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sabato, Maggio 25, 2024
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TRE MORTI IN DUE MESI ALL’OSPEDALE SAPORITO DI AVERSA

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Morire da internati senza che il mondo lo sappia. È accaduto nell’ Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa “Filippo Saporito” ad un marocchino di 35 anni Hajaj Derri, deceduto il 29 gennaio scorso per arresto cardiocircolatorio, così almeno recita la diagnosi ufficiale. Ma la notizia si è diffusa solo ora, a seguito della decisione della Magistratura di aprire un fascicolo sulla morte alquanto anomala dell’extracomunitario che al momento del decesso presentava strani segni ed ecchimosi sul collo. Segni che potrebbero essere il frutto di una violenza perpetrata sul corpo dell’internato. Una morte invisibile come altre nei mesi scorsi: tre persone da novembre ad oggi sono scomparse nell’Opg aversano, uno dei due della Campania (l’altro è Sant’Eframo a Napoli), che complessivamente ospitano il 40% degli internati in tutta Italia.
Denuncia l’associazione Antigone Napoli: « Solo pochi mesi fa – spiega Dario Stefano Dell’Aquila, presidente dell’associazione – nell’Opg di Aversa si sono verificati due suicidi. Due persone si sono tolte la vita nei bagni impiccandosi con le lenzuola dei letti senza che qualcuno li controllasse. Siamo preoccupati dal progressivo deteriorarsi delle condizioni di vita degli internati. Negli Opg di Aversa e di Napoli non c’ è alcuna cura: i medici, gli psichiatri e gli psicologi che operano nella struttura non sono dipendenti diretti ma bensì hanno solo un contratto a termine o a progetto, con in media un’ora e mezza al mese di assistenza psichiatrica a paziente. Il solo personale certo è quello di polizia penitenziaria».
E questo non è un caso visto che gli Opg dipendono direttamente dall’Amministrazione Penitenziaria e dal Ministero della Giustizia. «Negli Ospedali psichiatrici giudiziari – che hanno sostituito i manicomi criminali dopo l’emanazione della legge 180/78 la c.d. Legge Basaglia – sono internate circa 1.200 persone in tutta Italia, il 60% delle quali per reati contro la proprietà. Si tratta di persone – spiega Dell’Aquila – per lo più povere e prive di assistenza familiare, che, a causa di un disagio psichico, compiono un reato e si trovano a scontare decine di anni in quello che è chiamato ospedale ma che è invece un carcere a tutti gli effetti. La loro pericolosità sociale non è dovuta alla diagnosi medica, ma all’ assenza di luoghi alternativi di accoglienza o perché, in molti casi, le ASL non intendono farsi carico di questi costi. Gli internati in Opg sono persone che hanno commesso un reato ma che non sono pienamente in grado di intendere. Per questo sono condannate ad una misura di sicurezza, la detenzione in Opg appunto, che viene annualmente prorogata, costringendo così centinaia di persone a vivere per anni in condizioni giuridicamente ed eticamente inaccettabili». Accade così, nella pratica, che persone che entrano in carcere per reati di poco conto, scontano decine di anni, se non la loro intera esistenza in un ospedale psichiatrico giudiziario.«Bisogna arrivare presto ad un disegno di legge – conclude Dell’Aquila – per la chiusura e il superamento degli Opg. Nell’attesa, è necessario uno sforzo immediato per migliorare le condizioni di vita degli internati e avviare programmi di dimissioni protette, costruendo un sistema integrato socio-sanitario di accoglienza che punti all’ inclusione e all’ autonomia delle persone».
Era il lontano 1876 quando nell’edificio dell’ex convento di San Francesco, ad Aversa, allora casa di pena per invalidi, il direttore generale delle carceri, Martino Beltrani Scalia, in assenza di disposizioni legislative creò la “sezione per maniaci”, inviandovi diciannove rei-folli affidati alle cure di Gaspare Virgilio, medico-chirurgo della casa penale dal 1867.
La struttura oggi accoglie nelle proprie celle singole, doppie, o da 3 a 6 posti ben 240 internati, tutti uomini. I reparti sono due: quello ordinario, dove i “malati di mente” possono liberamente circolare e socializzare nei corridoi; poi c’è la famigerata Staccata, sezione destinata per i detenuti più pericolosi, circa una quarantina, spesso costretti a forme di coercizione molto dure come i letti di contenzione, chiamati ironicamente dagli stessi malati “letti con le ali”.
Coercizione, detenzione forzata, camice di forza, maltrattamenti, annullamento totale dell’uomo, malattie non curate, talvolta inesistenti. Questo è molto altro c’è dietro quel muro. Un deposito per
tutti coloro che creano problemi nella società. Non scontano una pena, perché non possono ritenersi colpevoli dei reati che hanno commesso,ma vengono rinchiusi come misura di sicurezza, in quanto potrebbero reiterare i crimini che li hanno portati davanti ai giudici. Queste morti disperate, avvenute spesso nella totale indifferenza, meriterebbero, da parte di tutti maggiore attenzione. Forse una maggiore conoscenza di questi mondi, dei luoghi della marginalità e un maggior confronto con il mondo sociale impedirebbero le tragedie di queste vite dimenticate. Ma forse come canta Simone Cristicchi in un verso della sua canzone “Ti regalerò una rosa”, grazie alla quale ha vinto l’ultimo Festival di Sanremo: « I matti sono punti di domanda senza frase, migliaia di astronavi che non tornano alla base. Sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole, i matti sono apostoli di un Dio che non li vuole ».

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