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lunedì, Maggio 20, 2024
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CAMORRA: VOTO INQUINATO, BUFERA GIUDIZIARIA A MELITO
Amministrative pilotate dal clan Di Lauro. Interviste e retroscena

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MELITO. Quando i carabinieri hanno bussato alla porta del suo appartamento, ha avuto un sussulto. «Non me lo aspettavo», ha confessato ai militari che gli notificavano il decreto di perquisizione. Gianpiero Di Gennaro, 40 anni, sindaco della Margherita eletto due anni e mezzo fa alla guida di una coalizione di centrosinistra, è formalmente indagato per associazione a delinquere di stampo camorristico, il famoso 416 bis. Con lui sono finite sotto inchiesta altre cinque persone, quattro delle quali destinatarie di altrettante ordinanze di custodia cautelare in carcere. Tre sono state rese note: si tratta di Alfredo Cicala, ex sindaco Dc di Melito ed ex presidente cittadino della Margherita; Luca Mascia, indicato come esponente del clan Di Lauro; e Salvatore Chiariello, ritenuto affiliato agli scissionisti. Delle altre due persone, una è attualmente ricercata, della seconda non si conosce ancora il nome ma si sa che è destinataria di avviso di garanzia. Secondo l’indagine della procura di Napoli – condotta dai pm Beatrice e Del Gaudio – la tornata elettorale del 2003 (quella durante la quale fu eletto al ballottaggio il sindaco Di Gennaro) fu pesantemente influenzata dalla camorra. O meglio: la criminalità organizzata avrebbe impedito o condizionato il libero esercizio del voto attraverso intimidazioni più o meno esplicite. E il mandante delle minacce sarebbe stato Federico Bizzarro, il referente a Melito per conto del clan Di Lauro fino al 26 marzo 2004, quando fu ammazzato con la presunta complicità di Alfredo Cicala. Proprio Cicala, sostengono gli investigatori, sarebbe stato il «referente politico» del boss: l’uomo a cui delegare avvertimenti e intimidazioni. Due anni fa, in particolare, l’ordine era uno solo: «Non votate Tuccillo». I melitesi ricorderanno quella campagna elettorale per molto tempo ancora: diversi candidati, sostengono gli inquirenti, furono obbligati a ritirare le candidature; molti elettori vennero addirittura malmenati. E lo stesso Tuccillo, Prc, rivale di Di Gennaro al ballottaggio, fu oggetto di una clamorosa minaccia: alcune decine di manifesti a lutto con il suo nome vennero affissi nelle strade della città. Il clima di violenza non sfuggì ai carabinieri della compagnia di Giugliano, che già prima delle elezioni avviarono un’inchiesta con la Dda per inquinamento mafioso del voto. Le indagini sono culminate ieri mattina con l’emissione dei provvedimenti giudiziari. Alfredo Cicala, sindaco di Melito dal ’90 al ’93, è stato raggiunto dall’ordinanza di custodia in carcere mentre era agli arresti domiciliari in una clinica del Casertano (fu già arrestato nel dicembre 2004 nell’ambito dell’inchiesta sulla guerra di camorra interna al clan Di Lauro). E in carcere si trovava pure Salvatore Chiariello, 32 anni, indicato come referente degli scissionisti. Il sindaco, quello attuale, è stato raggiunto nel suo appartamento alle sei di ieri mattina. I carabinieri (diretti dal tenente Vincenzo Massimiliano Russo) hanno perquisito l’abitazione per un’ora e raccolto documenti e fascicoli, poi si sono spostati in Municipio dove hanno sequestrato altro materiale cartaceo. Sulla vicenda interviene l’assessore regionale al Lavoro, Corrado Gabriele: «I provvedimenti giudiziari sono una conferma delle denunce che presentammo già due anni fa».




L’INTERVISTA

Tuccillo, il candidato sconfitto «Contro di me manifesto a lutto»




Melito. «I provvedimenti giudiziari non fanno altro che confermare le nostre denunce: la campagna elettorale del 2003 fu condizionata dalla camorra». Il nome di Bernardino Tuccillo, già sindaco di Melito e consigliere provinciale di Rifondazione, ritorna più volte negli atti della magistratura. Contro l’esponente del Prc, in particolare, la criminalità organizzata avrebbe dato un ordine preciso alle scorse amministrative: «Lui non deve essere eletto».

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Tuccillo, la camorra non voleva la sua elezione

. «Già, i provvedimenti giudiziari confermano quanto denunciai già prima del voto. La tornata elettorale del 2003 fu influenzata pesantemente dalla criminalità organizzata. Di Lauro & Co. patteggiavano per l’altra parte».




Che clima c’era a Melito durante la campagna?
«Torbido, una situazione sconcertante. La gente aveva paura di manifestare il proprio pensiero».




Qualche esempio?
«Ricordo alcuni candidati della mia coalizione. A poche ore dalla presentazione delle liste mi pregavano in lacrime di stracciare i moduli con i loro nomi. Erano stati minacciati. Qualcuno fu addirittura picchiato».




Lei ha mai ricevuto minacce dirette?

«Da me non venivano, sapevano che mi sarei immediatamente recato in procura. Ma che cosa vuole che significhi un manifesto di morto col mio nome? Glielo dico io, significa: stai attento. Ricordo i commenti di allora. Di Gennaro disse che si trattava di una riuscita operazione di marketing. Secondo il sindaco fui io stampare i manifesti».



Dicono che lei sia un giustizialista

«Dicono anche che sono un visionario, se è per questo. I fatti, però, mi hanno dato ragione. Sono convinto che senza l’ingerenza della malavita adesso sarei sindaco. Spero che ora il centrosinistra sia capace di fare pulizia al suo interno, soprattutto a Napoli e provincia».



Cosa accadrà adesso?
«Mi auguro che si proceda immediatamente allo scioglimento del Consiglio comunale. Un sindaco indagato per associazione a delinquere di stampo camorristico non può continuare a guidare la città».



UF IL MATTINO 20 NOVEMBRE 2005





BOTTE AGLI ELETTORI CHE NON OBBEDIVANO AL BOSS
I retroscena dell’inchiesta su camorra ed elezioni. Un dossier di 300 pagine





Melito.
Un dossier di oltre trecento pagine. Un documento monumentale che, oltre a ricostruire con impietoso rigore le fondamenta politiche su cui la camorra basa oggi il suo impero, ne delinea gli equilibri interni, i ruoli, le competenze. Trecento pagine per dimostrare che a Melito, nel 2003, la criminalità organizzata avrebbe condizionato le elezioni amministrative, «assoggettando e impedendo» il libero esercizio del voto. Il dossier redatto dai carabinieri del nucleo operativo di Giugliano (e attualmente a disposizione dei pm Filippo Beatrice e Marco Del Gaudio) è alla base dell’inchiesta per inquinamento mafioso del voto che vede coinvolti, tra gli altri, l’attuale sindaco Gianpiero Di Gennaro (Margherita) e l’ex sindaco Dc Alfredo Cicala. Dall’indagine della magistratura emergerebbe un disegno chiaro: nella tornata elettorale del 2003 (quella che si concluse con l’elezione a sindaco di Di Gennaro) non doveva essere eletto il candidato della Quercia, l’ex primo cittadino Bernardino Tuccilo, oggi in Rifondazione. Così aveva deciso la famiglia Di Lauro, a poco più di un anno dalla sanguinosa «scissione». Lui, l’ex sindaco, doveva perdere. E per rendere chiaro il «messaggio» il clan non avrebbe risparmiato alcun mezzo. Minacce, intimidazioni, violenze. Nel dossier redatto dall’Arma si fa esplicito riferimento alle denunce che vogliono diversi candidati dello schieramento di Tuccillo «obbligati» a ritirarsi dalla competizione elettorale. Non solo. Gli investigatori parlano di «riscontri oggettivi» alle violenze, verbali e fisiche, segnalate da elettori e aspiranti candidati. «Gli amici di Melito», così si presentavano gli uomini del clan, avvicinavano le loro vittime in strada: le minacciavano pubblicamente, davanti a decine di persone. E se occorreva vincere le ulteriori «desistenze», non c’era alcun problema. Le vittime venivano prelevate materialmente e condotte in zone meno frequentate dove sarebbero state verosimilmente malmenate. Un’escalation di violenza che gli inquirenti ricondurrebbero al boss Federico Bizzarro, quel «bacchettella» che per anni ha dettato legge a Melito per conto dei Di Lauro e il cui omicidio (avvenuto il 26 marzo 2004 in un albergo di Qualiano) diede inizio alla sanguinosa faida di camorra. L’inchiesta – che vede sei persone imputate per associazione a delinquere finalizzata alla turbativa elettorale – proseguirà nelle prossime ore con l’interrogatorio degli indagati. Intanto la prefettura è pronta ad avviare un’indagine «sotto il profilo amministrativo» per stabilire l’eventuale insediamento di una commissione d’accesso. Un’iniziativa che, per il segretario provinciale del Prc, Peppe De Cristofaro, dovrebbe essere preceduta dalle «dimissioni del sindaco Di Gennaro, quale unico gesto possibile a fronte di un quadro così fosco». A chiedere le dimissioni anche Rosario Concordia, dirigente nazionale di An: «Melito – dice – merita un governo cittadino e un sindaco che siano frutto di una libera e democratica elezione».





L’INTERVISTA
Di Gennaro: «Accuse assurde, non ho nulla da temere»




Melito. Al telefono è cortese ma risoluto. «Nessuna dichiarazione in merito all’inchiesta». Giampiero Di Gennaro, 40 anni, da due sindaco di Melito, è finito nel mirino della magistratura nell’ambito dell’indagine sui condizionamenti camorristici in occasione delle elezioni amministrative del 2003. Nel corso dell’operazione, che è stata ribattezzata «Nemesi» (il nome che la mitologia greca assegnava alla dea della vendetta per colpe rimaste impunite sulla terra), è stato perquisito l’appartamento del primo cittadino e il suo ufficio in Municipio.





Sindaco, cosa ne pensa di questa inchiesta sul condizionamento del voto in cui è coinvolto?


«Ho piena fiducia nell’operato della magistratura. Sono certo che si dimostrerà la mia totale estraneità ai fatti».




Sindaco, lei risulta indagato per associazione a delinquere, il 416bis contestato generalmente a boss e gregari…


«Ho la coscienza tranquilla. Gli atti della mia amministrazione possono essere tranquillamente radiografati».



Sì, ma nell’inchiesta si parla di presunto inquinamento del voto, non di atti successivi alla sua elezione a sindaco di Melito.

«Le ripeto: non ho nulla da temere. Ben vengano anche le commissioni di accesso. Ricordo di essere stato uno dei primi sindaci a sottoscrivere il protocollo di legalità all’indomani della mia elezione».



Ma che effetto le fa sapere che il clan Di Lauro, almeno secondo la magistratura, avrebbe speso il suo nome durante la campagna elettorale del 2003?

«Non ho altro da aggiungere». Dall’opposizione chiedono le sue dimissioni. «Guardi, possiamo parlare da qui fino al 2008. Non le dico altro».



E ai suoi elettori non vuole dire nulla?

«Sono in corso delle indagini, sono tenuto al silenzio. Prima di essere sindaco di Melito sono un avvocato penalista, e ho pieno rispetto del lavoro della magistratura. Sono fiducioso e attendo che la giustizia faccia il suo corso, sicuro della mia totale estraneità ai fatti».



UF IL MATTINO 21 NOVEMBRE 2005








Caso-Melito, Margherita divisa


Dibattito infuocato dopo la bufera giudiziaria. Taglialatela e Pezzella (An): «Subito lo scioglimento»




Melito. «Non ci sono più le condizioni per governare, Gianpiero Di Gennaro farebbe bene a rassegnare le dimissioni». Parole di Giuseppe Gambale, parlamentare della Margherita di cui è responsabile nazionale per la lotta alle mafie. La sua posizione non lascia spazio ad equivoci: «Nutro molta fiducia nei confronti del sindaco di Melito. Ritengo che Di Gennaro sia stata la faccia pulita e inconsapevole di una campagna elettorale sporca. E tuttavia, nonostante questo, sono convinto che sia giusto, in questo momento, che dia le proprie dimissioni». Il parlamentare, già commissario del partito a Melito, è chiaro. «Se qualcuno, anche all’oscuro della Margherita, ha chiesto i voti alla camorra per conto della coalizione guidata da Di Gennaro, è giusto che faccia un passo indietro – dichiara al telefono – Il solo sospetto che un sindaco governi la città con i voti della criminalità organizzata dovrebbe spingere gli amministratori a dimettersi. E in questo caso ci troviamo di fronte a qualcosa in più di qualche semplice sospetto». Quello di Gambale vuole essere «un consiglio ad un amico di partito» più che un imperativo: «A dettare la linea ufficiale della Margherita ci penserà nelle prossime ore la segreteria provinciale» aggiunge. Ma la sua posizione è netta. Così come lo sono le dichiarazioni rilasciate da Venanzio Carpentieri, capogruppo del partito a Melito. «Da parte nostra rinnoviamo la fiducia al sindaco Di Gennaro – dichiara – Siamo sicuri della totale estraneità del primo cittadino rispetto ai fatti che gli vengono contestati. Ecco perché riteniamo che l’amministrazione debba restare al suo posto. Contiamo che la vicenda si chiarisca presto. E che la magistratura sciolga tutti i dubbi». I «dubbi» a cui fa riferimento l’esponente politico locale sono legati all’inchiesta per inquinamento mafioso del voto amministrativo del 2003 che ha portato in carcere l’ex sindaco Dc ed ex segretario della Margherita Alfredo Cicala, un presunto affiliato al clan Di Lauro (Luca Mascia), un esponente ritenuto legato agli scissionisti (Luca Chiariello) e che vede indagato a piede libero l’attuale sindaco Di Gennaro, anche lui della Margherita. Per tutti l’accusa è concorso in associazione a delinquere di stampo camorristico. Nelle prossime ore si procederà agli interrogatori di garanzia per gli arrestati. Intanto non si placa la polemica politica. A chiedere lo scioglimento del consiglio comunale sono scesi in campo altri due parlamentari campani, Marcello Taglialatela e Antonio Pezzella di An. Il primo ha invitato «il prefetto di Napoli ad attivare le procedure previste dalla legge per ripristinare la legalità a Melito, dove le consultazioni per l’elezione del sindaco e la vita politica ed amministrativa sono state fortemente inquinate dalla presenza ingombrante della criminalità organizzata». Per Pezzella «gli arresti di questi ultimi giorni sono una conferma della grave situazione di degenerazione ambientale in cui versa da anni la città» ma anche lo spunto «per avviare indagini approfondite in tutta l’area a nord di Napoli per verificare quanti e quali esponenti politici hanno beneficiato del sostegno della camorra durante le ultime elezioni regionali».




IL RETROSCENA

Nel mirino il verdetto delle urne nella 219




Melito. Il bunker della camorra sotto la lente della magistratura. Le indagini sull’inquinamento del voto a Melito – che hanno portato all’emissione di quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere e l’iscrizione nel registro degli indagati dell’attuale sindaco in forza alla Margherita – puntano l’attenzione su alcuni aspetti ritenuti «interessanti». In particolare, gli investigatori hanno a lungo indagato sul risultato elettorale nel rione di edilizia popolare, le famigerate palazzine della «219». Qui, tra via Ticino e via Lussemburgo, «radiomala» colloca il bunker degli «scissionisti» del clan Di Lauro. E l’analisi del risultato elettorale tra i palazzoni della ricostruzione – fanno capire gli investigatori – potrebbe rivelarsi «degna di attenzione». Insomma, l’esito delle elezioni amministrative in quel rione potrebbe fornire un’indicazione utile alle indagini circa il sospetto condizionamento del voto amministrativo del 2003. Ma è solo un’ipotesi. Al momento l’unica certezza è che in quel quartiere i cosiddetti «spagnoli» hanno piazzato la loro base operativa. Si spaccia di tutto, tra i palazzi del post-terremoto. Cocaina, eroina, hashish, crack, fumo. Un autentico droga-shop alle porte di Napoli, dove ogni affiliato ha un suolo ruolo ben preciso. Sentinelle, distributori, capozona. Una rete organica che sembra immune agli arresti e alle perquisizioni: fuori un uomo, se ne trova un altro.



UF IL MATTINO 22 NOVEMBRE 2005

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