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martedì, Marzo 19, 2024
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Nel nome di Giovan Battista Basile, 25 anni di chiacchiere e tabbacchere ’i ligmamme

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di Emmanuele COPPOLA

In questa presuntuosa Città del niente resiste solo la vacuità dell’effimero

Si è sempre cercato di scopiazzare il Progetto elaborato dal 1995 al 2000

Leggo da qualche parte, come un abusivo, che si vuole programmare un’altra riesumazione di Giovan Battista Basile, e mi conforta immaginare che dal fosso se ne trarrà qualcosa, con la speranza che non sia poi, il tutto, destinato ad essere gettato nel trabucco, come si usa fare per chi non ha lasciato eredità di affetti.

Non riesco a nascondere la delusione che si accompagna ai fallimenti, dopo aver cercato di credere che veramente sulla questione del Basile si sarebbe trovata una soluzione, ovvero la convinzione di dover perseguire una continuità programmatica ed omogenea, e che non si sarebbe continuato a fare il Gioco dell’oca, ricominciando sempre daccapo per la smania di inseguire, invece, la prospettiva di una fumosa originalità.

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Dico questo, perché avremmo dovuto celebrare quest’anno la 25ª edizione del Premio Letterario Nazionale intitolato a Giovan Battista Basile, ufficialmente istituito a Giugliano nel 1995.

Invece, ancora una volta, probabilmente, si maturerà l’intenzione di ripartire con il piede sbagliato, dopo aver segnato il passo con le carte in mano, per cercare di capire da che parte andare per poter arrivare in un luogo inesplorato, là dove si spera di non trovare nessuno che possa poi vantare di esserci già stato.

Questa è la politica assolutoria di chi non vuole assumersi la responsabilità, etica e morale, di giudicare, nel bene e nel male, la condotta dei suoi predecessori, di chi si è programmato di ricominciare daccapo, cioè da zero, inalberando una nuova bandiera, sulla quale campeggia il motto ‘‘Scurdammece ‘o passato’’.

Ovviamente, io non intendo riferirmi, con ciò, alle dinamiche amministrative della Politica, bensì alla Questione della Cultura, che la dovrebbe attraversare come una traccia di continuità indelebile. Tutti gli Amministratori che io ricordo di aver frequentato, negli ultimi quarant’anni, per interesse culturale, hanno sempre parlato di questo difficile argomento, ed alla fine delle loro esperienze si son quasi sempre trovati a considerare di aver cercato di raccogliere l’acqua con il crivello. Lo dico con serenità, e per cognizione di causa, perché tutti sappiamo che non ci hanno lasciato niente. Correggo il tiro: non ci hanno lasciato nessuna continuità culturale. Ed è, questo, l’aspetto della Questione che più mi interessa, e sul quale sarò sempre ben disposto a confrontarmi.

Mi disturba la saccenza di quanti credono di avere mezzi, risorse, argomenti e autorità per potere sempre ricominciare daccapo in questo paese di incompiuta normalità destabilizzante, in questa presuntuosa Città del niente, nella quale resiste solo la vacuità dell’effimero, che è la sua unica identità culturale, sulla quale crescono, in simbiosi, la dissoluzione sociale e l’approssimazione di una generica rappresentanza politica che il popolo produce per partenogenesi.

Io, ovviamente, parlo sempre ed ancora di Cultura, della quale bisogna occuparsi con competenza e meticolosa attenzione, perché ad essa dovrebbe essere informata una lungimirante azione sociale politica ed amministrativa. Non a caso, a Giugliano, la delega alla Cultura è rimasta quasi sempre nelle mani del Sindaco di turno. E stiamo parlando degli ultimi ventotto anni, durante i quali si è tentato di legare ad essa il nome di Giovan Battista Basile come unica e significante identità territoriale. Per questo, insisto ancora sulla Questione Basile, con l’intento di denunziare qualsiasi altra mistificazione improduttiva che tenda ad ignorare le competenze professionali preesistenti e le risorse storiche locali che hanno dato ampia prova di efficienza, progettualità e lungimiranza. Tali sono i validi rappresentanti dell’associazionismo culturale, teatrale, artistico e musicale. Intendo dire, di Giugliano.

Al di fuori di questi sognatori incalliti, perduti tra le nebbie di una metaforica Città del Sole, ed esclusi come tanti Lazzari dalla mensa del ricco Epulone, si è poi prodotta la cultura dell’effimero, che non ci hai lasciato niente, come l’ologramma di una scenografia tridimensionale da vedersi al buio.

Dopo di loro, tutti, indistintamente, hanno cercato di inventarsi qualcosa per essere originali e innovativi, sempre con il supporto occasionale dell’Amministrazione comunale, ma rielaborando di fatto parti e frustoli del Progetto che per primo era stato meticolosamente ideato e articolato e adottato nelle prime quattro edizioni nazionali, dal 1995 al 2000. Sappiamo, poi, perché – ad esempio – il Progetto Basile non si fece nel 1999, 2001, 2002 e 2003; perché fu maldestramene riesumato in altre successive annualità; come riuscì a riveder le stelle, e come ancora lo si fece sprofondare nel limbo delle inconsistenze progettuali. Noi lo sappiamo, perché si ritrova documentata in centinaia di pagine tutta la storia, nobile ed ignobile, del Premio Nazionale Giovan Battista Basile, compreso il Comunicato Stampa con il quale i suoi lontani e trascurati fondatori ritennero opportuno prendere le distanze da altri personaggi assurti alla ribalta, quando si puntarono le fiches di cortesia sui tavoli del Casino Culturale che aveva foraggiato dei progetti faraonici di marcata esterofilia, cominciando a mettere da parte i provinciali, quelli che il Basile lo avevano tenuto a battesimo, quelli che ci avevano fatto le spese per tirarlo su, per farlo crescere, per farlo conoscere, quelli che in certi casi si erano anche indebitati, e che certamente non erano stati mai minimamente remunerati per il loro diuturno impegno e abnegazione, quelli che sono rimasti a vegliare al capezzale di un Giovan Battista moribondo quando gli altri se ne erano andati dopo essersi ingrassati alla sua mensa opima, biascicando la solita giaculatoria degli imbelli ed incapaci, ovvero che ‘‘sine pecunia ne cantantur missae’’.

Non possiamo nasconderci che si sono fatte anche delle inenarrabili schifezze quando c’è stato il grasso che colava fuori dalla pignata, cominciando con l’escludere chi avrebbe avuto titolarità per dire e fare qualcosa, quelli, per l’appunto, che si erano inventato tutto in tempo di vacche magre, senza invitarli neanche a prendere un caffè al bar.

Gli allievi del Teatro di Dioniso, Laboratorio artistico di
Teresa Barretta. Qui, a Zungoli, nel luglio 2012, davanti al
Castello dove abitò Giovan Battista Basile dal 1616 al 1617.

Ed ora pare che si voglia ricominciare a parlare di un fantomatico Progetto Basile, sperando che non si voglia di nuovo ricominciare da zero. Leggo, infatti, nell’aria rarefatta delle attese tradite che si vorrebbe programmare un’altra riesumazione di Giovan Battista Basile, e mi conforta immaginare che dal fosso se ne trarrà qualcosa, con la speranza che non sia poi, il tutto, destinato ad essere gettato nel trabucco, come si usa fare per chi non ha lasciato eredità di affetti.

 

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