Ogni giorno, con un semplice click, acquistiamo vestiti a prezzi incredibilmente bassi, consegnati rapidamente e spesso accompagnati dalla promessa di “essere alla moda” senza spendere troppo. Ma quel capo, apparentemente innocuo, è molto più di un semplice prodotto. È il risultato di un sistema che sfrutta il pianeta e le persone per mantenere in vita un circolo vizioso di consumismo rapido e usa-e-getta.
Per anni ci hanno fatto credere che lo shopping potesse essere una forma di terapia per i nostri disagi emotivi. Una manovra di marketing ben orchestrata per portarci dolcemente verso l’acquisto compulsivo. Il fast fashion, ovvero la moda a basso costo, ci fa sentire liberi di scegliere, di colmare un vuoto, anche solo apparente. In realtà, però, ci rende complici di uno sfruttamento globale.
Dietro il prezzo basso ci sono vite sfruttate e ambiente danneggiato
Dietro quelle t-shirt vendute a pochi euro o quei vestiti che durano solo una stagione, spesso una sola serata, si nascondono manodopera precaria e condizioni di lavoro disumane. Questo accade soprattutto in paesi poveri dove la tutela dei diritti è minima o inesistente. Donne, uomini e, troppo spesso, anche bambini sono costretti a turni massacranti. Sono pagati meno del necessario e privi di qualsiasi sicurezza o tutela.
E mentre noi scrolliamo e clicchiamo comodamente seduti sul divano, in quei luoghi si consumano vite che producono i nostri sfizi per apparire.
Non è solo un problema umano: il pianeta stesso è una vittima silenziosa. L’industria tessile è responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di gas serra. Un dato che supera l’impatto di tutti i voli internazionali e del traffico marittimo messi insieme.
Solo per produrre una singola t-shirt servono circa 2700 litri di acqua, una quantità sufficiente a soddisfare il fabbisogno idrico di una persona per due anni e mezzo. Inoltre, ogni anno vengono prodotti circa 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. Di questi, solo una minima parte viene riciclata, il resto finisce in discariche o, peggio, inquina mari e fiumi.
È incredibile pensare al costo reale di quella t-shirt che abbiamo nel cassetto e che magari non abbiamo mai indossato.
Il caso Shein è l’illusione green che nasconde uno sfruttamento reale
Il 4 agosto, l’Antitrust italiano ha multato Shein con una sanzione da 1 milione di euro per pratiche di greenwashing. Il greenwashing consiste nel presentare un’immagine di sostenibilità per attirare consumatori sensibili all’ambiente, senza però adottare azioni concrete e verificabili a sostegno di questa narrativa.
Shein ha propagandato una moda “sostenibile” con messaggi vaghi e ingannevoli, privi di dati concreti e verificabili. Nel frattempo, però, continua ad aumentare la produzione e le emissioni.
Questo caso rappresenta una doppia truffa. Da un lato, lo sfruttamento reale delle persone in condizioni difficili. Dall’altro, l’illusione di una moda etica e sostenibile che viene venduta ai consumatori senza alcuna base reale. È una maschera di facciata che nasconde le ferite profonde del sistema fast fashion.
Va detto che questo non è un caso isolato. Solo poche settimane prima, la Francia ha inflitto a Shein una maxi multa da 40 milioni di euro per analoghe ragioni. Altri paesi europei stanno valutando provvedimenti simili, mentre la pressione pubblica cresce e la domanda di trasparenza diventa sempre più urgente.
Fast fashion, un inganno sistemico.
Il fast fashion si basa su una logica di iperproduzione e consumo immediato. Le collezioni si susseguono a ritmi settimanali. Gli abiti sono prodotti in serie gigantesche, a costi bassissimi e qualità spesso scadente. Sono concepiti per essere venduti rapidamente e poi gettati.
Questa dinamica impone ritmi insostenibili alle fabbriche e costringe lavoratori e lavoratrici a condizioni estreme. Nel frattempo, il pianeta paga il prezzo con inquinamento, consumo e spreco di risorse.
La sostenibilità non si risolve con l’uso di qualche materiale riciclato o con certificazioni di facciata. Serve un cambio radicale di modello produttivo e culturale, oggi del tutto assente. Quando acquistiamo un capo a pochi euro, stiamo pagando un prezzo nascosto che vede vite sfruttate, ambienti distrutti e armadi pieni di abiti scadenti che useremo poco o niente.
Come spezzare il circolo vizioso?
Per spezzare questo circolo vizioso, è fondamentale rivedere il nostro modo di pensare la moda e di consumarla. Non si tratta di comprare di più, ma di comprare poco e meglio, con consapevolezza e attenzione.
Dobbiamo reimparare a rallentare e a ridurre i nostri acquisti. Ogni volta che desideriamo un nuovo capo, domandiamoci: ne ho davvero bisogno? E il suo valore umano, ambientale e materiale giustifica il prezzo che sto per pagare?
Un esercizio semplice ma efficace è quello di riempire il carrello online e poi attendere 24 ore prima di procedere con l’ordine. Il giorno dopo, con la mente più lucida, scopriremo che buona parte di quegli articoli erano desideri passeggeri, inutili e indotti.
Non servivano a vestirci. Servivano a riempire un vuoto che lo stesso scrollare ci ha creato.
Scelte consapevoli e azioni concrete
È importante oggi provare a scegliere prodotti di qualità, preferendo marchi che dimostrano un reale impegno verso i lavoratori e l’ambiente. Marchi che non si limitano a usare parole vuote o strategie di marketing.
Sostenere alternative etiche è un altro passo importante. Possiamo orientare le nostre scelte verso prodotti artigianali, capi vintage o realizzati da realtà locali, che rispettano le persone e il territorio in cui operano.
Allo stesso tempo, è essenziale informarci e condividere consapevolezza con chi ci sta intorno. Invece di limitarsi a scrollare per comprare, proviamo a scrollare per informarci. Cerchiamo storie e dati che ci aiutino a capire meglio cosa c’è dietro ogni capo.
Infine, praticare il riuso e la riparazione può fare la differenza. Allungare la vita dei nostri vestiti con semplici riparazioni, scambi con amici o idee creative è un modo concreto per contrastare lo spreco e dare nuova vita a ciò che già possediamo.
La vera libertà è scegliere con responsabilità.
Il caso Shein è solo una delle tante spie accese nel mondo della moda. La vera libertà oggi non sta nello scegliere tra mille vestiti usa e getta, ma nel decidere di non essere più complici di uno sfruttamento che danneggia il pianeta, chi ci lavora e le nostre future generazioni.
Il prezzo più basso non è mai solo un numero sul cartellino. È il peso silenzioso di storie spezzate e di un pianeta che ci sta chiedendo aiuto. Quei soldi spesi in fretta possono diventare un gesto di spreco, ma anche un’opportunità di cambiamento.
Prendiamoci un momento per ascoltare davvero, per capire cosa c’è dietro a ogni capo che scegliamo. Perché ogni acquisto è una scelta che racconta chi siamo e cosa desideriamo per il futuro.