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Detenuto napoletano picchiato durante la rivolta in carcere, i nomi degli 11 arrestati

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“State zitti e fate quello che diciamo e non vi succede niente, non vi ammazziamo. Dateci le chiavi del primo piano destro, dobbiamo andare nella cella nove”. Minacciosi e spietati, non solo con il detenuto vittima della loro ferocia, ma anche con gli agenti della penitenziaria del carcere di Avellino. Sono gli 11 detenuti arrestati ieri per aver massacrato di botte un altro detenuto 25enne in un raid punitivo nel carcere campano. Volevano le chiavi del “primo piano terra destro”, quelle che aprono i cancelli di sbarramento. I due agenti hanno provato a resistere, ma sono stati sequestrati e percossi mentre uno degli aggressori riusciva a sfilare le chiavi dalle loro tasche.

E così è scattato il pestaggio a sangue del detenuto Paolo Piccolo, avvenuto il 22 ottobre scorso e raccontato nelle 25 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip di Avellino Elena Di Bartolomeo, al termine di rapide indagini coordinate dalla procura guidata da Domenico Airoma. La vittima ha subìto la mutilazione dell’orecchio ed è tuttora in prognosi riservata presso l’ospedale Moscati di Avellino. Ha rischiato di morire, si è salvato solo grazie all’intervento di altri detenuti. Infatti il capo di imputazione configurato da pm e Gip è quello di tentato omicidio.

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Negli atti ci sono i dettagli di quella notte di urla, botte e violenza. “Pezzi di merda dateci le chiavi altrimenti fate una brutta fine, fate quello che vi diciamo altrimenti questa sera non rientrate a casa”, gridavano gli indagati. Erano armati di bastoni e altri oggetti acuminati. La vittima se l’è vista brutta: “Colpi di bastone alla nuca e calci in faccia” inflitti con “particolare brutalità” gli hanno causato, si legge nell’ordinanza “ferite multiple da taglio al capo e al tronco, trauma cranico con ematoma celebrale e trauma avambraccio destro”. Ed a causa delle ferite riportate “anche da taglio… la prognosi era ancora riservata alla data del 30.1.2025”. Quando si riuscirà a riportare la calma nel carcere, verranno contati e sequestrati 14 bastoni in legno, una spalliera metallica e una spranga metallica. Erano stati ricavati “dal danneggiamento di tavoli in uso alle camere detentive”.

Il secondo obiettivo della spedizione punitiva era Paolo Piccolo, trasferito nel carcere di Bellizzi Irpino solo pochi giorni prima da Rebibbia. Gli assalitori hanno raggiunto la sua cella attraversando diversi cancelli e, una volta entrati, lo hanno massacrato con una ferocia inaudita. Il bilancio dell’aggressione è stato devastante: 22 coltellate, fratture multiple alle costole e al braccio destro, un polmone perforato e il cranio sfondato. Da allora, Paolo Piccolo è ricoverato in rianimazione in condizioni disperate, senza mostrare segni di miglioramento.

A cinque mesi dall’accaduto, le indagini coordinate dalla Procura di Avellino, con il supporto della Squadra Mobile e del Nucleo Investigativo della Polizia Penitenziaria, hanno portato all’esecuzione di undici misure cautelari in diversi istituti penitenziari italiani. Gli arrestati sono accusati di tentato omicidio, resistenza a pubblico ufficiale e sequestro di persona.

Tra i fermati figurano:

Crisci Sabato Francesco, 20 anni, di Avellino
Osemwegie Nelly, 36 anni, della Nigeria
Tarallo Valentino, 31 anni, di Napoli
Zona Raffaele, 30 anni, di Campobasso
Paudice Agrippino, 26 anni, di Napoli
Capone Giovanni, 27 anni, di Napoli
Gallo Luigi, 42 anni, di Sarno (SA)
Benedetto Luciano, 40 anni, di Salerno
Flammia Giovanni, 38 anni, di Napoli
Milo Pasqualino, 42 anni, di Cercola (NA)
Pisapia Vincenzo, 28 anni, di Avellino

Le indagini hanno portato all’identificazione degli 11 detenuti che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbero preso parte al pestaggio; nel corso delle perquisizioni effettuate poche ore dopo il raid erano stati sequestrati scarpe, tute e scaldacollo, su cui sono stati effettuati accertamenti tecnici.

Le prove raccolte dagli investigatori, tra cui le immagini delle telecamere di sorveglianza e il sequestro di armi rudimentali costruite dai detenuti, hanno permesso di ricostruire la dinamica della violenza e identificare i presunti responsabili. Nel pieno di questo scenario di terrore, la famiglia di Paolo Piccolo lancia un appello disperato: “Vogliamo giustizia e verità su quanto accaduto a Paolo. Vogliamo la testimonianza di chi era detenuto insieme a Paolo, perché lui conosce tutta la verità. Paolo non può parlare, poiché è ancora ricoverato in rianimazione da quasi cinque mesi e le sue condizioni restano gravi”. Da mesi attendono risposte, ma finora le autorità carcerarie sono rimaste in silenzio.

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