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sabato, Aprile 27, 2024
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La rabbia di Cosimo Di Lauro dopo l’omicidio del suo pupillo:« Ora decido tutto io»

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Erano un’unica cosa. Due fratelli. Cresciuti insieme all’ombra dei casermoni di cemento del terzo mondo di Secondigliano. Un’amicizia quella tra Cosimo Di Lauro e Fulvio Montanino cresciuta anche criminalmente con il secondo divenuto in breve tempo il suo guardaspalle e l’unico che godesse dell’assoluta fiducia di ‘F1’. Tutti a Secondigliano sapevano che l’omicidio di Montanino (e di suo zio Claudio Salierno) era un ‘messaggio’ diretto a Cosimo, la ‘dichiarazione di guerra’ firmata dai Marino, dagli Amato, dai Pagano, dagli Abete contro la ‘nuova gestione’ e la politica di svecchiamento avviata da tempo da Di Lauro junior. Quell’omicidio secondo diversi collaboratori di giustizia segnò profondamente Di Lauro che perse definitivamente la bussola ordinando la guerra totale. E’ questa la storia dell’omicidio di Fulvio Montanino: del ras che “Di Lauro aveva nel cuore”,la cui foto è stata pubblicata in esclusiva su Internapoli (leggi qui l’articolo). Di quel duplice delitto hanno parlato in tanti a partire da Gennaro Notturno ‘o sarracino: «Verso marzo o aprile 2004 ci trovavamo nel nostro quartiere, in via Bakù , quando a miocugino Arcangelo Abete viene in mente di uccidere Fulvio Montanino. Eravamo presenti io e mio fratello Enzo». Anche Rosario Pariante addirittura disse ai magistrati che il ‘via libera’ per quel delitto eccellente avvenne in un aula di tribunale quando affermò che «venne in aula Abete e si trattava di un fatto eccezionale dal momento che lui non si faceva mai vedere in giro. Mi fece capire che c’era tutto un gruppo di affiliati che si sentiva in pericolo rispetto a Paolo Di Lauro e ai figli. Io chiesi da chi venisse questo pericolo e feci segno mimando il gesto del codino per indicare Cosimo. Abete fece quindi cenno di si. Con la scusa di fumare, io e i tre fratelli Abbinante ci appartammo nel ballatoio che comunica con la gabbia. Eravamo tutti d’accordo a reagire e fui io a dare l’ordine di uccidere mimando con il labiale il nome di battesimo. Dissi Fulvietto».

La vicenda processuale

Per quel duplice delitto la Corte d’Assise d’Appello di Napoli ha condannato a 30 anni Cesare Pagano, Carmine Pagano, Antonio Della Corte, Arcangelo Abete, Angelo Marino, Gennaro Marino, Vincenzo Notturno Notturno e Ciro Mauriello. Sconto di pena più consistente per Rito Calzone, Francesco Barone (la cui mamma, Carmela Attrice, venne uccisa proprio nei primi mesi della faida perchè non volle lasciare le Case Celesti), e Roberto Manganiello: ciascuno di loro è stato condannato a 21 anni di reclusione, a fronte del precedente ergastolo. Il collaboratore di giustizia Gennaro Notturno, che ha fatto luce su quella storia, ha ottenuto invece 18 anni di reclusione. Assolti invece i fratelli del Monterosa Antonio e Guido Abbinante. Gli Abbinante erano stati accusati di essere stati, insieme al boss poi pentito Rosario Pariante, i mandanti dell’omicidio Montanino. Il ras che era l’ombra di Cosimo Di Lauro, il ‘colonnello’ la cui morte rappresentò la prima ‘crepa’ nel cuore del clan di via Nuova Cupa dell’Arco.

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La rabbia di Cosimo Di Lauro per la morte di Montanino

Quello che accadde dopo quel duplice omicidio è storia conosciuta con particolari riferiti ai magistrati da un altro collaboratore di giustizia, Antonio Prestieri. L’ex ras del Monterosa ha spiegato ai magistrati che «Cosimino era visibilmente agitato e molto colpito dalla morte di Montanino». Quel giorno, tanto era la collera, che Di Lauro junior ignorò un messaggio fattogli recapitare dal padre attraverso un pizzino in cui il capoclan raccomandava al giovane di ragionare e di non reagire d’istinto:«Cosimo non volle sentire ragioni ed esprimendosi duramente nei confronti del padre, disse a Peppe che avrebbe dovuto riferire a Paolo Di Lauro che il suo momento era tramontato, ed ora era lui a decidere, e non voleva discutere con nessuno. Pepesce, forte della sua anzianità di militanza nel clan, tentò di convincere Cosimo che il consiglio del padre andava seguito, ma Cosimo non volle sentire ragioni».

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