PUBBLICITÀ
HomeRassegna StampaCondannato e poi scarcerato, il boss è in fuga

Condannato e poi scarcerato, il boss è in fuga

PUBBLICITÀ

Ha capito che dalle sue parti tirava una brutta aria e non ha perso tempo a far perdere le tracce. Si è reso irreperibile, forse per studiare con le spalle al sicuro le prossime mosse del pool anticamorra. Guido Abbinante, boss del cartello di Secondigliano e Marano, gioca d’anticipo e spiazza tutti. A casa sua non si trova e da qualche giorno non va più a firmare, come imposto a un personaggio del suo calibro dagli obblighi della sorveglianza speciale. Una beffa, quella di Guido Abbinante: condannato a 18 anni, scarcerato per decorrenza dei termini cautelari, il boss viene tirato in ballo da un nuovo pentito come mandante di un omicidio e capisce che è meglio darsi alla macchia. Rompe gli obblighi di firma e sparisce dal suo quartiere. Per la Dda – indaga il pm anticamorra Luigi Cannavale – è irreperibile. Per la macchina giudiziaria, la sua fuga sembra una conferma che qualcosa si è inceppato. Cinquant’anni, una carriera spesa nel narcotraffico assieme al fratello Raffaele, ai tempi della pax voluta dal famigerato padrino Paolo Di Lauro. Poi, con la faida dei quasi sessanta omicidi, gli Abbinante si schierano con gli scissionisti degli Amato-Pagano, subendo vittime nella propria cerchia e maturando propositi di vendetta. L’obiettivo di casa Abbinante – dicono i pm – è la famiglia Prestieri di Secondigliano. Guido Abbinante finisce nel maxiprocesso sul narcotraffico e per lui la giustizia sembra inesorabile. Diciotto anni di reclusione come organizzatore del network dello spaccio alle porte di Napoli, un affare che unisce le palazzine popolari di Secondigliano e dell’hinterland napoletano con i porti spagnoli. Hashish e cocaina, le specialità di famiglia. Eppure, non basta la condanna a diciotto anni di reclusione, al termine dell’inchiesta condotta dal pm Luigi Alberto Cannavale. Il boss viene scarcerato per decorrenza dei termini. I giudici prendono atto che contro Guido Abbinante c’è stato un problema di contestazione a catena: un primo arresto per traffico di droga, poi un secondo ordine di cattura sempre per stupefacenti nell’inchiesta che lo vede imputato e condannato a diciotto anni. Nel frattempo passano gli anni e, in attesa della fine del processo di appello, per Abbinante si aprono le porte del carcere: è passato troppo tempo dal primo arresto, il boss può tornare libero in attesa che il processo per lui si concluda in modo definitivo. Neanche il tempo di tornare a casa, però, che Abbinante si dà da fare riprendendo contatti con i propri affiliati. Lo scorso 27 settembre, la svolta della sua carriera di sorvegliato speciale: a Calvizzano viene ucciso Giovanni Moccia, suo ex killer di fiducia. Poche settimane dopo, i carabinieri arrestano i presunti mandanti, Giovanni Esposito e Giovanni Carriello, mentre le accuse del pentito investono anche Guido Abbinante: «Fu lui ad attirarci in trappola», spiega il collaboratore. Troppo poco per far scattare un arresto, quanto basta però a provocare la fuga del boss.







Quel trucco al posto di blocco «Scusate, non so leggere»



L’ultima volta che lo arrestarono inventò una scusa, disse che non sapeva leggere e non si era accorto di aver lasciato il comune di residenza. Aveva l’obbligo di dimora e per legge non poteva lasciare Villaricca, dove aveva eletto residenza: «Il cartello comune di Marano? Non so leggere, non c’ho fatto caso». Guido Abbinante in cella però ci è sempre rimasto poco, appena quattro anni a dispetto dei diciotto inflitti nel processo di primo grado alla camorra di Secondigliano. Nemmeno un terzo della condanna e il presunto boss lascia la cella per decorrenza. Fortunato almeno quanto la moglie, Raffaella De Felice, il cui nome è stato al centro di un altro caso di malagiustizia: lei viene condannata per traffico di droga nel processo Di Lauro, ma la sua sentenza è priva di un foglio, rimasto inceppato nella fotocopiatrice. È lo stesso inghippo che rende la libertà, oltre a un periodo di latitanza, a Vincenzo Di Lauro, il figlio del boss, in una vicenda che rende necessaria un’ispezione ministeriale firmata dall’allora guardasigilli Roberto Castelli. Una famiglia al centro di indagini incrociate, dunque. Guido Abbinante è fratello dell’ormai famigerato Raffaele, alias Papele ’e Marano, (condannato a trent’anni di cella) e Antonio, che sta scontando una condanna per traffico di droga. I suoi cognati, i fratelli della moglie, sono altrettanto noti alle forze dell’ordine e ai pm che indagano sul narcotraffico alle porte di Napoli. Dario e Ernesto De Felice hanno condiviso la cella con Paolo Di Lauro (il famigerato Ciruzzo ’o milionario) nelle ore previste per l’udienza e sono tuttora ritenuti narcotrafficanti di spicco. Un unico «grumo familistico», dicono gli inquirenti, che rimasto colpito da un lutto che nessuno ha intenzione di dimenticare. È la morte di Massimiliano De Felice, il più giovane dei fratelli della moglie di Guido Abbinante, ucciso durante la faida contro i Di Lauro. Una morte che torna in primo piano, provocando probabili rigurgiti di vendetta. Lo ha spiegato il collaboratore di giustizia Giovanni Piana, ex killer di fiducia dei maranesi, che non ha perso tempo a puntare l’indice contro il boss di un tempo. Accuse che hanno consentito agli uomini del comando provinciale del colonnello Gaetano Maruccia di far scattare il blitz condotto dal nucleo operativo del maggiore Lorenzo D’Aloja per l’omicidio Moccia: «Guido Abbinante convocò me e Moccia a casa sua. Diede a Moccia il bigliettino della ”imbasciata”, con il nome del commerciante da taglieggiare. Uscimmo e i killer entrarono in azione. Io mi salvai per miracolo». L’ultima accusa ha un tono sinistro: «Gli Abbinante e gli Amato-Pagano si scambiano i favori per uccidere traditori e killer rivali. I Prestieri sono nella lista».


LEANDRO DEL GAUDIO – 4 NOVEMBRE 2007

PUBBLICITÀ