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GIGI D’ALESSIO AMMETTE: HO CANTATO AI MATRIMONI DEI BOSS DELLA CAMORRA

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«Se a Napoli fai il cantante, e cominci a essere un pò conosciuto, è inevitabile finire in quel giro. Poi, un conto è fare il proprio lavoro, un altro è essere colluso». Gigi D’Alessio a «Vanity Fair», racconta come per anni sia stato costretto ad esibirsi alle feste di matrimonio dei cammorristi e come sia riuscito ad uscirne «senza farsi spaccare al testa».


«A certi banchetti -spiega D’Alessio- ho incontrato anche colleghi come Renato Carosone o Riccardo Cocciante. Tutte le foto in cui mi si vede con qualche boss sono state scattate durante quelle feste. A Napoli mi fermavano ovunque, dicendomi di tutto -prosegue il cantante- se non vieni a cantare alla festa per il matrimonio di mio figlio ti taglio la gola, Se non ci canti le tue cose al pranzo per il battesimo di mia nipote ti spacco la testa. Ma c’era anche chi preferiva invitarmi concentrandosi sul naso, le gambe, la lingua, le mani. Andavo, eccome se andavo. Sono arrivato a fare quindici feste al giorno: dall’ora di pranzo all’alba».


Su come sia riuscito a uscire da quel giro, D’Alessio continua: «Dopo il concerto del 7 giugno 1997 al San Paolo, che per me fu una specie di miracolo. Feci tutto da solo, di notte andavo in giro ad attaccare anche i manifesti sui muri, e alla fine vennero 38 mila persone. Da allora feci sapere a tutti che non avrei più cantato a una festa. E così è stato. Non ho mai sgarrato. Se in questi anni avessi detto no a qualcuno e sì ad altri, avrei passato guai seri». Su «Gomorra» di Roberto Saviano nel quale si parla di lui, D’Alessio commenta: «Di quello che racconta so già tutto. E so anche che c’è scritto che dalle finestre delle case dei boss si sentivano le mie canzoni. Io, pur avendo frequentato per forza di cose quel mondo -conclude- non mi sono mai sporcato».


La Stampa.it

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