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venerdì, Maggio 3, 2024
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STRAGE DEI 6 GHANESI: IL PROCESSO IL 21 NOVEMBRE. DOMANI UN ANNO DALLA STRAGE

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Il terrore mafioso aveva quell´unico movente, «sottomettere la comunità dei neri, ormai dovevano capire». E un chiaro piano esecutivo. «L´ordine di Giuseppe Setola era: “Uccidete tutti quelli che trovate là. Se ci sono le donne, anche le donne”», ha raccontato l´assassino pentito Oreste Spagnuolo. «Difatti per noi era indifferente colpire uno o l´altro. E ci eravamo attrezzati per ucciderne molti di più. Dovevamo fingerci carabinieri, indossare le pettorine, fare una perquisizione in quel locale, attendere che si calmassero le acque e poi ucciderli tutti. La disposizione era che tutti quanti noi dovevamo sparare. E non doveva rimanere nessun testimone».



Andò così. Per caso non c´erano anche le donne. Un anno dopo, ecco le istruzioni complete degli stragisti di Castel Volturno. Legge dei casalesi, la mafia che non distingue gli africani. Un lavoratore vale quanto un bandito, muoiano uno sull´altro, mentre i sicari colpiscono alla cieca e abbattono un sarto, due clienti operai, due manovali, un loro amico che passava. L´obiettivo viene centrato oltre ogni delirio criminale, in quel 18 settembre 2008. Al chilometro 43 della Statale Domitiana, dentro e fuori la sartoria “Ob Ob Exotic Fashion”, cadono infatti sei uomini. Tutti innocenti, si può confermare oggi sulla scorta degli approfondimenti giudiziari e a dispetto di quanti – persino ministri in carica – li bollarono come «spacciatori».



Sono i sei cittadini ghanesi uccisi dalle sventagliate di kalashnikov, mitragliette e pistole, centrotrenta colpi. È un anno, domani. Un tempo che la giustizia non ha fatto passare invano: il mandante e cinque esecutori della clamorosa azione di sangue sono già alla sbarra, dopo la complessa istruttoria firmata dai pm Alessandro Milita e Cesare Sirignano, con il coordinamento del procuratore antimafia Federico Cafiero de Raho. Oltre al boss Setola, i killer Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia, Davide Granato, Antonio Alluce. Tra due mesi comincia il processo. E dalle mille pagine dell´inchiesta emergono per la prima volta anche velate minacce contenute in alcune lettere del padrino Setola, messaggi inviati a pubblici ministeri e giudici.



«Perché tenete mia moglie in carcere da mesi, ingiustamente?», si ribella il boss. «Che c´entra lei. Ero io a custodire armi e soldi nel covo (di Trentola Ducenta, ndr). Perché ve la prendete con lei? C´è una figlia che soffre. Voi capite. Avete famiglia», insiste Setola nel chiedere la scarcerazione della coniuge (per la quale lunedì prossimo è previsto il processo). Sono missive che risalgono al marzo scorso. Lettere che sono state tenute riservate, valutate con attenzione, anche dai vari livelli della sicurezza. Ma i brani tecnicamente utili ai fini processuali, quelli in cui il boss si attribuisce la responsabilità delle detenzioni illegali, sono già allegati alla richiesta di misura cautelare avanzata dai magistrati del pool casalesi della Procura.



Il 21 novembre si alza dunque il sipario sull´attentato che, nella notte di San Gennaro, impose il terrore a Castel Volturno, seminando il panico, spegnendo le speranze di chi, bianco o nero, nell´inferno della Domitiana credeva in una possibile integrazione. Il dibattimento si aprirà dinanzi alla prima sezione di Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, presieduta dal giudice Elvira Capecelatro. In aula, il racconto della ferocia che spezzò la vita di Ibrahim Muslim, il gestore della sartoria; Karim Yakubu, dipendente di quel negozio; Justice Sonny Abum, il cliente che doveva ritirare un paio di pantaloni; Eric Affum Yeboah e Kwadwo Owusu Wiafe, che a quell´ora dopo un giorno di lavoro nei cantieri chiacchieravano in un´auto all´angolo del locale; e Kwame Antwi Yulius, fermo in un´Alfa 145, lo stereo acceso. Unico sopravvissuto, Joseph Aymbora. Salvò la pelle perché si finse morto, era inondato del sangue dell´amico morto, che gli coprì il volto. «Era il cadavere di Baba, il mio amico sarto, quella sera ero andato da lui a vedere le foto fatte in Africa». Ora Jospeh vive in località protetta, nome straniero nella lista dei testimoni antimafia.



Conchita Sannino

Repubblica il 17/09/09

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