Ha una sola possibilità: consegnarsi. Perché ora dopo ora le sue vie di fuga vengono chiuse, perché sta perdendo a ritmo quasi quotidiano complici, favoreggiatori, nascondigli, armi, denaro. Giuseppe Setola, lo stratega del terrore, l’uomo delle stragi, è rimasto quasi solo. Con lui sono rimasti solo Luigi Tartarone, come Alluce e Granato sfuggito al blitz del 10 ottobre, e pochissimi altri uomini, quasi tutti aiutanti di campo. È questione di giorni, lasciano intendere polizia e carabinieri che lo stanno cercando dal giorno della sua fuga dagli arresti domiciliari, quando si finse cieco e si mise a disposizione dei suoi amici bidognettiani con l’obiettivo di rimettere in sesto quel clan dei Casalesi colpito al cuore dai sequestri dei beni, dagli arresti, dalle condanne, dalle denunce delle vittime del racket, dai collaboratori di giustizia. A capo di un gruppo autonomo, ma al servizio dell’intero cartello camorristico dell’organizzazione, come dimostrano alcune telefonate intercettate e come confermano gli ultimi collaboratori di giustizia, Oreste Spagnuolo ed Emilio Di Caterino. Un uomo sempre più solo, ricordava venerdì il coordinatore della Dda di Napoli, Franco Roberti, invitando Setola a costituirsi, emarginato dalla sua stessa scelta stragista e dalla defezione di Di Caterino che non aveva accettato la linea terroristica e il progetto di sparare sulle forze dell’ordine annunciato dal suo capo, rinunciando così alla promozione a capozona di Villa Literno. Ma la solitudine non lo ha reso affatto meno pericoloso. Anzi. Sa di non avere nulla da perdere, e lo ha dimostrato nei mesi del sangue presentandosi a volto scoperto sui luoghi degli agguati, pur sapendo dell’esistenza di telecamere. «Ho già un ergastolo – diceva ai suoi che lo invitavano alla prudenza – cosa mi può accadere di peggio?». Ed è proprio questo a preoccupare gli investigatori, che sanno dal 7 ottobre della sua intenzione di procurarsi un detonatore munito di telecomando e che nei giorni scorsi avrebbero saputo di cinquanta chili di tritolo già in suo possesso. Giuseppe Setola vuole il grande botto, cerca l’azione eclatante – come la strage alla sartoria Ob Ob o gli omicidi eccellenti di Michele Orsi e dei familiari di pentiti – che faccia molto rumore. Le prime pagine dei giornali e i servizi televisivi, uniti alla cocaina di cui tutto il gruppo fa larghissimo consumo, lo esaltano e lo compiacciono: gli piace la fama, è convinto che solo così, ricorrendo al terrore, il clan dei Casalesi nella sua interezza possa riconquistare definitivamente prestigio delle armi e potere intimidatorio che negli ultimi anni sembrava essere stato incrinato. Lui, Peppe Setola, ragiona così. I capi del cartello lo lasciano fare, perché il clamore dei mitra distoglie gli investigatori dalla caccia ai latitanti importanti – Michele Zagaria e Antonio Iovine, ricercati da tredici anni – e dalle indagini sui nuovi affari del clan, quelli che hanno bisogno di una tregua investigativa per essere conclusi con successo. Setola fa comodo anche al clan Mallardo, alleato storico dei cugini Casalesi, che hanno trovato in lui l’uomo adatto a saldare vecchi conti e che gli hanno messo a disposizione la rete di fiancheggiatori che sinora gli hanno garantito auto, appoggi logistici, documenti. Per la Dda di Napoli è una lotta contro il tempo. Sanno che vinceranno la battaglia, più prima che poi, ma sono preoccupati dai possibili colpi di coda. Il tritolo inquieta, un attentato – contro cose o persone – sarebbe destabilizzante. Ma vanno avanti. «Ce la faremo, è solo questione di giorni». r.cap.
Rosaria Capacchione
Il Mattino il 09/11/08
Il cerchio si stringe Setola sempre più solo. Gruppo di fuoco dei casalesi decimato dagli arresti: il boss stratega del terrore potrebbe consegnarsi
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