Lo chiamano «copertone» dal vizio tutto personale di dare fuoco ai corpi dei nemici dopo averli ammazzati. Ma al di là del cinismo sanguinario, quelle di Vincenzo Schiavone, trent’anni, è una figura essenziale per la Dda di Napoli. Dalle indagini sull’hard disk del suo computer, la svolta nella «spartacus ter», l’inchiesta che ieri ha portato in cella centodue presunti affiliati al clan di Francesco «Sandokan» Schiavone. Una miniera d’oro racchiusa in fogli A 4, stampati dopo aver setacciato l’hard disk di «copertone». È da qui che viene fuori il libro mastro della camorra casertana. C’è di tutto. Soldi per gli affiliati, soldi dai taglieggiati, aziende pubbliche e private finite nel mirino. In tutto, il clan Schiavone (che dei casalesi ha il 40 per cento del potere economico e militare) paga ogni anno cinque milioni di euro solo in stipendi. Le vedove prima di tutto, poi le mogli dei detenuti, i boss e gli affiliati semplici. Quindicimila euro per le famiglie dei «41», che indica chi sta al carcere duro, è l’omaggio per le ferie estive. Poi 4-5mila euro per vedove e parenti di boss, fino ai canonici 1500 euro al mese. Giuseppina Nappa, moglie di Francesco «Sandokan» Schiavone, incassava 4mila euro al mese solo per alcune quote estorsive. Non sono solo questi gli introiti del clan, perché l’inchiesta firmata dal gip Alberto Capuano parla di racket, non tocca la gestione della droga, né l’usura, le rapine, la prostituzione e le altre attività che assicurano entrate certe a capi e gregari. Un fiume di denaro pubblico, come quello imposto alla Alifana – linea ferroviaria che collega l’agro aversano a Napoli – al polo tessile di Aversa, a ditte interessati a lavori comunali. Ma quella di ieri è stata la rivincita dello Stato, dopo la mattanza che dallo scorso aprile è culminata nella strage di San Gennaro a Castelvolturno. Oltre ai 102 arresti per estorsione e ricettazione, al maxisequestro di beni per 70 milioni di euro, la Procura incassa l’arresto dell’ala stragista dei casalesi. In lussuose villette di Quarto vengono stanati, Alessandro Cirillo (detto «’o sergente»), Oreste Spagnuolo (sfuggito appena qualche giorno fa alla cattura) e Giovanni Letizia (detto «’o zuoppo»). Sono loro – dicono i pm della Dda – gli ex bidognettiani che hanno seminato morte e terrore in questi mesi. Racket all’Alifana. Dal 1980 al 2004, pagavano tutte le ditte appaltatrici dei lotti di ferrovia, grazie a un patto tra Francesco Bidognetti, gli Schiavone, il boss dell’Alleanza di Secondigliano Giuseppe Mallardo e un iniziale interessamento del boss pentito Carmine Alfieri. Dal libro mastro, a volte le indicazioni di Schiavone erano sintetiche, come nell’appunto «Alifana il 30.07 (40)» che gli inquirenti hanno decriptato in «incassati il 30 luglio 40mila euro per l’estorsione ai danni delle società impegnate nei lavori di costruzione del tratto della ferrovia Alifana». Lettere sugli stipendi. Sequestrate missive a volte assai esplicite. Il «contabile» relazionava a un esponente di primo piano, Nicola Panaro, sull’esito delle estorsioni commesse da lui o da altri affiliati. Veniva stipendiato anche chi doveva essere ucciso – scrive il gip – un modo per eludere possibili timori da parte della vittima annunciata. Undici sottogruppi. Grazie al libro mastro, ricostruito il «dare e avere». Decisive le conoscenze in comuni e enti locali. È il caso del polo tessile di Carinaro, dove il sindaco venne prelevato a forza, costretto a raccontare i futuri investimenti del polo tessile di Carinaro e a veicolare soldi pubblici nelle casse di Schiavone.
LEANDRO DEL GAUDIO
Il Mattino il 01/10/08
Rispuntano i nomi dei politici «Intermediari per gli appalti»
Torna il rapporto tra clan e politica, il presunto collegamento tra interessi criminali e malavita organizzata. Dal provvedimento cautelare firmato dal gip Alberto Capuano emerge di nuovo il nome di Nicola Cosentino, sottosegretario all’Economia, leader del partito della Libertà in Campania, in quota Forza Italia. A distanza di quindici giorni dalle dichiarazioni del pentito Gaetano Vassallo, il nome di Cosentino torna in un provvedimento giudiziario. Non è indagato, è bene chiarirlo, ma il sottosegretario del governo Berlusconi viene tirato in ballo da alcune accuse che portano la firma di un collaboratore di giustizia, l’ex affiliato ai casalesi Michele Froncillo, nell’interrogatorio reso il 4 febbraio del 2008. Il pentito cita Cosentino e altri politici (il deputato Pdl Gennaro Coronella e il consigliere regionale Pd Nicola Caputo) per spiegare in che modo venivano controllati dal clan appalti e commesse pubbliche. Ecco, in particolare, cosa sostiene il pentito: «Conosco Raffaele Letizia, detto Lello, che era ed è esponente apicale del clan dei Casalesi. Lo stesso Letizia ha rapporti con i politici come Coronella, Nicola Cosentino, Nicola Caputo, come vi ho riferito in precedente verbali; i contatti erano finalizzati a vincere le gare di importanti opere pubbliche». Accuse che il gip non esclude dal provvedimento cautelare, ma che non spingono gli inquirenti ad indagare Cosentino. Il sottosegretario, dal canto suo, non entra nel merito della vicenda e in una nota plaude all’operazione di polizia: «Lo Stato sta reagendo alla sfida di criminali senza scrupoli». Altra cosa rispetto all’inchiesta ancora in corso sul rapporto tra clan, politici e imprenditori nel campo dei rifiuti: qui Cosentino è indagato per corruzione. Il pentito Vassallo lo accusa di aver intascato tangenti da Sergio Orsi, imprenditore del consorzio Eco 4. Vicenda smentita dallo stesso Sergio Orsi, unico possibile teste delle accuse di Vassallo. Ma nel provvedimento a carico dei cento arrestati, c’è anche un altro passaggio che riguarda la politica nazionale. È un’accusa che risale a dieci anni fa e porta la firma del pentito Domenico Frascogna, che parla di Mario Natale, l’avvocato «faccia pulita» del clan: «Il Natale svolgeva questo suo compito unitamente ad un politico originario ed abitante a Casal di Principe. Non ricordo il nome di questo politico ma so che viene soprannominato ’o americano e che svolge l’attività imprenditoriale nel campo del gas Gpl. Questo politico non opera a livello locale di Casal di Principe ma ad un livello superiore». l. d. g.
Il Mattino il 01/10/08
Viaggio tra gli immigrati di Castelvolturno
Anche gli immigrati della Domiziana da ieri si sentono più sicuri. E soprattutto più sereni. Molti di loro, però, in particolare le migliaia di clandestini, vivono queste ore anche con l’angoscia di essere fermati a uno dei tanti posti di blocco presenti in zona o addirittura subire controlli domiciliari ed essere espulsi dal territorio italiano. Sicuramente euforico, invece, è Teddy Egowman, il nigeriano ferito con la moglie Alice e tre amici nel suo cortile di casa a Castelvolturno lo scorso 18 agosto da quattro persone giunte a bordo di due moto. Da allora, su consiglio della magistratura, vive con tutta la famiglia lontano dal litorale domizio, in una località tenuta segreta. Aveva denunciato alcuni gruppi criminali. «Sono certamente loro le persone che spararono nel cortile di casa mia per uccidere», dice l’immigrato riferendosi ai tre presunti killer della strage della sartoria arrestati ieri. Fino a qualche giorno fa Teddy non aveva potuto dire pubblicamente i nomi dei responsabili del raid da lui sospettati. «Adesso – dice il presidente della comunità nigeriana locale – mi sento molto più sicuro. Ma aspetterò ancora qualche giorno prima di fare rientro a Castelvolturno. Per la sicurezza di mia moglie e delle mie tre figlie devo essere assolutamente certo che il litorale sia tornato a essere un posto tranquillo». Decisamente rincuorato dall’operazione delle forze dell’ordine, invece, Sammy Hunguru, un immigrato tanzaniano che vive da otto anni al lago Patria insieme alla moglie e due bambini, dove gestiscono un negozio di telefonia internazionale. «Mia moglie dopo la strage – ha detto – mi aveva chiesto di lasciare Castelvolturno per sempre. Voleva andare a vivere in una città del nord Italia, perché qui non si sentiva più sicura. Oggi, è il primo giorno da quel maledetto giovedì che l’ho vista finalmente serena». Ma c’è spazio anche per la solidarietà fra gli extracomunitari della Domiziana. Cristopher, liberiano amico di tutte e sei le vittime della strage della sartoria, fa sapere che durante la manifestazione contro il razzismo prevista a Roma per sabato prossimo, sarà ricordato anche il sacrificio dei due agenti di polizia morti la scorsa settimana nell’agro aversano mentre erano impegnati nel controllo del territorio. «Ci sentiamo tutti più sicuri adesso – ha detto Cristopher – Prima, invece, avevamo paura di poter diventare anche noi bersagli della camorra. E la ritrovata serenità la dobbiamo alle istituzioni italiane e al loro celere intervento». Per Adam, invece, connazionale dei caduti del chilometro 43, sul litorale domizio non c’è più futuro per lui: «Sono felice dell’arresto dei killer dei nostri fratelli – ha detto – Ma quel giovedì sera è morta a Castelvolturno anche una parte di me. Penso che raggiungerò mio fratello a Treviso, dove lavora in un’azienda metalmeccanica».
VINCENZO AMMALIATO
Il Mattino il 01/10/08
Sementa: «Così catturai il padrino»
Dieci anni fa, l’11 luglio del 1998, Casal di Principe tremò: quando Francesco Schiavone, per tutti Sandokan, uscì in manette da un palazzotto del centro, si pensò che un’epoca nuova stesse per cominciare. Ad arrestarlo furono Adamo Bove, allora dirigente di polizia, poi manager Telecom, finito suicida nel 2006 dopo lo scandalo delle intercettazioni, e Luigi Sementa (nella foto), allora maggiore dei carabinieri, ora comandante dei vigili urbani di Napoli. «Per arrivare a Schiavone seguimmo per mesi la moglie Giuseppina Nappa – racconta Sementa – una sera la donna entrò in auto nel cortile di un fabbricato, poi il veicolo uscì con a bordo solo l’autista. Ci insospettimmo e circondammo il fabbricato. Erano le venti. Perquisimmo lo stabile tutta la nottata. In mattinata un collega con una sega elettrica sfondò una parete. Mi trovai davanti il latitante con la figlia più piccola in braccio, riuscii ad agguantarlo. Fu Sandokan a dare ordine al cognato, Mario Schiavone, di aprire il meccanismo che faceva scorrere su delle rotaie un’intera parete. Dentro c’erano anche la moglie e un’altra delle sue figlie». Luigi Sementa ricorda la scena in ogni particolare: a mezzogiorno scattarono le manette ai polsi del boss mentre Giuseppina e le bambine, ultime dei suoi sette figli, stremate da una notte di assedio, continuavano a piangere. Schiavone fu portato via in auto: «Quando salimmo Sandokan chiese chi lo avesse arrestato. Accanto a lui c’era Bove. Io spiegai che all’operazione avevano partecipato finanzieri, carabinieri e poliziotti. E lui improvvisamente rispose: ”Allora ha operato la Dia, la polizia politica di De Gennaro”. E poi: ”Maggiore, mi arrendo ai carabinieri e mi dichiaro prigioniero politico”. Successivamente scoprimmo che per tutta la notte aveva tentato di scavare un cunicolo con l’aiuto del cognato». Nel rifugio le forze dell’ordine trovarono anche, in una biblioteca ben fornita, diversi libri su Napoleone.
DANIELA DE CRESCENZO
Il Mattino il 01/10/08
L’affondo del procuratore Lepore: «Sono essenziali per il nostro lavoro, altrimenti dovremmo chiudere bottega»
«Oggi è stata vinta un’importante battaglia ma la guerra contro la camorra continua». Nel giorno che segna il colpo più duro inferto dallo Stato al clan dei Casalesi il procuratore Giovandomenico Lepore non può che esultare per l’ottimo risultato ottenuto. Ma l’ottimismo della ragione non può bastare. E non basta. «Perché – aggiunge subito dopo il capo dell’ufficio inquirente napoletano riferendosi alla cattura di Oreste Spagnuolo, Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia, accusati di far parte del commando autore della strage di Castelvolturno – i tre superlatitanti sono stati arrestati grazie a un’indagine basata sulle intercettazioni. E le intercettazioni restano uno strumento formidabile e fondamentale nelle inchieste più importanti». È un affondo in piena regola, quello di Lepore. Non isolato. Al suo fianco vi sono infatti quattro sostituti della Direzione distrettuale antimafia, con il suo coordinatore Franco Roberti: e tutti sottoscrivono quell’appello. «Le intercettazioni – precisa il procuratore Lepore – sono essenziali per qualunque indagine seria, piccola o grande che sia. Non si può pensare di eliminarle all’improvviso: se lo facessimo dovremmo chiudere bottega e andar via». Parole chiare e inequivocabili che suonano come una bocciatura, un giudizio senza appelli, rispetto al disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche. «Non è affatto vero – chiarisce Antonello Ardituro, uno dei pm dell’Antimafia che conduce delicate indagini anticamorra e che è tra i titolari dell’indagine appena conclusa, insieme con i colleghi Giovanni Conzo, Francesco Curcio e Catello Maresca – che il disegno di legge sulle intercettazioni non tocca i reati di mafia, come pure si è detto. Tanto per cominciare, se passasse la legge noi non potremmo più intercettare in carcere i boss di mafia, camorra e ’ndrangheta. Io penso che, al di là delle intenzioni dichiarate, certi ostacoli derivino anche dal modo in cui le leggi vengono scritte». A pensarla come Lepore è l’intero ufficio di Procura. Per il procuratore aggiunto Franco Roberti «se prendesse piede l’orientamento che tende a mantenere per la criminalità organizzata e il terrorismo solo le intercettazioni telefoniche e non pure quelle ambientali, allora sarebbe un danno gravissimo e irreparabile: perché in questo momento sono più importanti e spesso anche determinanti, proprio nella lotta alla crimanilità e al terrorismo». A tirare le conclusioni è ancora una volta il capo dell’ufficio inquirente di Napoli. «Lo ripeto: è grazie alle intercettazioni che i carabinieri sono riusciti a stanare i tre pericolosi personaggi che hanno terrorizzato Castelvolturno e il litorale domizio. Tutto questo dimostra che lo Stato c’è, che agisce bene e che lo fa con tutte le forze in campo». Lepore ha reso noto che prima dell’alba, appena è stato informato della riuscita del blitz dei militari del comando provinciale di Caserta, si è messo in contatto con il ministro dell’Interno. «Alle sei ho sentito telefonicamente il ministro Maroni. Mi sono complimentato, anche con lui, del grande lavoro fatto dalle forze dell’ordine», ha sottolineato Lepore.
GIUSEPPE CRIMALDI
Il Mattino il 01/10/08