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sabato, Aprile 20, 2024
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L’omicidio in carcere e il rito di affiliazione, un filo rosso che collega Cutolo alla ‘ndrangheta

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C’è un filo rosso che lega Raffaele Cutolo, il professore di vesuviano, con i vertici della ‘ndrangheta. Un contributo storiografico fondamentale è stato dato da Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro. Il magistrato ha condotto importanti inchieste contro le cosche ed è uno dei più importanti saggisti del crimine calabrese.

LE PAROLE DI GRATTIERI

Negli anni Gratteri ha tenuto diversi seminari in giro per l’Italia spiegando la genesi della criminalità calabrese, durante i quali ha effettuato un excursus nel mondo napoletano. Parlando del capo della Nco e del suo ruolo nella Prima Guerra di ‘ndrangheta, come rivelato dal procuratore calabrese “Mico Tripolo è stato ucciso nel carcere di Poggioreale da due killer ergastolani assoldati da Cutolo quando non era famoso. Cutolo era importante perchè aveva i soldi in carcere e chi ha soldi comanda. Lui paga i due killer per uccidere don Nico Tripodo perchè i De Stefano gli danno in cambio le regole della Ndrangheta per formare la Nuova Camorra Organizzata”.

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I PIZZINI DELLA ‘NDRANGHETA

Nell’inchiesta ‘Rinascita–Scott’ la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha sequestrato i pizzini contenenti il rito d’affiliazione dei giovani ‘ndranghetisti: “Buon vesparo, saggi compagni. Siete conformi a battezzare questo locale? A nome dei nostri vecchi antenati, i tre cavalieri spagnoli, Osso, Mastrosso e Carcagnosso, battezzo questo locale. Se prima lo conoscevo per un locale di transito e passaggio, da ora in poi lo riconosco per un luogo sacrosanto e inviolabile dove si battezzano i picciotti”. 

IL RITO DI AFFILIAZIONE ALLA NCO DI CUTOLO

Nel Castello Mediceo di Ottaviano e nel carcere di Poggioreale Cutolo ha battezzato gli affiliati della N.C.O. Termini come santista, sgarrista e picciotto sono stati utilizzati dal boss napoletano, che li ha ripresi proprio dalla ‘ndrangheta per formalizzare la struttura dell’organizzazione. Il rito celebrato dal camorrista recitava: “Battezzo questo locale come lo battezzarono i nostri tre vecchi antenati. Se loro lo battezzarono con ferri e catene, io lo battezzo con ferri e catene. Alzo gli occhi al cielo, vedo una stella volare, è battezzato il locale”. La cerimonia criminale resa celebre anche dal film di Giuseppe Tornatore, sceneggiato dal giornalista Giò Marrazzo.

LA SCENA DEL FILM

 

 

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