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giovedì, Marzo 28, 2024
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Il carburante è il nuovo ‘oro’ della camorra, gli affari fermano guerra e killer

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Una nuova inchiesta svela che il carburante è il nuovo ‘oro’ della camorra, tanto da fermare la guerra e un killer. Stamattina nelle province di Salerno, Napoli, Avellino, Caserta, Cosenza e Taranto, i Comandi Provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza di Salerno e del Nucleo di Polizia Economico — Finanziaria di Taranto impiegano complessivamente oltre 410 uomini per dare esecuzione a due Ordinanze applicative. Applicate 45 misure cautelari personali. Nello specifico si tratta di 26 persone portate in carcere, 11 agli arresti domiciliari, 6 destinatari di divieto di dimora. Infine due misure interdittive della sospensione dall’esercizio delle rispettive funzioni di due appartenenti al Corpo per la durata di sei mesi.

Inoltre sequestrati immobili, aziende, depositi, flotte di auto-articolati, emesse dai GIP dei Tribunali di Potenza e Lecce, nei confronti di 45 indagati. Tutti indiziati di associazione mafiosa, associazione a delinquere finalizzata alla commissione di frodi in materia di accise ed IVA sugli olii minerali, intestazione fittizia di beni e società, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro di provenienza illecita. Operazione condotta su delega delle DDA di Potenza e Lecce impegnate in una indagine congiunta e coordinata a carico di oltre 100 indagati.

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LE INDAGINI

Dalle indagini, coordinate dalle menzionate DDA e svolte dalle sopra indicate forze di Polizia Giudiziaria, emergevano  distinte ma collegate organizzazioni criminali.  Variamente qualificate ai sensi degli art. 416 bis e 416 aggravato ex art 416 bis 1 cp. Operanti nei Distretti di Lecce e Potenza – e segnatamente nel Vallo di Diano, quindi nel basso salernitano. Così come nella Provincia di Taranto, ruotanti, tutte — talora in modo collegato ed in alleanza, talora in modo conflittuale – intorno ad importanti famiglie mafiose. Erano riconducibili al clan dei Casalesi ed ai clan mafiosi tarantini. Il core business era rappresentato da un contrabbando di idrocarburi che ha cagionato allo Stato danni economici per decine di milioni di euro. Parallelamente creando un eguale guadagno per tali sodalizi.

LA DROGA DOMINA NEGLI AFFARI DEI CLAN

L’indagine, svolta con grande spirito collaborativo e di coordinamento fra i diversi Uffici Giudiziari e di PG, ha confermato come la grande criminalità organizzata e le mafie nazionali, oramai, si finanzino in via assolutamente prevalente con di traffico di stupefacenti. Attraverso queste attività illecite di contrabbando che, nell’attualità, hanno raggiunto proporzioni gigantesche, cui mai si era arrivati nel passato.

Il meccanismo illecito disvelato sfrutta le maglie di una normativa che si è stratificata nel tempo e che, in un lodevole sforzo di liberalizzare il mercato ed incentivare la concorrenza e le attività agricole, ha paradossalmente incentivato un giro di frodi all’IVA e di evasione delle accise. Con poco rischio ha consentito ad una imprenditoria criminale e mafiosa di frodare lo Stato e mettere in un angolo la concorrenza onesta, accumulando in poco tempo centinaia di milioni di euro.

LA FIGURA DI MICHELE CICALA

Il filone investigativo riguardante la Provincia di Taranto, in particolare, fece emergere l’esistenza di una associazione di stampo mafioso. Era risorta dalle ceneri di altri sodalizi neutralizzati da precedenti attività investigative. Dopodichè si ricompattò attorno alla figura tarantina di Michele Cicala, già condannato con sentenze definitive anche per estorsione aggravata dall’utilizzo del metodo mafioso ed associazione per delinquere, con legami con componenti del clan tarantino Catapano – Leone.

Il sodalizio si caratterizzava per la capacità di controllo del territorio, con conseguente controllo dei traffici illeciti sviluppati nel contesto ambientale di riferimento, con conseguente reimpiego delle risorse economiche in numerose attività economico-commerciali. Alcune delle quali direttamente riconducibili all’organizzazione anche attraverso una fitta rete di prestanome. Si caratterizzò per un uso della violenza e delle armi che vennero messe al servizio della strategia criminale. Tutto acquisire il controllo di attività economiche e, in particolare, quella della distribuzione degli idrocarburi rivelatasi, come detto, estremamente lucrosa.

L’ACCORDO TRA GRUPPI CRIMINALI

E così nel corso delle indagini è emerso come, in tale contesto, l’associazione in esame utilizzando un innovativo know-how “fraudolento” nel settore del contrabbando di idrocarburi saldava la propria attività con quella gruppi criminali operanti da tempo nei medesimi settori con imprese che già avevano un loro mercato. Si accertava, così come i tarantini si alleassero con l’altro gruppo criminale, operante nel Vallo di Diano, a cavallo tra Basilicata e Campania, proprio nel settore nel contrabbando di carburanti sviluppando in modo coordinato attività contrabbandiere e, con i guadagni di tale attività, rilevantissimi investimenti e attività di riciclaggio.

In sostanza venivano vendute ingentissime quantità di carburante per uso agricolo, che come noto beneficia di particolari agevolazioni fiscali, a soggetti che poi lo immettevano nel normale mercato per autotrazione, assai spesso utilizzando le cosiddette “pompe bianche”.

LA VENDITA FITTIZIA DEL CARBURANTE

In concreto, i tarantini, oltre che per il raggiungimento delle proprie finalità, fornivano ai lucani periodicamente, un elenco di nominativi le cui identità fiscali e i libretti UMA venivano clonate. In modo che le imprese del sodalizio campano/lucano  potesse fatturare fittiziamente la vendita del carburante per uso agricolo a tali, ignari, imprenditori agricoli, mentre i realtà il prodotto veniva venduto in nero a operatori economici che lo immettevano fraudolentemente nel mercato per autotrazione con guadagni di circa il 50% sul costo effettivo di ogni litro di benzina e nafta venduti. Una vera e propria miniera di oro nero.

LA TECNICA DELLA FATTURA FITTIZIA

Inoltre, i due sodalizi, attraverso meccanismi informatici, ingannavano il sistema telematico dell’Agenzia delle Entrate, che non era in grado di consegnare la fattura elettronica al fittizio cliente/agricoltore apparente destinatario del carburante che, quindi, rimaneva inconsapevole della finta operazione di vendita effettuata utilizzando il suo nominativo.
Per quanto attiene, invece, il trasporto del prodotto, questo usciva dai depositi fiscali scortato da documenti falsamente attestanti il trasporto di gasolio agricolo. In caso di controllo da parte delle Forze di Polizia, l’autista azionava un apposito congegno elettromagnetico che azionava una pompa che iniettava il colorante (il carburante agricolo ha una colorazione diversa da quella del carburante normalmente usato per autotrazione) allineando il prodotto ai documenti esibiti.

IL TRUCCO DEI CAMION

In assenza di controllo, il camion giungeva ai depositi commerciali riconducibili agli indagati, simulava lo scarico del prodotto (sostando a favore delle telecamere di sorveglianza per un tempo compatibile a quello realmente necessario per le operazioni) simulava il carico di gasolio per uso autotrazione (con gli stessi accorgimenti) e ripartiva scortato da documenti fiscali di accompagnamento clonati rispetto alla numerazione del registro di carico e scarico attestanti il trasporto di gasolio per uso autotrazione che sarebbero stati registrati in caso di controllo.

Una volta giunto al destinatario finale senza controlli, il DAS clonato veniva strappato e l’operazione non registrata. Dunque si completava così la vendita in nero del carburante agricolo utilizzato invece e venduto (ad un prezzo quasi doppio) per normali fini di autotrazione. L’illecita attività ha fruttato rilevantissimi profitti, quantificati in circa 30 milioni di euro gni anno.

IL VERSANTE LUCANO

Sul versante lucano l’indagine – avviata su iniziativa di questa Direzione Distrettuale Antimafia alla fine del 2018 — partiva da una delega alla polizia giudiziaria ( in una fase iniziale i Carabinieri della Compagnia di Sala Consilina e del Nucleo Investigativo di Salerno, poi anche la GdF di Salerno) di procedere ad un’analisi ad ampio spettro sui territorio del basso salernitano. Allo scopo di individuare operatori commerciali prestatisi come terminale occulto per il reinvestimento di capitali illeciti da parte di sodalizi criminali esogeni.

L’attenzione veniva subito concentrata sulla posizione della società Carburanti Petrullo s.r.l. di San Rufo. Più in generale sulle società di carburanti del Gruppo Petrullo che palesava una serie di profili di incongruità, quali l’inspiegabile aumento esponenziale dei fatturati e degli investimenti nel giro di pochi anni. Per la la dinamica delle loro dimensioni, struttura, relazioni e comportamenti “spia” –

L’OPERAZIONE RE MIDA

Emergeva così dalle indagini che il rilevantissimo boom economico della ditta Petrullo coincideva con l’ingresso nelle compagini societarie dei Petrullo, quali soci e gestori di fatto, dei componenti della nota famiglia casertana dei Diana. I componenti investirono nell’impresa, in forma occulta, capitati provenienti – con ragionevole certezza e comunque a livello di gravità indiziaria – da pregresse attività illecite.  Specie nel settore del traffico di rifiuti, attività di rilevantissime dimensioni (cosiddetta “Operazione Re Mida”) in relazione alle quali era stata contestata, a suo tempo, dalla Procura di Napoli, a Raffaele Diana, l’aggravante della finalità agevolatrice del clan dei Casalesi.

INDAGINE DAL 2019

Dall’inizio del 2019 condotte — sia dalla DDA di Potenza che da quella di Taranto e dalle rispettive polizia giudiziarie – mirate attività tecniche. Oltre alle classiche intercettazioni telefoniche si è ricorso a captatori informatici, dispositivi gps e microfoni ambientati. Nei corso dei complessivi 14 mesi dell’inchiesta  avviata (alla fine del 2017) una verifica fiscale ai fini delle accise e dell’IVA nei confronti delle società del Petrullo. Inchiesta supportata dalle attività svolte Nucleo di Polizia Economica Finanziaria della Guardia di Finanza di Salerno che, sulla base di autonomi input info-investigativi.

Al fine di appurare potenziati condotte evasive poste in essere nella compravendita di prodotti petroliferi. La DDA di Potenza contestava ai componenti del gruppo economico criminale, facente capo a Petrullo ed ai Diana anche il delitto di associazione a delinquere aggravata dalla finalità di agevolare il clan dei Casalesi. Oltre che i numerosissimi reati di contrabbando, frodi all’IVA, estorsioni e truffe. Svelata la penetrazione in un nuovo territorio ancora immune da tale fenomeno (quello del Vallo di Diano) di una imprenditoria criminale apripista del sodalizio mafioso.

IL CANALE PRIVILEGIATO

Accertato, fin dai primissimi riscontri, che la società, attiva nel mercato del commercio di prodotti energetici, era in concreto divenuta il canale privilegiato attraverso il quale la famiglia Diana si era infiltrata nel tessuto economico-sociale del Vallo di Diano.  Stringendo a questo scopo un pactum sceleris con Massimo Petrullo, titolare dell’omonima società di carburanti. Ritenuta avamposto dei Casalesi in quel territorio e con altri esponenti dell’imprenditoria locale.

In ragione della complessità della materia sotto il profilo fiscale affidato al Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Salerno e Taranto. I due corpi quantificarono e certificarono l’illecito profitto ottenuto dal sodalizio attraverso la sistematica evasione di accise ed IV. Affiancarono gli investigatori dell’Arma nella ricostruzione delle diverse fasi dell’articolata frode.

CONTATTI TRA DIANA E PETRULLO

Contesto investigativo esteso a partire almeno dal 2015. Quando si rivelarono i primi contatti tra il Raffaele Diana e Massimo Petrullo. Quando nacquero i rapporti commerciali tra questi ed aziende del casertano. Senza dimenticare quelli stabili con le aziende riferibili al clan mafioso tarantino. .

I capitali così illecitamente acquisiti venivano successivamente reimpiegati, tra l’altro, nell’acquisizione di beni immobili e quote societarie. Realizzata così un’economia illecita “circolare”. Permetteva alla famiglia Diana di affermarsi gradualmente quale player commerciale di riferimento nella compravendita illegale di idrocarburi nel Vallo di Diano, alterando pertanto le dinamiche del libero mercato e della concorrenza.

IL TENTATO OMICIDIO

Tra i due gruppi campano-lucano e quello tarantino, nondimeno, dopo una stretta e proficua collaborazione, sorsero forti fibrillazioni. Soprattutto legate al fatto che Petrullo, resosi conto di aver quasi completamente perso la concreta gestione della propria società (ormai di fatto in mano ai Diana), tentò di accordarsi in segreto con i tarantini. Tali attriti non sfociati in una vera e propria “guerra”. Solo in ragione del mutuo interesse a non sollevare eccessivi allarmi sulle attività illecite perpetrate, estremamente lucrose per entrambe le parti. Assoldarono, perfino, un killer per uccidere Raffaele Diana, tentativo poi abbandonato.

GLI AFFARI CON IL CONSORZIO DI BONIFICA DEI BACINI

Varie, del resto, le ulteriori condotte illecite accertate al termine delle investigazioni. Scoperti reati come estorsione, illecita detenzione di armi, turbata libertà degli incanti, dichiarazione fraudolenta, falsità ideologica e nella tenuta dei registri. Inoltre favoreggiamento personale, rivelazione di segreto e corruzione per atti contrari ai propri doveri, etc. Scoperta anche la partecipazione ad una gara per la fornitura di carburanti a favore del Consorzio di Bonifica dei Bacini del Tirreno Cosentino, aggiudicata attraverso un accordo irregolare. Tutto ciò garantito dalla vicinanza con un esponente della criminalità locale, in grado di imporsi anche in un territorio differente da quello di elezione.

Acclarato il pieno coinvolgimento in questo episodio di un dipendente del Consorzio, oggi sottoposto agli arresti domiciliari. Ricostruito il ruolo di informatore tenuto da un carabiniere “infedele” che, in cambio di svariate taniche di gasolio poi vendute a terzi, ha fornito al sodalizio informazioni inerenti alle attività d’indagine a carico dei consociati.

SEQUESTRATE LE SOCIETA’ DI CARBURANTI

Nei confronti del militare – condotto in carcere – l’Arma, d’intesa con l’Autorità giudiziaria, assunse immediatamente assunto provvedimenti di rigore al manifestarsi del suo coinvolgimento. Trasferito, già nel novembre 2019, fuori dalla provincia salernitana in incarico non operativo.

Particolarmente notevole l’entità delle misure reali, accolte dai GIP di Potenza e Lecce. Disposto il sequestro preventivo delle società Carburanti Petroli s.r.l., Dipiemme Petroli s.r.l., Tor Petroli s.r.l., Autotony s.r.l. Ed altri 8 compendi aziendali oltre a denaro contante, veicoli, camion, autocisterne, immobili, beni di pertinenza dei singoli indagati. Fino alla concorrenza di un ammontare complessivo di circa 50 milioni di euro.

LE PAROLE DI DE RAHO

Nel corso della conferenza stampa sull’operazione “La febbre dell’oro nero”, che si è tenuta nel Palazzo di giustizia del capoluogo lucano, il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, in videocollegamento, ha evidenziato che “l’infiltrazione mafiosa nel settore della commercializzazione degli idrocarburi è uno degli aspetti più significativi dell’evoluzione dei gruppi criminali”.

NOMI DEGLI ARRESTATI

In carcere sono finiti il 55enne Raffaele Diana residente a San Pietro al Tanagro, il 25enne Giuseppe Diana di San Cipriano D’Aversa (CE), il 32enne Vincenzo Diana di San Cipriano D’Aversa (CE), il 47enne Massimo Petrullo di Polla; il 57enne Antonio Latronico di Sala Consilina, il 50enne Marcello Paparello di Eboli, il 29enne Antonio De Rosa di Altavilla Silentina, il 54enne Luigi Luisi di Sicignano degli Alburni, la 57enne Maddalena Luisi di Sicignano degli Alburni, il 45enne Alfonso Siano di Polla, il 55enne Raffaele Annunziata di Polla, il 40enne Antonio Siano di Polla, il 40enne Michele Cicala di Taranto, il 44enne Pietro Busicchio di Taranto, il 55enne Giacinto Costantino di Lamezia Terme (CZ).

Arresti domiciliari, invece, per il 49enne Francesco Pascarella di Maddaloni (CE), il 51enne Antonio De Luca di Polla, il 58enne Gino De Luca di Polla, il 36enne Yuri Garone di Atena Lucana, il 51enne Luigi Impembo di Roccadaspide, il 43enne Fabio Iannotti di Praia a Mare (CS), il 52enne Antonio Iannotti di Praia a Mare (CS), il 57enne Felice Balsamo di Sala Consilina, il 56enne Nicolae Olaru residente a Timisoara, in Romania.

Divieto di dimora, infine, per il 69enne Luigi D’Elia di Morigerati, la 24enne Giovanna Sabia di Sala Consilina, il 45enne Michele Mosca di Napoli, la 43enne Teresa Lanzara di Nocera Inferiore, il 22enne Antonio La Marca di Napoli, il 36enne Salvatore Di Puorto di San Cipriano D’Aversa (CE).

IL VIDEO DEL BLITZ

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