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giovedì, Maggio 2, 2024
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MUORE PER CURARE L’INFLUENZA

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GIUGLIANO, MORTE E MISTERO




GIUGLIANO – L’influenza curata con due comuni farmaci antifebbrili e antidolorifici. Un malore nella notte. La corsa da Melito all’ospedale di Giugliano. Il disperato intervento dei medici. La morte sotto gli occhi dei familiari. Una tragica, misteriosa fine per Salvatore Gravina, 24 anni, operaio, secondo di cinque figli. «Una roccia, un fisico indistruttibile», ripetono i fratelli e gli amici. «Cause sconosciute», scrivono i medici nel referto, che non è altro che la constatazione di decesso.
Salvatore aveva la schiuma alla bocca quando i suoi lamenti hanno svegliato i fratelli e i genitori. «Colpa dei medicinali?», è l’interrogativo che si ripropone come un incubo tra i familiari. «Sostanze stupefacenti?», la domanda che ripetono le forze dell’ordine e soprattutto gli agenti del commissariato di Giugliano che seguono le indagini. «Impossibile, Salvatore era un bravo ragazzo, un buon lavoratore», rispondono i fratelli e il padre muratore, che abitano in una casa nel centro storico di Melito. «Non vi azzardate a domandare una cosa del genere, la droga Salvatore neppure la conosceva», s’indignano gli amici.
Allora, che cosa ha ucciso Salvatore Gravina? Che cosa ha mandato a tappeto il suo fisico atletico? Soltanto l’autopsia, che sarà completata tra oggi e domani, potrà svelare il mistero. I tossicologi cercheranno, attraverso gli esami del sangue e degli organi interni, di risalire alle cause e dunque ai veleni che hanno stroncato la vita del giovane di Melito. I medici dell’ospedale San Giuliano di Giugliano avanzano ipotesi con molta cautela, prima di pronunciarsi aspettano che sia la perizia degli esperti nominati dalla Procura, eseguita all’obitorio del vecchio policlinico di Napoli, a sciogliere i dubbi. Una perizia attesa anche dal magistrato che ha disposto l’inchiesta e il sequestro delle due scatole di farmaci che, secondo i genitori, Salvatore Gravina aveva usato per curare l’influenza. Si tratta di Tachipirina e VivinC, ma sia i medici che gli inquirenti ribadiscono che non c’è alcuna relazione accertata tra la morte del giovane e il medicinale.
«Choc anafilattico o una reazione idiosincrasica (termine che i medici utilizzano per indicare l’intolleranza, ndr) verso uno dei farmaci assunti – ipotizza Aldo Rubino, direttore sanitario dell’Asl Napoli 2, competente per l’ospedale di Giugliano – Il ragazzo è arrivato al pronto soccorso già in morte cerebrale. Choc anafilattico per ipersensibilità verso uno dei farmaci? Sono casi non frequenti, ma possibili. Gli studiosi americani parlano di reazioni allergiche all’acido acetilsalicinico». I medici sono orientati a escludere l’ipotesi di epatite fulminante. «Anche se è vero che – spiega Rubino – alcuni farmaci antifebbrili contengono paracetamolo, principio attivo dannoso per il fegato, ma soltanto se assunto in dosi massicce». Non si esclude una patologia congenita sconosciuta.
Salvatore aveva avuto i primi sintomi dell’influenza a inizio settimana, lunedì e martedì era stato costretto a rimanere a letto, non era andato a lavorare in fabbrica. Nella notte tra martedì e mercoledì il malore nel cuore della notte. Era da poco passata l’una. Salvatore dormiva nella stessa camera con i fratelli. All’improvviso i familiari si svegliano di soprassalto per i lamenti. Salvatore ha la bocca piena di schiuma, respira a fatica, il suo sembra un rantolo, non parla, ha gli occhi sbarrati e lo sguardo secondo dopo secondo è sempre più spento.
A questo punto uno dei fratelli si fa coraggio, il coraggio che viene dalla disperazione, trova la forza, la forza che arriva improvvisa e inspiegabile quando c’è da salvare la vita di una persona cara. «Gli ho fatto il massaggio cardiaco, la respirazione bocca a bocca – racconta il fratello – ma lui non si riprendeva, non dava segni, non rispondeva». Si svegliano la mamma e il papà, gridano. Qualcuno mette in moto una macchina in cortile, i fratelli caricano Salvatore, corrono in ospedale, ma il giovane si spegne. I medici del pronto soccorso non possono fare altro che tentare una impossibile rianimazione, ma poi s’arrendono mentre la giovane vita di Salvatore vola via.



FRANCESCO VASTARELLA



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I FAMILIARI





La morte di Salvatore Gravina ha scosso la comunità, tutti ne parlano a Melito. L’improvvisa tragedia ha riunito tutta la famiglia Gravina nella casa al secondo piano di via Guido Pacelli, una stradina senza uscita di via Melitiello, in pieno centro storico. Tutti ancora sotto choc, si guardano intorno increduli.
Il dolore e la curiosità della gente ha alimentato una rabbia, sorda e forte, che non ha ancora lasciato spazio alla rassegnazione. «Lasciateci in pace col nostro dolore. Non lo sappiamo come è morto», urlano disperati. A poche ore dalla morte il resoconto della corsa in ospedale, subito dopo la scoperta del malessere, restano ferite aperte. La tensione è forte. Nessuno si dà pace sulle circostanze della morte del giovane. «Era un pezzo di pane, veramente un bravo ragazzo», un vicino lo ripete per strada a voce bassa, come una preghiera, come a voler smentire l’ipotesi che Salvatore possa aver assunto sostanze stupefacenti. Ma lo hanno ribadito con forza anche i familiari: «Salvatore non ha mai creato grattacapi, non aveva mai fatto uso di droga».
Non aveva una fidanzata, ma molti amici che gli volevano bene. Facce cupe, addolorate, coperte da sciarpe e capelli nell’attesa sotto al palazzo. Amici d’infanzia e colleghi di lavoro guardano increduli l’attacchino che affigge i manifesti di annuncio dei funerali. Non capiscono il perché di tanto interesse intorno a questa vicenda e diventano anche feroci: «Andate via, abbiate rispetto del nostro dolore», dicono non sapendo con chi prendersela per questo dramma.




TONIA LIMATOLA




IL MATTINO 28 FEBBRAIO 2003

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