Camorra e pubblica amministrazione unite in joint venture per gestire l’emergenza rifiuti. É stato questo patto scellerato a spingere la Campania ad affogare nella spazzatura: lo sottolinea la relazione della commissione antimafia inviata al Parlamento. Anche la commissione d’indagine sul ciclo dei rifiuti, presieduta da Roberto Barbieri, nel documento conclusivo approvato ieri giunge a una conclusione analoga. Analisi impietose che hanno, però, il merito di smontare i meccanismi di un’emergenza voluta e creata,è questa la tesi dei parlamentari, per gestire senza controllo una montagna di soldi. E farla finire in buona parte nelle tasche della criminalità organizzata. «È accaduto – scrive l’Antimafia – che porzioni anche apicali della pubblica amministrazione e della stessa struttura commissariale, in questa condizione di opacità istituzionale e politica, abbiano concluso con imprese collegate alla criminalità organizzata campana vere e proprie joint venture, consentendo a queste ultime di sfruttare i canali dell’emergenza rifiuti anche per i traffici illeciti di rifiuti speciali». Ugualmente esplicita la commissione guidata da Roberto Barbieri: «Si incomincia dal 1994: da allora in Campania si mette su un commissariato che di straordinario ha solo i compensi e le consulenze, si aprono consorzi destinati spesso a realizzare vere e proprie joint venture con la camorra, si realizzano impianti di cdr che in realtà non fanno altro che imballare tal quale, si aprono call center, si differenzia la raccolta del denaro pubblico tra percettori improvvisati manager dei rifiuti». Parole di fuoco. Parole che trovano riscontro, però, nelle numerose inchieste della magistratura e nelle relazioni prefettizie che hanno portato allo scioglimento di 71 Comuni della Campania: molti di questi sono stati mandati a casa proprio perché avevano appaltato il servizio di raccolta e smaltimento a imprese vicino ai clan. E lo avevano fatto creando consorzi e società municipalizzate in cui la pubblica amministrazione era in società con i boss. Ma non basta. I diciotto consorzi di bacino, istituiti con una legge regionale del ’93 e che attualmente contano più di 2000 dipendenti, si sarebbero rivelati secondo la commissione guidata da Francesco Forgione «impropri ammortizzatori sociali, a causa del pesante fardello di lavoratori non impiegati in alcuna attività connessa al ciclo dei rifiuti». Accusa grave, visto che tuttora si discute sul destino dei lavaratori dei consorzi che dovrebbero essere sciolti. E sulle relazioni si è già aperto il dibattito: «La relazione approvata all’unanimità dalla commissione sulle ecomafie fa emergere un quadro chiaro ed incontrovertibile riguardo le responsabilità dei 14 anni di commissariamento in Campania», sostiene il verde Tomasso Pellegrino. E Paolo Russo, Fi, parla di «Ennesimo, durissimo atto di accusa contro l’istituto commissariale e le intermediazioni gestionali e politiche di chi ha governato l’emergenza rifiuti in questi anni». Il vicepresidente, Camillo Piazza, spiega: «Emerge il fatto di aver creato in modo artificioso enti di intermediazione che hanno portato al fallimento di ogni piano industriale proposto» E dalla commissione di Barbieri arriva una proposta: «Andrebbe considerata con attenzione l’istituzione di un’Authority» sui rifiuti.
DANIELA DE CRESCENZO
Il Mattino il 28/02/08
Esponenti delle istituzioni nel mirino dei Casalesi
La terza generazione del clan dei Casalesi veste il doppiopetto degli imprenditori, gestisce gli uomini su modelli manageriali, allarga alleanze nel centro-nord e nei paesi economicamente in crescita. Spara ancora ma con moderazione, intervenendo chirurgicamente lì dove è necessario risolvere rapidamente una situazione di conflitto. Preferisce, invece, trattare con la politica e contrattare appalti, offrendo in cambio pacchetti di voti e protezioni altissime, istituzionali e massoniche. La terza generazione del clan dei Casalesi è quella che ha messo le mani sui consorzi di bacino dei rifiuti, oltre che sulle ditte impegnate nelle attività di smaltimento, arrivando a manovrare anche il Commissariato di governo. Ma è quella che potrebbe mobilitare l’ala militare per colpire esponenti delle istituzioni, per dimostrare la propria capacità di imporsi sul territorio e per dare un contentino ai detenuti, padri e parenti stretti dei nuovi camorristi, condannati a pene pesantissime e, sostanzialmente, tagliati fuori dal giro. L’allarme arriva dalla commissione antimafia, la cui relazione conclusiva è stata pubblicata ieri. Novantasette pagine complessive, l’esame approfondito delle due emergenze nazionali: l’attività della ’ndrangheta e quella del clan dei Casalesi che, con il passare degli anni, e nonostante i processi, cambia pelle ma non retrocede di un solo passo. La possibilità di attentati – già segnalata due anni e mezzo fa, quando fu rafforzata la scorta ai pm Raffaele Cantone e Federico Cafiero de Raho – contro i magistrati che hanno siglato le inchieste più importanti sulla camorra casertana è collegata alla conclusione del processo Spartacus. Nel capitolo dedicato ai Casalesi, la commissione delinea anche il nuovo organigramma del clan che conserva il fortissimo controllo del territorio «per sua la capacità mimetica» più simile allo schema siciliano che a quello napoletano». Leader continua a essere il gruppo Schiavone ma è proprio nella famiglia di Sandokan che si registrano i movimenti più significativi: «Si fa strada il figlio Nicola, incensurato e defilato rispetto alle attività di carattere militare ma molto attivo nel campo imprenditoriale con solidi rapporti nel Nord Italia e nell’Europa dell’Est». Ma il controllo completo, militare e politico, resta nelle mani di Michele Zagaria e Antonio Iovine, latitanti da oltre dodici anni, che stanno trasformando i loro gruppi in «imprese con una capacità di controllo di interi settori economici (costruzioni, movimento terra, ciclo del cemento, distribuzione dei prodotti), accompagnata dal tentativo di farsi coinvolgere il meno possibile nelle attività sporche, interloquendo con l’imprenditoria e con le istituzioni anche di altre realtà non solo campane». Istituzioni politiche, come hanno dimostrato le inchieste più recenti sulle attività di Zagaria a Parma e Milano e come attestano le commissioni di accesso nominate negli ultimi mesi in provincia di Caserta: a Mondragone, Casapesenna, San Cipriano d’Aversa. A testimonianza della strutturale capacità dell’organizzazione di infiltrarsi lì dove si decide la programmazione del territorio e il destino dei cittadini.
ROSARIA CAPACCHIONE
Il Mattino il 28/02/08
Roberti: legami strettissimi con le ditte di smaltimento
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«La camorra ha la ”straordinaria” capacità di spaziare sia nel globale che nel locale». Come nell’affaire rifiuti, dove è riuscita a creare rapporti strettissimi con le imprese coinvolte nello smaltimento. E in questo caso Roberti si chiama direttamente in causa: «Siamo stati giustamente attaccati da qualche esponente politico, di non aver comunicato per tempo l’ampia portata dell’espansione delle infliltrazioni e collusioni camorristiche nell’ambito dello smaltimento dei rifiuti. Credo sia necessario che anche noi magistrati creassimo una maggiore circolazione delle informazioni». Lotta alla camorra, dunque. In sei tappe. Franco Roberti, responsabile della Direzione distrettuale antimafia e procuratore aggiunto, sintetizza metodologie e azioni da attuare, complice il dibattito «Strategie di contrasto alla camorra. A che punto siamo?», realizzato nell’ambito de «I cento passi verso il 15 marzo. Giornata nazionale della memoria e dell’impegno per tutte le vittime delle mafie» da Libera Campania, a cui hanno partecipato Tano Grasso, Amato Lamberti, Tonino Palmese, Arcangelo Munciguerra, Michele Scudiero e Geppino Fiorenza. Obiettivi da realizzare sia sul piano giuridico, perché «sono necessarie modifiche del codice di procedura penale», ma soprattutto organizzativo «con il rafforzamento di forze di polizia, magistratura e del sistema penitenziario». Più leggi e più uomini, quindi. Due elementi fondamentali per la lotta alla camorra a cui il coordinatore della Dda aggiunge altre forme di contrasto come l’attacco ai patrimoni, la destinazione dei beni confistati «attraverso un’agenzia creata ad hoc», la lotta alle estorsioni e la cattura dei latitanti, «perché non possiamo lasciarli liberi di agire».
MARIAGIOVANNA CAPONE
Il Mattino 28/02/08