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domenica, Aprile 28, 2024
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«FOIBE, IL PCI IMPOSE IL SILENZIO SULLA TRAGEDIA»
Il dibattito/2. L’intervento di Landolfo: Dc complice dell’amnesia

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Sì, ricordiamoli con la dignità di una Nazione. È il nostro Giorno del ricordo, anzi, della memoria italica. Il “Cuore nel pozzo” di Alberto Negrin, andato in onda qualche giorno fa su RaiUno, ha riscritto un capitolo di storia, calamitando l’attenzione di oltre diecimila spettatori. Rendiamo onore dopo sessant’anni a tutti coloro che furono violentati, impalati, torturati, trucidati e scaraventati in quelle fosse carsiche che si chiamano foibe. Anfratti naturali che i miliziani comunisti del maresciallo Tito, trasformarono in “pozzi di sangue”. È la storia triste e drammatica degli italiani dell’Istria e della Dalmazia travolti dalla sconfitta bellica. Le cifre ufficiali indicano in diecimila le vittime ed un esodo per trecentocinquantamila. Con tutta probabilità sono
riduttive perché formulate da quelle stesse strutture della burocrazia politica che voleva il silenzio sullo sterminio. È stata un’amnesia
imposta dalla sinistra italiana manovrata dall’apparato delle
Botteghe Oscure del Pci, con l’ignavia accondiscendenza dei democristiani e
socialisti. Per oltre mezzo secolo la tragedia delle foibe è
stata cancellata dai libri di storia. Non se ne doveva parlare. Soltanto il
dizionario Zingarelli, timidamente, accennava cosa fosse questa
immane tragedia. Crimini che sono stati contrabbandati come esecuzioni sommarie
di fascisti in quelle giornate in cui Tito sognava di
annettersi anche Trieste, quale punto nevralgico nella portualità
dell’Adriatico. Il ministro Maurizio Gasparri, qualche sera fa, nella
trasmissione televisiva di “Porta a Porta” ha messo in evidente difficoltà l’ex
direttore del Tg3, Sandro Curzi, militante comunista di
vecchia data, confutandogli questa falsità storica. L’aver squarciato il velo
del silenzio, fortunatamente, ha portato anche qualche
esponente dell’attuale sinistra a rivedere il giudizio storico. Una illuminante
confutazione della tesi comunista che ad esser uccisi furono
soltanto i fascisti è venuta, nel marzo scorso, dalla rivista “Civiltà
Cattolica”, dove lo storico padre Giovanni Sale, ha, tra l’altro, scritto:
“Le indagini storiche più attente e documentate di questi ultimi anni ci danno,
invece, una versione e interpretazione di quelle vicende di
segno opposto. Certamente una parte degli “infoibati” furono fascisti o
collaborazionisti (anche se la maggior parte dei gerarchi o delle
personalità più compromesse col regime riuscirono a scappare prima che i
soldati di Tito entrassero a Trieste -, ma la maggior parte
degli uccisi, come risulta dalle fonti storiche e dalle testimonianze dei
sopravvissuti, erano semplici cittadini italiani, alcuni dei quali
addirittura antifascisti notori”.


Bisogna ricordare per non dimenticare. E fare in modo che simili nefandezze non
accadano più. L’immane tragedia del popolo ebraico
per mano della follia nazista, lo sterminio di diecimila ufficiali polacchi ad
opera dell’Armata rossa nelle fosse di Katin, le vendette
trasversali nel triangolo rosso dell’Emilia Romagna nel 1945-’46, i massacri di
Pol Pot in Cambogia evidenziano dove possa arrivare la
follia umana. E blocchiamoci qui. Anche perché, i criminali, sotto tutti i
cieli, non riconoscono quei diritti umani protetti dalle convenzioni
internazionali. E, i comunisti iugoslavi con la complicità di quelli di casa
nostra, in particolare di quelli di Udine che furono da supporto al
famigerato IX Corpus, seminarono morte e terrore sino a Trieste. D’altra parte,
i loro “nipotini”, quelli che hanno infiammato l’ex
Jugoslavia alcuni anni fa, hanno dimostrato che quella barbarie non è stata
ancora eliminata dal loro dna.


Ma cosa ne fu di quei trecentocinquantamila profughi? Nella madre patria furono
accolti come un peso scomodo. A Bologna i ferrovieri
comunisti non li fecero scendere dai treni perché li accusarono di simpatie
fasciste. Li costrinsero a subire altre ingiurie e mortificazioni.
Molti scelsero la via dell’esilio verso l’America e l’Australia mentre altri si
arrangiarono tra la Campania ed i Lazio. A Roma, non a caso,
sorgerà il quartiere giuliano-dalmata nella cui piazza troneggia ancora la
“lupa” sottratta a Pola alla furia degli slavi. È un passato, ora,
che ritorna e deve trovare spazio nella nostra memoria collettiva. Ai dalmati e
giuliani è l’Italia ufficiale che deve chiedere scusa e
perdono. Quell’Italia, ovvero, che si ridusse a svendere i loro beni
abbandonati, a parziale ricompensa di un debito di guerra, che diede
finanche la pensione Inps a diversi infoibatori e che per sessant’anni ha
violentato la coscienza collettiva con un vuoto di memoria.
Fermiamoci per un istante e con la luce dell’animo chiediamo alle vittime, ai
profughi e ai loro eredi: “Perdono”. Oggi, più che mai, il
nostro cuore è a Trieste dove si svolge il convegno mondiale degli esuli. Sì,
“Vola colomba bianca”, canzone immortalata da Nilla Pizzi, e
dì loro che, finalmente, non sono più soli.



FRANCESCO LANDOLFO

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