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Sette arresti, presa la gang del «filo di banca». Traditi dalle telecamere. Con il bottino cene ad aragoste

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Un filmato choc. Con le immagini dell’aggressione di un rapinatore armato che punta la pistola contro la sua vittima, all’uscita di un istituto di credito. Fotogrammi raccolti dalla telecamera a circuito chiuso della caserma della Finanza, di via Sanfelice, che hanno consentito ai carabinieri di incastrare il bandito e catturare tutta la banda che da tempo, nel centro cittadino, faceva vittime con la cosiddetta tecnica del «filo di banca». Il documento è stato mostrato ieri dai carabinieri della compagnia Napoli Centro, col capitano Massimo De Bari, che hanno agganciato le manette ai sette componenti della banda, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alle rapine. I militari contestano sette colpi (cinque portati a segno due tentati, con un bottino massimo di 12mila euro). Il primo raid è dello scorso giugno, l’ultimo è datato 15 febbraio scorso. Quello ripreso dal filmato è datato 20 novembre scorso ed è fallito per la reazione della vittima, un ingegnere 65enne. In tre beneficiavano dell’indulto, in cinque avevano precedenti penali specifici. Le indagini sono state coordinate dal pm Luigi Santulli e prendono inizio da un rapporto dei carabinieri della stazione di Chiaia al comando del maresciallo Covuccia. Stando alla ricostruzione fatta dagli investigatori, il capo della gang era Claudio Camponesco, detto ”Coperchietto”. Era lui il promotore e organizzatore del «sodalizio criminale», era lui che reclutava nuovi adepti, era lui che si recava in banca per segnare con il filo di lana le vittime designate. Gli altri arrestati. Innanzitutto i fratelli Vincenzo e Giuseppe Rolanto, il primo libero da due mesi, il secondo incensurato. Vincenzo aveva beneficiato dell’indulto. L’elenco prosegue col nome di Ciro Bergamasco il quale, secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri assaliva le vittime e guidava il ciclomotore che le seguiva. Poi c’è Gennaro Pangia, pure scarcerato con l’indulto il 14 luglio scorso. Era lui che in genere impugnava la pistola con la quale costringeva la vittima a cedere il danaro appena ritirato in banca. E, ancora, Pasquale ed Emanuele Annavale, entrambi di Caivano. I due sono entrambi accusati di esecuzione di rapine, ma Emanuele è incensurato ed a suo carico risulta accertata una sola rapina. Glui altri cinque sono della Sanità, di Secondigliano e del quartiere San Lorenzo. Le vittime preferite della banda erano di solito anziani, minacciati con armi da fuoco e, spesso, colpiti con violenza. E, nel filmato proietatoieri dai carabinieri della tantata rapina sulle scale che da Rua Catalana conducono in via Sanfelice la vittima , un ingegnere 65enne, aveva appunto, i capelli bianchi. In quel caso uno dei rapinatori aveva inseguito la vittima fin dentro l’atrio della caserma della Finanza, poi, accortosi di dove era finito, era fuggito precipitosamente. È stato grazie a un tesserino bancomat che uno dei malviventi aveva usato per tenere d’occhio una vittima che i carabinieri sono riusciti a risalire all’identità di uno dei rapinatori.

MARISA LA PENNA
Il Mattino il 22/02/08

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«Il mio ristorante non va bene tanto vale tornare a fare colpi»

«Il ristorante va male, è un fallimento. Mo’ tolgo tutto di mezzo e mi rimetto a fare il filo di banca». È nella telefonata che Vincenzo Rolanto (pregiudicato e beneficiato dall’indulto) fa a suo suocero, l’ammissione di colpevolezza del mancato ristoratore. Poi ci sono le immagini delle telecamere. La trascrizione della conversazione è negli atti che formano le accuse contro i sette presunti rapinatori. Nel dossier che i carabinieri hanno presentato alla magistratura ci sono moltissimi elementi che bene descrivono comportamenti e tecniche della banda. A cominciare dal fatto che, secondo i militari del generale Gaetano Maruccia, dopo un colpo i sette erano particolarmente spendaccioni. Tant’è che se andavano a ristorante, non rinunciavano ad ordinare aragoste. Nel rapporto dei militari vengono descritti tutti i «segnali» che si facevano tra di loro per comunicare senza le parole. Un tempo, quando non esistevano i telefonini, la rapina con la tecnica del «filo di banca» consisteva, appunto, nell’appoggiare un filo di lana sulla spalla della vittima (che aveva effettuato un prelievo allo sportello) in modo da renderla riconoscibile all’uscita dell’istituto di credito dai complici, che così entravano in azione per la rapina. Oggi, invece, grazie ai telefonini e a un gergo creato dagli stessi banditi (per esempio un segnale di chi stava in banca a seguire il prelievo del malcapitato era quello di portare gli occhiali sulla testa quando la vittima usciva e la indicava, così, ai complici) non si usa più appoggiare il filo sulla spalla del malcapitato. Eppure, nonostante i colpi messi a segno erano di svariate migliaia di euro (entravano in azione almeno per un bottino di quattromila euro, dicono i militari) i sette arrestati ieri non sembrano – dagli indumenti che indossavano – molto ben messi. Ieri, quando sono usciti dalla caserma dei carabinieri con le manette ai polsi qualcuno degli arrestati ha fatto anche qualche gestaccio rivolto ai giornalisti.

Il Mattino 22/02/08


Criminali da cinque quartieri così si pianificano gli assalti

Lo spartiacque risale al 3 maggio 2005: è con la morte dell’ingegnere Albanese – seguito fin dentro l’androne del palazzo di via Costantinopoli dopo un prelievo in banca in via Toledo – che si assume generale consapevolezza di un fenomeno che, da allora, è in piena crescita. Anche se la sezione antirapine (diretta dal commissario capo Massimo Sacco) della Questura – la polizia è l’unica ad avere una sezione specializzata – è impegnata da tempo sul fronte dei «filatori». Un fenomeno difficile da scardinare. Perchè ad agire sono piccole cellule criminali estremamente mobili e che si spostano agilmente anche nella provincia (un po’ perchè la città è ipercontrollata un po’ perchè altrove questi fenomeni sono meno conosciuti e la gente adotta minori precauzioni). I banditi più esperti sono del rione Sanità, delle Case nuove, dei Quartieri, di Secondigliano, del rione Amicizia. Vanno a delinquere come se andassero al lavoro. Ogni giorno alla stessa ora si vedono, fanno colazione, pianificano il colpo spostandosi in scooter e talvolta con un’auto d’appoggio. Dalla zona Nord alla penisola sorrentina, da Castellammare a Portici. Il raid spesso preceduto da un sopralluogo. D’età matura i delinquenti. Poco importa, invece, l’età delle vittime. In questo caso l’«obiettivo» è quello che ritira più soldi. Tanto, loro hanno le pistole. Un’attività facile, redditizia, quasi di routine se s’eccettuano episodi come quelli di Albanese o di tre giorni fa a Giugliano, dove la vittima era una guardia penitenziaria e ha reagito: ucciso uno dei banditi, un secondo ferito ed il terzo – quello che aveva segnalato il prelievo dalla banca con il telefonino – arrestato). Ma è anche una questione di prevenzione. Gli istituti di credito potrebbero collaborare aggiornando i sistemi di videosorveglianza. Ora c’è il Biodigit: prevede l’inserimento nello spazio dove entra il cliente di una «bussola» che lo costringe ad alzare la testa (per fotografarlo in faccia) e prevede un incavo dove l’utente debba poggiare un dito (per rilevarme le impronte digitali). Ma queste strumentazioni costano, ed è difficile che una banca voglia sobbarcarsi a ulteriori esborsi in una fase in cui tutte le aziende tagliano.

Il Mattino il 22/02/08

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