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sabato, Aprile 27, 2024
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Lello Arena su Massimo Troisi: “Ora tutti lo celebrano ma ha avuto tante porte in faccia”

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Lello Arena su Massimo Troisi: «Ora tutti lo celebrano ma ha avuto tante porte in faccia»  «All’inizio di lui dicevano: ma dove crede di andare? Non si capisce una parola di quello che dice. Ficarra e Picone mi hanno anticipato l’ipotesi che il David di Donatello dello spettatore sia intitolato a lui».

Lo storico amico di Massimo Troisi, Lello Arena, rilascia un’intervista per il Corriere del Mezzogiorno dove ricorda il suo caro collega.

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L’intervista di Lello Arena per il Corriere del Mezzogiorno

Lello Arena è lo storico amico di Troisi ed esponente della nuova comicità napoletana (portata alla ribalta dal gruppo teatrale La Smorfia nella seconda metà degli anni settanta), assieme a Massimo Troisi ed Enzo Decaro. Ha rilasciato un’intervista per il Corriere del Mezzogiorno. Qui si può leggere:

«Me le ricordo le porte in faccia, Massimo ne ha prese tantissime. Oggi è tutto un celebrare la sua genialità… ma all’inizio non lo hanno capito. Ricordo perfettamente i commenti da parte della cosiddetta classe dirigente del mondo dello spettacolo: “Ma chi è questo Troisi, ma che dice? Non si capisce una parola, che vuole fare? Dove vi avviate? Insomma non gli srotolavano tappeti purpurei! Noi non ci siamo mai fatti scoraggiare ma le porte in faccia facevano male lo stesso».

Lello Arena, Massimo Troisi non lo capivano per il dialetto?
«No no, mica per quello. Non lo capivano per quel suo modo di parlare così unico che oggi tutti osannano. Adesso è facile. Potrei fare nomi e cognomi di chi ora lo onora — e magari dice pure di averlo sostenuto dall’inizio — e un tempo non lo riceveva neppure. Ma non li farò».

Eppure, in tutto questo celebrare — mai un settantesimo compleanno post mortem ha visto una tale mobilitazione di forze creative, intellettuali e istituzionali — qualcosa va detta.
«È molto bello che ci sia questa “voglia di Massimo” e che ognuno la esprima con le sue competenze e talenti. Però bisogna stare molto attenti che tutto ciò abbia a che fare con la sua persona. I settanta di Troisi sarebbero stati importantissimi se lui fosse stato nella condizione di compierli veramente. Oggi è una festa postuma piena di presenze illustri: la Federico II grazie a Enzo Decaro gli conferirà lunedì la laurea honoris causa e i miei amici Ficarra e Picone mi hanno anticipato che c’è l’ipotesi che il David di Donatello cosiddetto dello spettatore sarà intitolato a lui. Tutto ciò è fonte di grandissima gioia, ma per me che questa storia l’ho vissuta e raccontata in un libro (C’era una volta) è il tempo di metterm da parte e lasciare che altri la reinventino. Per mio alto privilegio la sua è una parabola in cui sono molto presente, ho condiviso quella leggenda che oggi stiamo festeggiando. Standoci fin troppo dentro è chiaro che debba muovermi in punta di piedi: essere parte della festa che lo riporta sugli schermi e sui palchi, ma restare al margine. Del resto egli stesso era molto riservato, intimo, privato. Quello che potevo fare per Massimo e con Massimo l’ho già fatto prima».

E c’è qualcosa che non rifarebbe?
«Non ho rimorsi ma rimpianti: il rimorso è qualcosa che insorge quando hai fatto del male volontario a una persona e non puoi più far nulla per riparare. I rimpianti ci accompagnano per tutta la vita: ci sono cose che non farei, ma nel bilancio vengo confortato da tutte le cose belle che siamo riusciti a fare insieme. Quello che cambierei è poca cosa rispetto a ciò che non cambierei mai per tutta la mia vita. Il problema è che Massimo non ci sta più: se ci fosse ancora, prenderei il telefono e potrei fare di meglio di quello che ho fatto. Ma lui non c’è e la sua assenza cristallizza le cose fatte e quelle che si potevano fare in maniera diversa. In conclusione: rimpianti tantissimi, rimorsi zero e cose belle a migliaia. E questo mi rende contento».

Per i campani della generazione-Troisi, ovvero quella del terremoto dell’Ottanta, due sono le date su cui ci si confronta nelle serata tra amici: dov’eri quando è venuto il sisma e dov’eri quando è morto Troisi. Lei dov’era?
«Eh… Ero al Villaggio Olimpico pieno palloncini colorati e musica perché mia figlia stava facendo il saggio di ginnastica artistica: ero immerso in un’atmosfera di bellezza ed esuberanza della vita. In quella gioia arrivò una telefonata terrificante che mi annunciava la tragedia».

Chi l’avvisò?
«Gaetano Daniele… sì credo fosse lui. È un ricordo atroce. Ancora oggi faccio i conti con il fatto che non uscirà il prossimo film di Massimo perché la sola idea che si vivesse aspettando un suo nuovo lavoro, in tv, a teatro al cinema, era confortante. Questo mi manca molto, è una cattiveria insopportabile».

La sua presenza di artista era incoraggiante per chi non aveva niente: aveva destrutturato tutte le convenzioni arrivando a No Stop senza scenografia, con lei e Decaro e quattro pannetti come costumi.
«Era una speranza per tutti quelli come noi che ci siamo sempre sentiti fuori posto, incapaci, a disagio, fuori gioco perché non capivamo come funzionava il meccanismo del mondo dello spettacolo. Il messaggio che arrivò era: non dovete preoccuparvi di sentirvi “fuori luogo”, cercate piuttosto di capire che cosa siete veramente: il resto devono farlo gli altri, non dovete vendergli voi la merce. E questo messaggio fu passato con una cifra unica. Massimo poteva dire quello che voleva senza sembrare blasfemo».

Tipo?
«Tipo come parlava dei santi: sono certo che se San Francesco lo avesse sentito avrebbe applaudito pure lui, consapevole di aver esagerato con quel suo dono di parlare agli uccelli : e San France’ basta mo! Così come per Giuda e la tortura: “Io parlo subito anche se mi dicono: guarda che forse ti torturiamo io già parlo. E se non capiscono gli faccio anche un disegnino”. E potremmo fare migliaia di esempi in cui Massimo aveva il coraggio di parlare delle nostre debolezze umane: perché noi siamo così».

Eravate sghembi e imperfetti e questo abbiamo amato in voi. Oggi ai giovani si chiede di essere performativi e fotogenici a favore dei social.
«Non solo: sta passando il messaggio per cui si esibisce una qualche diversità per la quale si chiede dignità e tolleranza. Il messaggio di Massimo era un altro: io sono come tutti, imperfetto come tutti e perciò mi dovete accogliere non accettare che è un’altra cosa. La diversità non entrava nel novero delle possibilità attribuibili ad un essere umano: per questo era meraviglioso».

 

 

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