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sabato, Maggio 4, 2024
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LA TRAGEDIA DI CAIVANO. COSA SCRIVE LA STAMPA

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Corpi straziati, boato avvertito nel raggio di chilometri. Un testimone: sembrava lo Shuttle



di CLAUDIO COLUZZI



Il silos bianco ora è capovolto. Con la base squarciata in alto e la punta conficcata nel cemento. Conteneva ventimila litri di azoto gassoso che lo hanno scaraventato in aria; tutt’intorno, migliaia di pezzi di acciaio disseminati da una tremenda onda d’urto, che hanno falciato ogni cosa. Un boato terribile, alle 7,20 di ieri mattina nella zona industriale di Pascarola, a Caivano in provincia di Napoli, ha scosso dalle fondamenta lo stabilimento della Ppg, multinazionale americana che produce vernici. Quel boato ha letteralmente disintegrato quattro vite. Francesco De Simone, 55 anni di Pozzuoli, Francesco Antonio Muto e Vincenzo Di Costanzo, rispettivamente di 54 e 53 anni di Caivano, erano dipendenti della Ppg. Giovanni Maione, 35 anni, di Ponticelli, era un tecnico dell’Air Liquid, la società esterna che ha in gestione i silos di azoto liquido e gassoso usati per il raffreddamento dei vapori nel comparto produzione vernici. Tutti in fabbrica, perchè la lavorazione a ciclo continuo impone turni anche la domenica delle Palme.
«Stavamo effettuando un presidio contro il Cdr – dice Pippo Papaccioli, consigliere comunale di Caivano – eravamo rimasti qui tutta la notte. Dopo il boato ho visto quel cilindro bianco salire verso il cielo e poi ricadere. Mi sono tornate alla mente le immagini della tragedia dello Shuttle».
Mezz’ora dopo lo scoppio, il cordone di polizia e carabinieri non è ancora così fitto. All’esterno ci sono solo i colleghi di lavoro dei tre operai morti e pochi curiosi. «Muto e Di Costanzo avevano finito il turno alle 6 – racconta un operaio con gli occhi lucidi – eravamo smontati insieme. Li ho invitati a uscire per un caffè. Mi hanno detto che c’era un problema a un silos, stavano attendendo il tecnico dell’Air Liquid. Sono rimasti lì per scrupolo professionale. Altrimenti non sarebbero morti».
Una sbarra, poi, oltre il cancello verde, inizia lo stabilimento. Le autoambulanze arrivano uno dopo l’altra, i vigili del fuoco stanno raffreddando con getti d’acqua gli altri due silos di azoto, a pochi metri da quello esploso. La polizia inizia a stendere il nastro bianco-rosso, ultimo diaframma prima della scena della tragedia. I resti degli operai sono sparsi in un raggio di diverse decine di metri. Membra, arti, un tronco mutilato che nella tasca ha ancora il portafoglio integro, quello di Giovanni Maione. La violenza dell’esplosione ha inoltre infranto vetri e catapultato strutture anche a un chilometro di distanza, sulla superstrada.
Un vigile del fuoco sbotta: «Qui c’è stato un improvviso e incredibile aumento della pressione interna del silos, solo così si spiega l’esplosione». La sua è però solo un’ipotesi, dettata dall’esperienza, non è possibile ricostruire con precisione la dinamica se non nella sequenza temporale. Dal primo allarme, alle 6, fino allo scoppio avvenuto tra le 7,15 e le 7,30. Sembra, inoltre, che al momento della deflagrazione De Simone, Di Costanzo e Maione fossero nel piccolo casotto con gli apparati di controllo a un metro dal silos mentre Muto era all’esterno.
Ormai la scena della tragedia è piena di pompieri, poliziotti, carabinieri, compagni di lavoro, curiosi, giornalisti. Un agente della scientifica si ferisce mentre effettua un sopralluogo e viene medicato nell’infermeria della fabbrica. Un altro dipendente, Pasquale Vitale di 35 anni, si fa disinfettare qualche graffio. Al punto di pronto soccorso, nei pressi dell’ingresso, attendono straziati i familiari. C’è un ragazzo biondo che si piega in due e piange il padre. La moglie di uno degli operai, sorretta da due persone, resiste pochi minuti. Sviene quando capisce che non c’è un cadavere da riconoscere ma solo brandelli da ricomporre. Tra i dipendenti che stazionano all’esterno dei cancelli non c’è rabbia, come si poteva attendere, ma un immenso dolore. «Nella fabbrica – dice Antonio D’Angelo assunto nel ’73 – l’attenzione per la sicurezza è maniacale». «Scrivetelo – aggiunge un altro, Domenico Zampella – qui l’incuria non c’entra. È stata un’assurda fatalità».
Arriva il carro funebre, gli operai ammutoliscono di colpo. La morte, in fabbrica, davvero nessuno l’attendeva.




DAVANTI AI CANCELLI, I RACCONTI DEI COMPAGNI DI LAVORO

«Quel caffè al bar li avrebbe salvati»


di MARCO DI CATERINO



«Li ho visti un secondo prima che il boato li dilaniasse». Pasquale Vitale, 50 anni, di Crispano, addetto al settore delle resine e da venti compagno di lavoro di Franco De Simone, Vincenzo Di Costanzo e Francesco Muto, ha ancora negli occhi la paura. Ma anche una brutta ferita al ginocchio rimediata quando è caduto a terra dopo aver fatto un volo di qualche metro, spinto dalla violenta onda d’urto. Nel suo sguardo c’è l’orrore per i compagni di lavoro, uccisi dall’esplosione di quel maledetto serbatoio. «Avevo cominciato a lavorare con il turno delle sei. Sono passato vicino alla centrale termica e ho notato che i tubi, cioè le condotte dell’azoto, erano ghiacciati. I miei tre amici e il tecnico dell’Air Liquid si trovavano vicini alla base del silos. Parlottavano tra loro in modo tranquillo, anche se sembravano molto assorti nella discussione perchè non si sono neppure accorti del mio cenno di saluto».
Pasquale continua il suo racconto: «Ho percorso qualche metro, dopo aver svoltato un angolo c’è stato il fortissimo boato che mi ha letteralmente scaraventato una decina di metri più lontano». Intorno ai cancelli della Ppg, la domenica delle Palme si è trasformata in una via Crucis per i 250 dipendenti della multinazionale che si sono precipitati in fabbrica, compresi quelli che alle sei avevano terminato il loro turno. Facce tese, frasi sussurrate a bassa voce, molti silenzi, tanti perchè. Nessuno impreca in quel triste vuoto e rabbia contenuta che chi ha respirato l’atmosfera di una tragedia sul lavoro conosce bene. Qualcuno non regge alla tensione quando arriva il carro mortuario e piange in dignitoso silenzio, con lo sguardo rivolto verso quel maledetto silos.
«Li avevo presi in po’ in giro – dice Aldo, uno degli ”anziani” della fabbrica – perchè, nonostante il turno fosse finito da più di un’ora stavano ancora a lavorare e non avevano voluto accompagnarmi a prendere il caffè. Uno di loro mi ha detto: dobbiamo parlare col tecnico, c’è un problema da risolvere. Avviati che ti raggiungiamo». L’operaio anziano non sa darsi pace. È convinto che se avesse insistito di più per quel caffé, il botto avrebbe solo danneggiato il silos e loro sarebbero ancora vivi.
«Sono sconvolto – dice uno dei dipendenti, Salvatore Franchini, mentre guarda dalla cancellata il luogo del disastro – Li consoscevo bene, persone serie, padri di famiglia. Al primo posto mettevano il lavoro, sempre. Per questo sono morti… Avevo sentito che nella centrale termica da qualche giorno c’erano delle valvola che facevano i capricci…». Franchini tira una lunga boccata alla sigaretta, poi saluta e si allontana per raggiungere i colleghi di lavoro. Quel violentissimo botto, oltre a polverizzare quattro vite, sembra aver spento anche la voglia di parlare e ricordare.
«C’è stato qualcosa che non ha funzionato – dice uno degli operai – Non è possibile che un serbatoio controllato e monitorato da un computer sia saltato in aria come una pentola a pressione difettosa. E ancora, non è possibile che tre operai esperti come Franco, Vincenzo e Francesco si siano avvicinati al silos sapendo quali rischi avrebbero corso». Nel mirino ora sono finite le misure di sicurezza e di sorveglianza del silos. Ma il rappresentante dei lavoratori, Vincenzo Falco, assicura che tutto il sito industriale, fino a ieri mattina, era in sicurezza.




Il sindaco proclama
il lutto cittadino



Il sindaco di Caivano Domenico Semplice si è recato subito sul posto. Dopo l’ispezione è apparso visibilmente scosso: «Conoscevo due delle vittime, che erano di Caivano. Siamo di fronte a un evento tragico in un’azienda in cui la sicurezza viene tenuta in grande considerazione e che le autorità tengono sotto costante controllo». Semplice ha annunciato che verrà proclamato il lutto cittadino. Ieri, in segno di partecipazione, la partita di calcio tra la squadra locale Boys Caivanese e il Ferentino (serie D, girone G) è stata rinviata.




LA MORTE IN FABBRICA



Il pm Luigi Gay si lascia alle spalle la «Ppg» dopo una mattinata di intenso lavoro, tra sopralluoghi e prime testimonianze. «Stiamo cercando di raccordare gli elementi. È prematuro dire qualsiasi cosa». La prudenza dell’inquirente è più che comprensibile, considerato che nemmeno il riconoscimento delle vittime è ancora ufficiale. La zona dei silos e le aree immediatamente circostanti sono comunque state poste sotto sequestro, un provvedimento che non pregiudica lo svolgimento dell’attività lavorativa. Nessun avviso di garanzia per il momento. Entro oggi dovrebbero essere formalmente affidate le perizie tecniche. Solo dopo si parlerà, eventualmente, di indagati.
Il sostituto della Procura di Napoli, durante il sopralluogo, si è informato puntigliosamente sul funzionamento dell’impianto, si è fatto spiegare a che cosa servivano quei tre silos, uno di azoto liquido e due di azoto gassoso. A seguirlo passo passo gli uomini del commissariato di Afragola. Nessuno si azzarda a rilasciare dichiarazioni ma le mezze frasi sfuggite ad investigatori e soccorritori riducono le ipotesi a due: una falsa manovra del tecnico che abbia provocato lo scoppio, una deflagrazione prodottasi accidentalmente proprio quando i tre operai e il tecnico erano raccolti intorno al silos. Nell’uno e nell’altro caso all’origine ci sarebbe stato un guasto a un qualche dispositivo della «centrale termica», così come viene chiamato il complesso di tre silos di azoto indispensabili per «raffreddare» i vapori durante la lavorazione delle vernici. «Nei giorni scorsi erano stati segnalati dei piccoli problemi ai silos – dicono alcuni operai che preferiscono restare anonimi – ma erano venuti a verificare e tutto sembrava in ordine». La conferma del controllo ai serbatoi avvenuta circa una settimana fa viene anche da rappresentanti aziendali. La gestione dei silos è affidata alla Air Liquid ed è dell’azienda esterna la responsabilità del loro corretto funzionamento. Per questo, quando alle 6 di ieri mattina, allo scadere del loro turno, Francesco Muto e Vincenzo Di Costanzo si sono accorti che qualcosa non andava hanno fatto avvisare la società di fornitura gas. C’era forse una perdita di azoto e dal pannello di controllo esterno ai silos si rilevava un’anomalia. I due operai, insieme a Francesco De Simone che era del turno montante, si sono fermati ad attendere il tecnico della Air Liquid. Giovanni Maione, giunto al cancello alle 7,13, stava ispezionando il presunto silos difettoso da pochi minuti quando c’è stato lo scoppio. In quel preciso istante la pressione del gas era cresciuta a tal punto da far esplodere alla base il contentitore di gas.
L’onda d’urto e le schegge hanno falciato Muto che si trovava all’esterno, stessa sorte per gli altre all’interno del gabbiotto. Ma la posizione delle vittime al momento della deflagrazione è frutto di una ricostruzione, non c’erano testimoni nei paraggi. E, per fortuna, gli altri due silos, collocati a meno di mezzo metro da quello esploso, hanno resistito all’onda d’urto. Altrimenti la tragedia avrebbe avuto proporzioni ancora maggiori.
Fin da questa mattina investigatori e tecnici torneranno nella centrale termica. Avranno il difficile compito di suffragare le ipotesi con elementi certi. Cosa non ha funzionato nell’impianto di azoto? Ci sono responsabilità umane? Si poteva evitare che quattro lavoratori perdessero la vita? Questi gli interrogativi a cui si cercherà di dare una risposta.
c. col.



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NON SOLO INQUINAMENTO, È ALLARME PER L’USO DI SOSTANZE PERICOLOSE

Legambiente: in Campania 73 gli impianti ad alto rischio




In Campania sono 73 gli impianti censiti considerati «a rischio», di cui 27 «molto pericolosi». La provincia di Napoli ha la maglia nera con ben 39 impianti pericolosi: lo sostiene, in una nota, Legambiente della Campania. Le altre aziende a rischio si trovano nella provincia di Salerno (15) e di Caserta (14). Legambiente, che ha espresso «cordoglio per l’enormità della tragedia verificatasi nel Napoletano», pone il problema «non solo di aziende inquinanti, ma di quelle che, per la quantità di sostanze pericolose che gestiscono e movimentano, possono causare calamità in caso di incidente». Secondo Legambiente, «bisogna dismettere o delocalizzare i cicli produttivi obsoleti e più pericolosi e attuare seriamente le prescrizioni della legge Seveso bis sulla sicurezza delle industrie a rischio», che sono frutto «di uno sviluppo disordinato e di una mancanza di programmazione, simboli di un’epoca in cui l’industria era tutto e la salute e l’ambiente contavano ancora poco».




IL MATTINO LUNEDI’ 14 APRILE 2003 – pagg. 8 e 9









In fiamme un’impresa di vernici di Civitanova Marche. Terrore tra gli abitanti


Fabbriche di paura




Esplode un silos, 4 operai morti in provincia di Napoli
La nuvola nera che si alza minacciosa dallo stabilimento in fiamme, terrorizzando gli abitanti di Civitanova Marche; il serbatoio di azoto che esplode come un missile nell’impianto di Caivano, vicino Napoli, straziando i corpi di quattro operai. I tecnici dei ministeri le chiamano industrie “a rischio di incidente rilevante” e sono soggette, proprio per questo, a obblighi di sicurezza particolari. Si tratta di misure di prevenzione che, in teoria, dovrebbero proteggere i lavoratori e le popolazioni circostanti. Il problema è che non ci riescono e bisognerebbe capire perché.
Una giornata drammatica, quella di ieri, iniziata di primo mattino alla Ppg di Pascarola, frazione del comune Caivano. Sono passate da poco le sette quando un silos alto sette metri e contenente 20mila litri di azoto allo stato gassoso esplode con una violenza inaudita, librandosi in aria per alcune decine di metri. «Sembrava uno Shuttle», commenta uno dei lavoratori che ha assistito alla scena.
Per terra, scaraventanti a 60 metri di distanza, giacciono i resti di quattro lavoratori: Francesco De Simone, 55 anni, di Pozzuoli; Francesco Antonio Muto, 54, di Caivano; Vincenzo Di Costanzo, 53, di Caivano, e Giovanni Maione, 35, della provincia di Caserta. Quest’ultimo era dipendente della “Air Liquid”, la ditta proprietaria del serbatoio e che si occupa della manutenzione. E qui sorge un primo interrogativo. Il povero Giovanni, infatti, era stato chiamato perché erano stati segnalati dei problemi. Pare che al momento dell’esplosione stesse verificando la tenuta di una valvola. Non si trattava, insomma, di un intervento di manutenzione ordinaria. «L’azoto all’interno del serbatoio era in pressione e una falla ha provocato lo scoppio», ricostruisce Luigi Borriello, responsabile della sicurezza della Ppg. Non si capisce perciò come mai l’operaio, essendo del mestiere e potendo immaginare i rischi che si corrono quando si ha a che fare con una “bomba innescata”, non abbia preso le dovute precauzioni. In ogni caso, anche la ditta avrebbe potuto metterlo in guardia.
Pare che la Ppg, fabbrica di vernici per auto con 250 dipendenti, ceduta dalla Fiat a una multinazionale americana, fosse una azienda moderna e assai rispettosa delle misure di sicurezza. «Se ti vedono senza casco ti fanno rapporto», dice uno degli operai davanti ai cancelli. Sarà, ma di fronte a tragedie come questa, è necessario fare di tutto per evitare che si ripetano. Da tempo Rifondazione comunista, anche attraverso interrogazioni parlamentari, solleva il problema della verifica dei piani di sicurezza per le aree a rischio di incidente o di inquinamento. Anche per l’incidente di Caivano il Prc annuncia la presentazione di una interpellanza, a firma del senatore Tommaso Sodano.
Attimi di terrore hanno invece vissuto nel pomeriggio di ieri i cinquemila abitanti della zona alta di Civitanova Marche. La nuvola nera e impenetrabile che si è levata dall’impianto dell’Ica in fiamme, alta circa 300 metri, tanto da essere visibile dallo svincolo autostradale distante una ventina di chilometri, ha minacciato di avvolgere tutto il centro storico. Solo per un caso non si è verificata una vera e propria catastrofe. Il vento, ad un certo punto, ha cambiato direzione portando la nuvola di fumo, dall’odore acre e forte, verso un territorio disabitato.
Non ci sono state vittime, ma il bilancio a fine giornata è stato comunque disastroso. La Ica è andata quasi completamente distrutta. Ad essere rimasti fuori dall’incendio sono stati i soli depositi di materiale diluente. Se il fuoco li avesse raggiunti si sarebbero potute registrare pericolosissime esplosioni a catena.



Roberto Farneti http://www.liberazione.it/giornale/030414/LB12D68A.asp






Napoli, le vittime sono un tecnico della Air Liquid e tre operai della multinazionale americana Ppg
Esplosione in una fabbrica di vernici, 4 morti






E’ scoppiato un serbatoio con 20 mila litri di azoto. La causa: la rottura di una valvola o una falla





CAIVANO (Napoli) – Ventimila litri di azoto che vengono fuori tutti insieme da un serbatoio sono come una bomba. Una bomba che non fa fuoco e non fa fumo, ma fa tremare i muri per l’aria che sposta. Ieri mattina un’esplosione così ha ammazzato quattro uomini in uno stabilimento della multinazionale americana Ppg a Caivano, un paese a nord di Napoli, a ridosso della provincia di Caserta. Erano tre operai e un tecnico. La deflagrazione ha spezzato i loro corpi, uno è stato sbalzato per oltre cinquanta metri, un altro poco meno.
La Ppg produce vernici destinate all’industria automobilistica, ha stabilimenti in mezza Europa e quello di Caivano è uno dei più grandi. Fino alla metà degli anni Ottanta apparteneva alla Fiat, poi è stata venduta a una società statunitense. L’impianto, 260 dipendenti, è a ciclo continuo, si lavora anche nei giorni festivi, compresa la Domenica delle Palme.
Alle sei e trenta del mattino gli operai Francesco De Simone, 55 anni, Francesco Antonio Muto, 54, e Vincenzo Di Costanzo, 53, hanno finito il loro turno e potrebbero andarsene a casa. Ma uno dei serbatoi di azoto all’interno del reparto resine, quello dove lavorano i tre operai, ha dato qualche problema, e sta per arrivare il tecnico della Air Liquid, la società che ha impiantato i silos, per un intervento di manutenzione. De Simone, Muto e Di Costanzo decidono di aspettare per capire di che si tratta ed eventualmente dare una mano. Giovanni Maione, 35 anni, arriva alle sette. Non è la prima volta che viene alla Ppg, gli operai lo conoscono bene. Si salutano, cominciano a parlare dell’inconveniente all’impianto. Ma non hanno il tempo di fare altro. Che cosa sia successo in quei momenti lo stabilirà la perizia che il pm Luigi Gay, titolare dell’inchiesta, ha appena affidato. Nel reparto resine i serbatoi di azoto sono tre: due contengono il materiale allo stato liquido, uno, quello esploso, allo stato gassoso. Forse una falla nelle pareti del serbatoio, oppure un guasto a una delle due valvole di sicurezza. Maione non è nemmeno vicino al silos al momento dell’esplosione: è nel gabbiotto degli operai insieme con Di Costanzo, e lì li troveranno morti tutti e due. Muto e De Simone sono all’esterno, e saranno loro a volare lontano e a essere dilaniati. Non molto distante c’è un altro operaio, Pasquale Vitale, 36 anni: è più fortunato, non viene investito direttamente dall’onda d’urto, ma qualcosa che schizza per l’esplosione lo colpisce e lo ferisce leggermente a un piede. Va bene anche a una delle guardie giurate della società di vigilanza. Stava facendo il suo giro ed era appena passato per il reparto resine, però si è allontanato prima dell’esplosione. Gli altri operai di turno, invece, sono già abbastanza lontani perché stanno lavorando in altri punti dell’impianto. Vedono il silos partire verso l’alto «come fosse uno shuttle», racconta uno dei testimoni. Gira un paio di volte su se stesso e poi precipita.
Una tragedia sul lavoro, oltre che lutti, provoca immancabilmente anche polemica. Questa no: soltanto lutto. Sconcerto, magari, ma nessuna polemica. I colleghi degli operai morti dicono che in trent’anni questo è il primo incidente alla Ppg, e Aldo Falco, della rappresentanza sindacale, parla di fatalità, «perché qui gli standard di sicurezza per gli operai sono molto elevati, nessuno lavora senza casco, occhiali e scarpe protettive. Gli americani sono molto attenti a questo, e hanno investito miliardi».
Tra gli operai radunatisi davanti ai cancelli della fabbrica, qualcuno parla di problemi all’impianto che si sarebbero verificati già nei giorni scorsi, tutavia i responsabili dell’azienda non confermano, e nemmeno il magistrato, dopo un sopralluogo durato oltre tre ore, dice di aver raccolto elementi che avallerebbero questo particolare.
Ieri un’altra tragedia sul lavoro è stata sfiorata a Civitanova Marche, dove è andato a fuoco un deposito di vernici: molta paura e una nuvola nera sulla cittadina, ma fortunatamente nessun ferito.



Fulvio Bufi – CORRIERE DELLA SERA 14 APRILE 2003




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