È una storia simile a quella vissuta da Eluana Englaro, il calvario di Francesco D’Amico, 18 anni a maggio, in «coma vigile» dal ’93 per le ferite riportate nello scoppio avvenuto in un asilo di Cicciano. La madre, Rosaria Mancini, lo assiste ininterrottamente nella sua casa di Cercola e non mostra dubbi quando afferma di «non avere nessuna intenzione» di fare la stessa scelta dei genitori della giovane. «Continuerò ad assistere mio figlio finchè avrò vita perchè un figlio anche se gravemente disabile non si abbandona», dice la donna. Attorniata dall’amore del marito carabiniere e del secondo figlio di 11 anni, Rosaria si dichiara favorevole al testamento biologico, ma critica le polemiche politiche che imperversano sul tema: «Ho sempre lottato per far valere i diritti di Francesco – spiega – e spesso le istituzioni anzichè venirmi incontro hanno reso più difficile il mio percorso».
Rosaria ricorda il premier Berlusconi che si mostrò «molto sensibile – afferma – quando ancora era solo presidente di Mediaset». «Gli scrissi chiedendogli di poter avere cassette dei cartoni animati preferiti da mio figlio e trasmesse dalle sue reti – dice – nella speranza che lo risvegliassero dal coma. Dopo qualche giorno Berlusconi mi inviò a casa un pacco pieno di cassette audiovisive». Francesco il 13 novembre 1993 rimase coinvolto nell’esplosione per una fuga di gas avvenuta in un asilo di Cicciano. Nello scoppio morirono due bambine mentre Francesco subì la rottura della scatola cranica. In coma vigile da circa 16 anni, da sei è attaccato ad un sondino per essere alimentato e ad un respiratore artificiale dal pomeriggio al mattino successivo. (Il Mattino.it)
«Il mio Checco come Eluana ma non mollo»
«Checco sorride quando sente la voce del fratellino. E fa smorfie di dolore se gli dài un pizzicotto. Di sicuro soffre, ma vive anche attimi di felicità, forse di gioia.
Quando mangia qualcosa che gli piace. Quando gli si fa un complimento. Quando ha preso la prima comunione. Se l’ho mai visto piangere? A volte intravedo lacrime nei suoi occhi, ma non so dire che cosa significhi. Comunque sia, mio figlio è una persona. Con i suoi diritti. Da rispettare.
Ogni mattina che mi sveglio e lo trovo vivo, mi sento contenta. E trovo nuova forza per andare avanti. Aveva due anni e mezzo quando gli è capitato l’incidente, il 9 maggio prossimo ne compirà diciotto. Lui partecipa alla nostra giornata, lo portiamo a fare passeggiate, d’estate viene in vacanza al mare con noi. Il futuro? Spero che non ci lasci mai, che stia qui il più a lungo possibile. Se ho mai pensato di… No, mai. Mai. Era mio figlio quando è nato, lo sento mio ancor di più da quando è stato così sfortunato. Quel che più mi manca di lui? È la sua voce. Vorrei tanto ascoltarla, anche solo per un attimo.». Era un bimbo. Ora è un giovane uomo. Ma tutto questo tempo lo ha consumato immobile (o quasi) in un letto, prima di ospedale e poi a casa sua. Percorso unico. Estremo. Storia di coraggio. E di infinito amore.
Checco e Rosaria. Un figlio assai speciale. E una mamma che, se le esprimi ammirazione. si mette a ridere e giura: «Sono solo normale». 13 novembre 1993: a Cicciano, per colpa di un impianto Gpl difettoso, scoppia un edificio in cui c’è la sede di un asilo. Due bambini e l’amministratore del condominio perdono la vita. Francesco D’Amico, due anni e mezzo, viene travolto dall’onda d’urto. Riporta danni cerebrali, i medici lo danno per spacciato. Invece, sopravvive. Nel marzo successivo i genitori lo riportano a casa. I medici dissero: è in coma vigile. Checco ha occhi spenti. Non reagisce agli stimoli. Racconta Rosaria Mancini, la mamma: «Sei anni fa stava di nuovo per morire. Un’infezione ai polmoni. Un altro ricovero. Di otto mesi. Poi, di nuovo a casa. Da allora, vive con la tracheostomia e il Peg. Però mangia il nostro stesso cibo, che gli frulliamo. Oggi? Salsa e spezzatino di vitello».
La famiglia ha cambiato casa. Ora abita in un appartamento al primo piano, dotato di un largo ascensore in cui entra il passeggino per trasportare Checco fuori a prendere aria. Una camera è riservata a lui. E accanto c’è un bagno, con la vasca dai bordi altissimi. Fatta apposta per lui. A lato del letto, i due ventilatori. Uno fa da riserva, perchè non si sa mai. La Tv accesa trasmette cartoon. E sulla mensola, accanto a padre Pio, una miriade di cd e videocassette, molte delle quali spedite anni fa da Silvio Berlusconi allora presidente Mediaset. La mamma: «Spostarsi non è semplice. Abbiamo comprato un Fiat Scudo, che è alto e ampio, dotato di pedana e cinture per il carrozzino.
In primavera Checco esce spesso. La sua giornata? Ogni mattina lo lavo, con l’aiuto di una delle assistenti comunali che vengono per tre ore al giorno. Poi fa fisioterapia. E logopedia. I suoi miglioramenti sono lentissimi, eppure riscontrabili. A ogni piccolo passo, per me è come se rinascesse». E ancora, sorridendo: «Se sono felice? Anch’io vivo di attimi. E ce ne sono di bellissimi. Ho un figlio non cresciuto per colpa degli altri, ma non mi dispero. Vedo vivere i suoi coetanei: senza invidia, con tenerezza. Per Checco non ci sono cellulari, nè fidanzatine, nè pantaloni all’ultima moda. Eppure sta con noi. Ci regala attimi. E noi ce li prendiamo». Dal coma vigile alla condizione attuale. Che i medici non definiscono. E che la mamma non etichetta. Perchè non serve. E perchè non le piace illudersi. «Stare a casa sua – racconta la donna – gli fa un gran bene. A dirlo sono i medici. Qui riceve stimoli continui, è circondato da volti conosciuti. Le piaghe da decubito? Guardi, non ne ha. E ne sono orgogliosa, perchè è merito nostro se la sua pelle si mantiene sana».
La causa civile relativa allo scoppio dell’asilo non è ancora iniziata. Dopo tanti anni. Vergogna. Ma oggi Checco sorride. E a volte sembra che rida di cuore. «È quando ride che la sua bocca emette suoni e ho l’impressione di ascoltare la sua voce. La sua voce, ripeto: è la cosa che più mi manca. Non so che darei per ascoltarla chiara e nitida, almeno per un attimo. E vorrei imparare a leggere nei suoi pensieri, per capire se e quanto soffre e di che cosa ha bisogno. Nella sua giovane vita lui ha già vissuto due occasioni in cui avrebbe potuto cedere ed andarsene per sempre. Invece, ha resistito. È come se avesse scelto di restare con noi». La donna deglutisce. Forse si commuove. Poi riprende a parlare: «Vi prego, non fate mai sentir sole le famiglie come la mia. Le difficoltà sono quotidiane e enormi. C’è bisogno di vicinanza, di comprensione. Altrimenti, si rischia di crollare. E di pensare a cose brutte, perfino a staccare le spine.
Il mio Checco, contrariamente a Eluana, non mi ha mai chiesto di voler morire. Io chiedo per lui qualche ora in più di assistenza domiciliare. E, una volta ogni sei mesi, l’appoggio di un ospedale come il Santobono perchè possa sottoporsi ai rituali controlli. Sto chiedendo troppo? O solo che si esaudiscano i diritti di mio figlio, che è una persona come gli altri?». Vita da vegetale? Può darsi. Ma d’estate Checco va in vacanza al mare. A Sapri, dove la famiglia ha comprato una casetta in un campeggio. «Facciamo orari da famiglia che ha con sè un neonato – racconta la mamma – ma riusciamo a portarlo in spiaggia, dove ormai tutti gli vogliono bene». Già, e il futuro? Come lo immagina? «La sua vita è un punto interrogativo. Spero che farà altri piccoli passi. Sì, mi capita spesso di sognarlo: mi chiama mamma ad alta voce. E mi dice ti voglio bene». Sulla mensola il fratellino Armando (quasi 11 anni) gli ha composto il nome con un puzzle di legno che diventa trenino. Tra i due fratelli, un legame complicato. Ma assai intenso.
Nei giorni del caso Eluana, Armandino ascoltava la Tv e taceva compunto. Armandino, che hai? «Mamma, sbrìgati. È tardi, andiamo a dar da mangiare a Checco che ha fame».
Enzo Ciaccio
Il Mattino il 13/02/09