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giovedì, Marzo 28, 2024
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«Il mare c’è ancora a Napoli?», il particolare incontro dei detenuti di Poggioreale

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«Il mare c’è ancora a Napoli?», il particolare incontro dei detenuti di Poggioreale

Una riflessione sulla società di oggi che promette consumi di massa ma che fornisce i mezzi solo a pochissimi. Questo l’obiettivo del ciclo di incontri “Pena e società oggi” per i detenuti che ha aperto le porte della casa circondariale napoletana di Poggioreale agli studenti di Giurisprudenza e Scienze Politiche dell’Università Federico II di Napoli.

Il progetto, nato la metà dello scorso maggio e realizzato su iniziativa del professore Francesco Marco De Martino. Troverà il suo epilogo nella visita in programma il prossimo 3 luglio alla quale parteciperà anche il docente di storia delle mafie dell’Unisob Isaia Sales con un discorso che concluderà un percorso durato circa due mesi.

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Spesso sono loro, i detenuti, a fare domande agli studenti, tra il serio e il faceto. “Cosa si prova ad essere qui?”, oppure, “Ma parlando di cose serie, il mare c’è ancora a Napoli?”. Ragazzi poco più che maggiorenni e uomini di ogni età si appiccicano agli universitari alla ricerca di confronti, dialoghi, intese e anche scontri.

“Sono loquaci, interattivi e spigliati”, dice Ilaria, studentessa al quarto anno di Giurisprudenza, “mi hanno chiesto cosa ci facessi qui. Ho risposto che volevo sentire cosa avessero da dirmi, volevo sapere cosa ci fosse oltre i libri che studio. Volevo sapere come vivono i loro giorni e se ci fosse qualcosa di cui avessero bisogno”. A farsi avanti per raccontare meglio la sua storia è stato Raffaele Starace, ospite del padiglione Livorno. “Ho deluso i miei genitori imbattendomi in quella piaga sociale che è la droga…chiedo perdono alla mia famiglia, a chi ho arrecato danni e a chi, se ne  avessi la possibilità, risarcirei pur convinto che abbia gettato nell’oblio le mie malefatte che sto ancora pagando con lunghe detenzioni”.

Al suo ventisettesimo anno di reclusione,

Raffaele sceglie di mettere nero su bianco parole dure, un grido di protesta contro una società che, a suo dire, è ingiusta. “Il magistrato di sorveglianza mi ha concesso la detenzione domiciliare con affidamento diurno al SERT di Casavatore dove ho trascorso diciotto mesi con ottime considerazioni da parte gli operatori del centro. Mi era stata proposta una possibilità lavorativa ma – ricorda il detenuto – una mattina, mentre a piedi mi recavo al centro, ho avuto un malore”.

“Non avevo il telefono – dice ancora – e sono ritornato a casa per avvisare i responsabili e i funzionari pubblici. Ho subìto un controllo delle forze dell’ordine che hanno verificato il mio stato di malessere fisico. Poi mi hanno portato nel posto di polizia di zona e contestato un’evasione. E’ stato un episodio di bullismo”. A causa di questo, dice ancora Starace, ora “sono un uomo confinato in una cella sei metri per quattro, con altre nove persone. Ogni giorno mi chiedo se ritornerò a delinquere o ne uscirò sano” perché “non sempre la giustizia è indulgente con chi ha deciso di cambiare la sua vita in positivo”.

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