Il poliziotto indagato per eccesso di legittima difesa. La sua versione: «Mi puntavano la pistola, intendevo solo fermarli»
Napoli, in lacrime l’agente che ha ammazzato un rapinatore tredicenne. Ciampi: la morte di un ragazzo è una cosa tremenda
NAPOLI – E’ alto più di un metro e ottanta, ma il viso è quello di un ragazzo. Niente aria da rambo: i capelli biondi piuttosto corti, il maglioncino girocollo, i pantaloni di velluto. Ha soltanto 19 anni il poliziotto che sabato sera, in una strada del quartiere Secondigliano, ha ucciso un rapinatore di 13 anni che insieme con un altro minorenne voleva portargli via lo scooter. Un episodio che ha scosso Napoli e il suo ospite più illustre, in questi giorni: il presidente Ciampi. «Esprimo tutto il mio dolore per questo tragico evento ed esprimo la mia partecipazione ai familiari, alla madre, al padre. La morte di quel ragazzo è stata una cosa tremenda. Non ho parole per definirla», ha detto il capo dello Stato.
Ma più di tutti soffre, a parlarne, proprio l’agente, che è in polizia solo da poco più di un anno. E’ entrato dopo aver preso il diploma superiore come ausiliario, in alternativa alla leva. Poi ha firmato per restare e ora presta servizio al Reparto Mobile. Dice: «L’avevo messo in conto dal primo momento che mi sarei potuto trovare a sparare addosso a qualcuno, se scegli questo mestiere può succedere. Ma credevo che quando sarebbe arrivato quel giorno, avrei avuto la divisa addosso. Non avrei mai immaginato di dover sparare per difendermi mentre me ne stavo per i fatti miei».
Si chiama Salvatore, lo stesso nome del ragazzino morto. Nella stanza del questore Franco Malvano, quando è stato convocato per riferire quello che era successo in via Labriola, è scoppiato a piangere. Ieri mattina, invece, è rimasto a lungo nell’ufficio del pubblico ministero Monica Campesi, che al termine della deposizione lo ha indagato per eccesso di legittima difesa. Il racconto dell’agente è filtrato dal suo legale, l’avvocato Angelo Pisani, che dopo averlo accompagnato dal magistrato è rimasto con lui per quasi tutta la giornata. «Quello che è successo l’altra sera – dice Salvatore – l’ho riferito al pm e non ho trascurato nemmeno un particolare. Stavo andando ad affittare un film per vederlo a casa insieme ai miei, e mi sono accorto di questo scooter che mi seguiva. Ho accelerato e quelli hanno accelerato di più, e me li sono ritrovati accanto».
Più che seguirlo lo inseguivano. «Ho girato per tornare verso una strada più trafficata, ma anche loro hanno invertito la marcia. Era buio, non ho capito che erano due ragazzini. Eppoi io in pratica ho visto in faccia soltanto quello che stava seduto dietro, il diciassettenne, che tra l’altro indossava un cappello, perché era lui che mi puntava la pistola». Dell’altro ha sentito la voce: «Urlava “sparagli”. E’ stato in quel momento che ho rallentato e ho sparato io. Un colpo soltanto: volevo fermarli, non ammazzarli».
E per un po’ Salvatore ha creduto davvero di averli soltanto fermati: «Sono scappati immediatamente, e io ho pensato di averli semplicemente messi in fuga. E pure quando sono andato all’ospedale di Giugliano per riconoscerne uno, ho creduto che non fosse successo nulla di grave: era ferito a una mano, e io avevo sparato una sola volta. Quindi l’altro ritenevo che fosse rimasto illeso».
In questura, invece, gli hanno detto che era morto: «Non riuscivo a crederci. Ripetevo che avevo sparato soltanto un colpo, e nemmeno ad altezza d’uomo. Ho sparato dall’alto verso il basso, non volevo colpirli». Da quel momento l’agente non è più tornato a casa: vive in un quartiere vicinissimo a Secondigliano, e per questioni di sicurezza dall’altra notte dorme in caserma.
FLAVIO BUSI – Corriere della Sera 6 gennaio 2002
