perché sul posto potrebbero infatti esserci stati in due. 25 anni, camicia bianca e jeans e poi… E dopo la deposizione, per la giovane Lisa è ripreso il tormento. E tutto quel dolore, mai immaginabile. Come si fa? Come si fa a veder morire così chi ci ha donato la vita? Ma è modo questo? Ma può mai essere il modo, questo? E poi i dubbi. E i tarli più assurdi che si mangiano l’anima: colpa mia, forse è stata colpa mia… se non fossi tornata a casa per prendere quel computer… Ore 14, papà Vittorio raccoglie i rami secchi nel vialetto di casa. Li mette da parte, lento e metodico. Poi prende una scopa e spazza il pavimento del giardino. Incombenze inutili, di chi dentro si sente morire e non sa più che fare. E si gira intorno. Resta fermo, si rigira. Fa tenerezza, così solo e confuso mentre il dolore lo vince avvolgendolo come in una morsa. E si decide, alla fine. Chiama a sé i cronisti. Parla sottovoce, calmo. E scaglia le sue frecce acuminate: «Il lavoro delle forze dell’ordine viene sistematicamente vanificato – dice – La nostra giustizia mette troppo spesso in galera le persone per bene e non i criminali. Questo Stato spesso difende solo i suoi interessi e non quelli dei cittadini. Qui rubano ogni giorno nelle case, portano via le automobili, è un inferno dove sembra che non esista nessuna legge. Sì, credo che a uccidere mia moglie siano stati italiani, gente legata alla criminalità locale. L’assassino? Si è accorto benissimo che stava calpestando il corpo di mia moglie. Non c’è dubbio: lo ha fatto apposta. Qui da noi non c’è zona che non sia avvelenata di malavita. Stiamo infettando anche le regioni del Nord. Io sono nato a Pozzuoli, ho lavorato a Catania per venticinque anni. Non ho dubbi: oggi in Sicilia si vive molto meglio che qui». È un fiume in piena, quest’uomo divorato dal dolore. E continua: «Chi viene catturato deve restare in gabbia. Altro che indulto e leggi permissive, quelle sono bestie da non liberare mai. Solidarietà? E perché dovrei riceverne? Non è successo niente di straordinario. Qui se una persona da un minuto all’altro non c’è più e non per colpa di una disgrazia non significa niente di straordinario. Gli assassini? Spero per la mia serenità che non li prendano. La legge italiana consente a persone del genere di continuare a vivere. Io non credo che gente che commette questi reati abbia il diritto di continuare a vivere. Perciò spero di non venire a sapere chi è stato. Mai».

ENZO CIACCIO





La rabbia della gente: neri e slavi, un inferno




Giugliano. «È assurdo, siamo diventati il giocattolo dei criminali di ogni razza, tipo e religione che si aggirano in zona. Italiani, neri, slavi: grazie agli assi viari che circondano le nostre villette e consentono la fuga ad alta velocità, da anni ci assaltano le case, le spogliano di ogni ben di Dio, rubano le automobili, terrorizzano le nostre donne. E poi scappano, svanendo come fulmini nel dedalo di arterie a scorrimento veloce. E noi restiamo qui a lamentarci addosso, a bestemmiare nell’impotenza, indifesi e beffati: sapete che il commissariato di polizia competente sta a Giugliano, cioè a più di quindici chilometri dalla nostra rabbia? E che quelli di Licola e di Pozzuoli, che sono molto più vicini, quando telefoniamo per chiedere aiuto ci rispondono sempre siamo spiacenti ma non abbiamo competenza e non possiamo intervenire?». Via Amodio è un vialetto polveroso. Una larga coperta di lana sistemata sul cancello di ingresso protegge briciole di intimità e oscura la vista a quelle lacrime fluenti. Eros, il cane lupo di casa Odierno, abbaia spaesato e va avanti e indietro con il capoccione triste, ciondolante rasoterra. «Povera signora Piera, povera siciliana: quel cane le era assai affezionato, la seguiva ovunque lei andasse. E adesso, povera bestia, sembra pure lui fuori di testa». Villetta a un solo piano, con giardinetto e garage interrato. Dentro, nel garage, è rimasta un’Alfa 147. Dentro, in quella villetta oscurata da un bagliore di pietà, si sta consumando un dolore assoluto e immenso. Amici. Familiari. Vicini. Una piccola folla di occhi umidi. Che abbraccia e stringe, singhiozza e impreca. In cielo, l’elicottero dei carabinieri disegna larghi cerchi colmi di aria. Nicola D’Alterio abita in una villetta poco più avanti: «L’altro giorno – racconta – sette slavi sono penetrati nel garage di mio cognato per rubargli l’automobile. Una donna li ha visti e si è messa a gridare. Loro, per nulla intimoriti, l’hanno minacciata e stavano per aggredirla. A un americano, venuto qui l’estate scorsa, l’automobile l’hanno rubata già tre volte. A me hanno rubato in casa già due volte. La denuncia? Ma non mi faccia ridere». Romeo Gaudino ricorda un altro brutto episodio, che risale a qualche mese fa: «Una sera vidi arrivare ad alta velocità una ragazza alla guida di una Fiat 500: correva a perdifiato lungo il vialetto. E suonava il clacson all’impazzata. Pensai: questa è matta. Poi guardai meglio. E mi accorsi che la ragazza era inseguita da due brutti ceffi su una moto. Cercava di salvarsi, disperata. Qui è come in un film western. Però ci manca lo sceriffo. E i nostri, maledizione, non arrivano mai». C’è un signore con la giacca a quadrettini e l’aria distinta di chi non ama i disordini: «Per un anno – racconta – ho tentato di convincere proprietari e inquilini del parco, circa trecento famiglie, a dotarci di sbarre e di cancelli per poteggerci dai malintenzionati. Alla fine, tutto è andato a monte: impossibile un accordo. E ho restituito anche i soldi prima raccolti». Roberto guarda nel vuoto. È giovane, sui trent’anni: «Ringraziamo l’indulto – sussurra come parlando fra sè – qui i ladri si dividono in due tipi: gli italiani, che rubano anche le Fiat Punto per poi guadagnarci ricattando i proprietari, e gli slavi, gli zingari che rubano le Bmw e le Mercedes perché sono auto che a loro servono per trainare le roulotte. Mia moglie viaggia su una vecchia 500 che ha percorso già 150mila chilometri. Un’auto nuova? No grazie, dice, ho troppa paura». Di sera, qui è buio pesto. E per conquistare un autobus bisogna camminare per quasi un chilometro. Nel buio pesto. «La settimana scorsa – racconta un vecchio – da casa del dentista hanno portato via perfino il barbecue». Eppure, poco lontano da qui, nei weekend si fa sempre festa grande. Impero Uno, Impero Due, Egizia: sono le discoteche dei guaglioni alla moda. Pubblico prediletto: quello massivo che spende facile, odora di gel e non pretende troppo. Arriva dal cuore antico di Napoli, dai vicoli via Tangenziale, un quarto d’ora e ci sei: quando la sera diventa notte e fa bollicine la voglia di divertirsi, di stordirsi, di contraddirsi. Oggi però tira aria di morte. Di una morte sbagliata, ingiusta. Lungo la strada che va alla vecchia discarica la Fiat Punto DD345MF presa a leasing, quella per la quale è stata uccisa Piera, giace inutile e abbandonata. Sul sedile di destra, un navigatore satellitare, uno specchietto, un borsellino, una penna, fazzolettini di carta. Dietro, le copie sparse del Notiziario, il giornale di famiglia.

ENZO CIACCIO





«Qui ci si sente indifesi, lo Stato sia più presente»



Licola e Varcaturo per lui non sono solo dei nomi. Raffaele Cantone, magistrato della Dda, quella zona la conosce bene: una periferia che è tutt’assieme Giugliano, Pozzuoli e Castelvolturno e, nello stesso tempo, è terra di nessuno. A Giugliano c’è nato e ci vive. Ed è un po’ il «local hero». La notizia del mortale furto d’auto di Piera Calanna, l’ha raggiunto mentre era in viaggio. E l’ha ferito. «La criminalità predatoria, quella che colpisce laddove i cittadini sono più indifesi, è in crescita anche al Sud, purtroppo» esordisce. E colpisce nelle periferie che ormai sono abbandonate a se stesse. «Licola e Varcaturo sono più periferia delle periferie. È una zona che negli anni è cresciuta di popolazione in modo esponenziale. C’è bisogno di una rimodulazione del controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine». Nel senso che dovrebbero fare di più? «Per una popolazione di trenta-quarantamila persone c’è bisogno di fare di più. Ma occorre non trascurare le responsabilità della politica e degli enti locali. Quella è una zona rimasta fuori da qualsiasi programmazione urbana e sociale. Non ci sono servizi e non c’è presenza di vita pubblica. Più che uno sviluppo c’è stata una devastazione, con interi condomini spuntati dal nulla tra le campagne». Perché aumenta la criminalità predatoria? «Perché cresce la tossicodipendenza, soprattutto il consumo di cocaina che rende ancora più spregiudicati». Una delle prime reazioni della gente è stata quella di attribuire l’omicidio a un extracomunitario. «È il frutto di quanto sta accadendo in tutto il Paese. Lo testimonia l’episodio del pullman sequestrato in Piemonte. È scattata una fobia, che ha una sua giustificazione, ma che non va alimentata. Questo tipo di criminalità al Sud è paradossalmente meno scatenata proprio per la presenza della camorra. Gli immigrati, soprattutto quelli dell’Europa dell’Est, temono più le reazioni dei boss che quella delle istituzioni. È noto che la camorra ha fatto da argine a questo tipo di reati». Il marito della vittima si è augurato che l’assassino, una volta catturato, non sia subito scarcerato. «Il dolore immenso, al quale mi associo, giustifica una reazione così forte. Ma nel merito non la posso condividere. Parlare di scarcerazioni facili è un luogo comune. Nella mia carriera non ho mai visto persone condannate per omicidi così efferati che vengano immediatamente scarcerati». È voce diffusa che l’aumento della criminalità sia legato anche alle scarcerazioni per l’indulto? «È un altro luogo comune. Se tante persone sono uscite per l’indulto è perché le carceri erano piene, perché ne erano stati catturati tanti. E, comunque, l’indulto è stata una decisione politica e non della magistratura».

PIETRO TRECCAGNOLI




IL MATTINO 17 MAGGIO 2007

PUBBLICITÀ

RESTA AGGIORNATO, VISITA IL NOSTRO SITO INTERNAPOLI.IT O SEGUICI SULLA NOSTRA PAGINA FACEBOOK.

PUBBLICITÀ

Ultime Notizie

Il direttore dell’Osservatorio Vesuviano: “L’ultima scossa tra le più forti di questa crisi bradisismica”

Una forte scossa, registrata dai sismografi alle ore 5:44 di questa mattina, è stata avvertita forte e chiara dalla...

Nella stessa categoria