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sabato, Maggio 25, 2024
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Malato terminale muore a Poggioreale, esposto in Procura dopo istanza senza risposta

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Ci risiamo. Ancora una volta il carcere di Poggioreale diventa la tomba di qualcuno. Questa volta è toccata al 70enne Camillo Corallo che, dopo una notte trascorsa con la bombola dell’ossigeno, è stato trasferito al Cardarelli: le sue condizioni erano ormai disperate
nel primo pomeriggio è deceduto. La moglie e la figlia, assistite dall’avvocato Gandolfo Geraci, hanno subito presentato una denuncia-querela in Procura, chiedendo l’esecuzione dell’autopsia e il sequestro del fascicolo del magistrato di Sorveglianza. A darne la notizia Il Roma. L’uomo, già nel 2016 si era visto ribadire l’incompatibilità con il carcere dal tribunale del Riesame, poi, nel maggio scorso, la sua condanna a otto anni era divenuta definitiva e così per l’uomo (originario di piazza Mercato) si sono riaperte le porte del carcere di Poggioreale.

La morte di Corallo: il giallo dell’istanza rimasta senza risposta

Corallo infatti da tempo soffriva di una grave forma di enfisema polmonare e di ipertensione. Per questo motivo già l’1 giugno scorso l’avvocato Geraci aveva presentato un’istanza di sospensione dell’esecuzione della pena con detenzione domiciliare per gravi
condizioni di salute. Istanza rimasta senza risposta con Corallo che ha visto progressivamente peggiorare le sue condizioni. Due settimane fa il legale invia una nuova istanza al tribunale di Sorveglianza, con cui viene sollecitata una decisione, di cui però continua a non esserci risposta nonostante nella cartella clinica fossero evidenziate le patologie di cui soffriva il 70enne. La situazione allora precipita fino al tragico epilogo e alla comunicazione del decesso dell’uomo comunicata al suo legale.

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La denuncia dell’Onlus ‘Il carcere possibile’

Sull’episodio è intervenuta anche l’Onlus ‘Il carcere possibile’ che ha affidato a un comunicato tutta l’amarezza per una situazione che si è purtroppo ripetuta:« È capitato una volta ancora. Un Collega riceve un’asettica mail con la quale viene avvisato del decesso di un suo assistito. In pochi secondi il dolore, la compassione, la vicinanza ai familiari, vengono scavalcati dal più subdolo dei nemici di un avvocato: il dubbio di non aver fatto abbastanza. E ci si pone a ripercorrere tutta la strada che ha portato anche Camillo Corallo- detenuto, padre, marito – a morire in condizioni disumane. E può succedere che, nonostante si riesca a ricostruire ogni singolo centimetro della storia, fatto di istanze, solleciti, certosino controllo dello stato della procedura, il dubbio continui ad aleggiare. C’è un momento, poi, in cui si recupera la lucidità e si realizza l’essenza oltraggiosa: *ad un malato terminale non è stato concesso di morire dignitosamente*. E questo,senza perifrasi, solo perché non si è avuto il tempo o la voglia – *in un mese*_ di redigere un provvedimento di poche righe per l’adozione del quale esistevano tutti i presupposti di Legge. Non è più nemmeno la stolida impermeabilità ad istanze che hanno a cuore la dignità di un uomo nel momento della sua morte. Troppi provvedimenti di rigetto abbiamo letto, redatti da chi scambia il riconoscimento di un diritto fondamentale, anche di un detenuto, per buonismo e indulgenza, forse indigesta all’opinione pubblica. Un atto di forza che manifesta la debolezza di Chi rappresenta lo Stato e dello Stato tutto. Questa volta, con Camillo Corallo, noi tutti abbiamo fatto un altro passo verso il baratro. Non un incomprensibile rigetto, ma il silenzio. Un silenzio di 29 giorni a fronte della inoppugnabile e dimostrata certificazione della gravità. Gli esposti alla Procura, al CSM, diverranno presto materiale di archivio e carta (o files) che non riusciranno mai a raccontare gli ultimi drammatici giorni di Camillo Corallo. In un paese, in un tribunale, dove il detenuto affida la sua ultima _fiche_ della sua vita processuale alla roulette russa della assegnazione tabellare ad un magistrato di sorveglianza, l’ultima – minimale e residua – speranza, è che quei 29 giorni di incomprensibile inerzia si trasformino in 29 minuti -o anche meno- di dubbio, di autocritica, di presa di coscienza».

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