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giovedì, Marzo 28, 2024
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Donna uccisa fuori la polleria, la verità sull’omicidio che sconvolse Sant’Antimo

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Gli agenti della Squadra Mobile della Questura di Napoli e i carabinieri del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa, nell’ambito delle indagini svolte dalla DDA di Napoli, dal Gip del Tribunale di Napoli nei confronti di Michele Puzio, in quanto gravemente indiziato per il reato di concorso nell’omicidio di Immacolata Capone, verificatosi a Sant’Antimo il 17 marzo 2004, aggravato dalla finalità di agevolazione di associazione di stampo camorristico e dai reati in materia di porto d’armi. La vittima, all’epoca, svolgeva l’attività di imprenditrice nei comuni di Casoria ed Afragola.

Nel corso della sua attività imprenditoriale – spiegano gli inquirenti – aveva assunto il ruolo di fiduciaria degli interessi economici del clan Moccia. L’omicidio sarebbe da ascrivere alla volontà del clan Moccia di “punire” la donna, perché ritenuta mandante dell’omicidio del marito Giorgio Salierno, a sua volta fiduciario del clan.

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Vicinissima della “Vedova Nera” Anna Mazza, Immacolata Capone fu un pezzo grosso del clan Moccia ereditando il comando dal defunto marito Giorgio Salierno, membro importante del clan di Afragola. Si interessava di edilizia ed investiva nell’alta velocità, aveva il fiuto per gli affari, anche più degli uomini. Era un’abile imprenditrice sapendo gestire come pochi i cantieri e i traffici illegali legati al clan. Tanti sono stati anche gli uomini che dopo la morte del marito l’hanno affiancata: il suo è stato uno dei pochi casi in cui fosse lei la detentrice del potere e i suoi uomini quelli che lo ereditavano, fenomeno in controtendenza alla consuetudinaria mentalità patriarcale delle famiglie mafiose nelle quali l’uomo solitamente comanda e la donna eredita il potere unendosi a lui. Viene uccisa come un boss – con più di un colpo alla testa – tra le vie di Sant’Antimo.

 PUZIO Michele era stato già condannato in primo grado per il suo ruolo di affiliato del clan Moccia di Afragola, in quanto gravemente indiziato per il reato di concorso nell’omicidio in pregiudizio di CAPONE Immacolata, occorso in Sant’Antimo il 17 marzo 2004, aggravato dalla finalità di agevolazione di associazione di stampo camorristico e dei correlati reati in materia di porto d’armi.

La vittima, all’epoca, svolgeva l’attività di imprenditrice nel campo del movimento terra nei comuni di Casoria ed Afragola. La CAPONE nel corso della sua attività imprenditoriale aveva assunto il ruolo di fiduciaria degli interessi economici del clan MOCCIA, non disdegnando di stringere, nel periodo antecedente l’omicidio, rapporti economici con altre organizzazioni camorristiche.

L’omicidio, secondo la ricostruzione accusatoria, è da ascrivere alla volontà del clan MOCCIA di “punire” la donna, perché ritenuta mandante dell’omicidio del marito SALIERNO Giorgio, a sua volta fiduciario dei vertici dell’organizzazione, ed al fine di impedire il rafforzamento dei legami economici fra l’attività imprenditoriale facente capo alla CAPONE e clan diversi dal clan MOCCIA.

Il ruolo di killeral PUZIO Michele, emerso nel corso delle indagini, trova conferma altresì negli esiti delle indagini di natura scientifica.

Il killer durante le fasi concitate dell’omicidio, caratterizzate da un disperato tentativo di fuga della vittima all’interno di un esercizio commerciale, aveva infatti perso un cappellino che indossava al momento dell’esecuzione e che era stato sottoposto a sequestro nelle immediate adiacenze del luogo del delitto.

A distanza di anni, ed anche grazie al progresso delle metodologie di accertamento è emersa, a seguito di investigazioni scientifiche condotte nel contraddittorio con la difesa ed il consulente dell’indagato, la presenza proprio del DNA del PUZIO su più punti del cappellino. Sono stati svolti accertamenti altresì sulla esistenza di un potenziale alibi a favore dell’indagato, smentito dagli accertamenti specificatamente svolti in proposito.

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