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martedì, Maggio 21, 2024
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PONTE RICCIO, IL QUARTIERE DELLA VERGOGNA. VIAGGIO NELL’AREA ASI DI GIUGLIANO…

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GIUGLIANO – Il sole pallido taglia di traverso il finestrino della macchina che corre lungo quel pezzo di contestata periferia. A ridosso dell’asse mediano si scorgono, tra capannoni industriali e vecchi cascinali, stradine che il tempo consuma: collegano i viottoli dello sconfinato hinterland giuglianese. Nella terra di nessuno, i peschi fanno da contorno all’ area Asi, il settore industriale della cittadina: 82 ettari di terreno al confine tra Qualiano e Giugliano. Peschi rigogliosi, hanno già i frutti prossimi alla maturazione. Senti il rumore, inconfondibile, di un trattore che dissoda la terra. Poco dopo, un lezzo nauseante arriva da lontano e rovina la poesia di quella campagna in un cielo terso di mezza estate. Benvenuti a Ponte Riccio. Uno spicchio d’Italia che le discariche più o meno abusive hanno distrutto: sostanze tossico nocive ammassate una sull’altra, in un groviglio difficile da sbrogliare. Pattumiera d’Italia per decenni, in lotta da anni contro i predoni dell’ambiente, ora l’ultima periferia di Giugliano deve fare i conti con un nemico ancora più temibile: l’emergenza rifiuti. Si perché qui si è deciso che il Cdr (combustibile derivato dai rifiuti) deve restare e con esso anche la mega-piattaforma per lo stoccaggio dei sovvalli (i residui inutilizzabili dell’impianto). Non è bastata la mobilitazione di numerose associazioni – Legambiente in primis – partiti, comitati di zona, l’intervento del primo cittadino, l’impegno dell’assessore provinciale Gabriele. Dopo i sigilli riapre la discarica dei veleni. La terra è sezionata, tagliata e scavata dalle pale della Fibe spa (che gestisce il Cdr), del gruppo Fiat. Non è l’unica discarica quella in fase di apertura. Ce ne sono altre quattordici. Non esistono segnali stradali, basta seguire l’asfalto che sembra pece: qui il percolato dei camion in fila davanti alle discariche non viene mai rimosso. Sono i luoghi deputati al sacrificio del dio-progresso. Gli ambientalisti lo chiamano il “triangolo maledetto”. Una miriade di fabbriche e fabbrichette – di cui molte fatiscenti – appaiono ai lati delle strade. L’accesso alla vituperata piattaforma di stoccaggio di Tre Ponti Parete ci è negato dalla polizia, in assetto antisommossa contro le rimostranze dei residenti.
E’ facile individuare le discariche. Ci sono i gabbiani come alleati. Gli uccelli acquatici infatti sovrastano le aree di smaltimento alla ricerca del cibo. Ancora qualche centinaio di metri prima di imbattersi nella mega discarica di rifiuti tossici ormai satura. L’aria è soffocante. Non vedi un topo aggirarsi per quelle terre. Non ne vedi uno, che cerchi cibo tra il pattume. Manco loro credono che quella oscena montagna che puzza di morte sia fatta solo di immondizia casalinga. E non vedi un cane randagio, un gabbiano, una lucertola, una serpe. E non vedi un albero che sia scampato agli acidi e sia sopravvissuto nel raggio di un centinaio di metri. Per anni queste zone hanno smistato illegalmente i rifiuti tossici delle industrie del Nord: diossina, pesticidi, scarti della produzione di Pvc, ammine. Con i camionisti –soldati dell’esercito delle ecomafie. Trasportavano i rifiuti di società di modeste dimensioni, intestate a prestanome, ai colletti bianchi degli uffici di “palazzo”. Oggi i segni di quel decennale disastro rimangono vivi a Ponte Riccio, il quartiere-simbolo della nuova emergenza rifiuti. Intanto non sappiamo cosa vi si scarichi in queste terre, fra le colture di grano e di uva. Almeno cinquanta tir abbiamo contato in meno di venti minuti. I camion carichi di veleni scompaiono inghiottiti nella periferia. Ricompaiono poi, vuoti. Pronti per un altro carico.
La strada che conduce all’impianto di Cdr – meno di otto chilometri dal centro città – scivola tra i coltivi segnati dai solchi del trattore. Il vino é dietro ad ognuna delle cascine rimaste (da qui stanno fuggendo tutti) , dentro le vecchie botti, custodito da gente di poche parole, che parla piano, la cui vita é scandita dall’alba al tramonto, dagli arnesi di un mestiere antico. Terra di vigna e di sudore. Lungo le stradine assolate, i trattori frenano le macchine, lo spazio e il tempo sono rallentati dal ritmo del “mostro”: il cdr. Dall’impianto si levano infatti tanfi pestilenziali. La gente è costretta a barricarsi in casa. E la paura di possibili conseguenze per la salute è alta. Tantissimi bambini, infatti, soffrono di acute forme di asma. Alle spalle dell’impianto c’è il contenitore di raccolta del percolato, il “silos”. La constatazione è amara: una parte dei veleni cade direttamente nel terreno. L’ effluvio è inconfondibile: sembra quello di carne morta. Eppure il cdr nasceva come inodore.
A pochi metri dall’impianto c’è il campo Rom. Domina al suo centro una grande discarica di rifiuti tossici a cielo aperto. L’ennesima. I bambini giocano tra la spazzatura. Sono i figli della discarica. Uomini e donne privati della loro dignità, derubati delle cose più preziose per ogni essere umano – la speranza e i sogni – uomini e donne senza futuro, senza passato, stuprati nella loro dignità ridicolizzata. Introiti miliardari, deserti di povertà materiale e abissi concentrati di miseria si raccolgono all’orizzonte cupo della periferia-discarica del Mezzogiorno.

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