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martedì, Maggio 21, 2024
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Uccisi da Sandokan per bloccare la droga

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Erano arrivati in Italia da pochi giorni per trovare un lavoro. La loro speranza era qualche campo di pomodoro o un cantiere sul litorale domizio invece, quella mattina, trovarono la morte. Li massacrarono con diverse scariche di fucile a canne mozze. Li volevano punire, dare un esempio ai tanti coloured che spacciavano sul litorale ma i due africani, George Anegy Quaye, 31 anni e il connazionale Emanuel Odai Afatey, 32 anni, arrivati da Accra, con la droga non avevano mai avuto a che fare. A raccontare l’inquietante retroscena del duplice brutale omicidio commesso alla fine del 1986 è stato il pentito Augusto La Torre che ha indicato in Francesco Schiavone detto «Sandokan», ex primula rossa del clan dei Casalesi, il mandante (e forse l’esecutore insieme ad altri non identificati) dell’uccisione dei due neri. A notificargli nel carcere de L’Aquila la nuova ordinanza sono stati i carabinieri della compagnia di Mondragone agli ordini del capitano Claudio Rubertà che hanno svolto anche una lunga attività investigativa e di riscontro. La droga era una attività redditizia per il clan ma la camorra non approvava la presenza delle svariate centrali di spaccio dei coloured che «degradavano» la fascia costiera. Lo ha svelato il pentito dei «Chiuovi» il quale, ai magistrati della Dda, ha raccontato di un piano punitivo ed eclatante per far capire agli spacciatori neri che la zona era sotto il controllo della cosca. Ne seguì un vertice fra i due clan, quello dei La Torre e quello dei Casalesi, dove avrebbero partecipato lo stesso Augusto La Torre, Sandokan, Peppinotto Pagano e Antonio Salzillo detto «Capucchione». Il gruppo localizzò una nota centrale nera dello spaccio e si decise di agire: la mattina dell’agguato, però, l’auto di La Torre non partì e l’azione fu portata avanti soltanto dal gruppo dei Casalesi che uccise senza pietà, con scariche di fucile indirizzate anche ai volti, i primi due africani che incontrarono entrando a Mondragone. Un errore appreso successivamente dallo stesso La Torre (per il piano avrebbe dato incarico al cugino Tiberio) che, alla fine, dopo un «consulto» con Casal di Principe, decise di rivendicare l’azione. Da una cabina dell’Hotel dell’Amore, racconta il pentito (il riscontro tabulare non è stato individuato), tale Aniello Sabatino avrebbe chiamato alla redazione de Il Mattino per attribuire alla cosca la paternità dell’esecuzione: «Devono capire che qui comandiamo noi», avrebbe detto quella voce telefono. In quel periodo gli investigatori erano alle prese anche con la prepotenza con cui gli spacciatori di colore erano entrati sul mercato dell’eroina praticando prezzi competitivi e così l’agguato fu inquadrato nella lotta conquista del mercato dello spaccio.



BIAGIO SALVATI – IL MATTINO CASERTA 1 MARZO 2007

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