Ghanesi. Ma anche Costa d’Avorio, Togo, Burkina Faso, Niger. C’è mezza Africa centro-occidentale, qui alla cerimonia funebre inter-religiosa davanti alla sartoria della strage: sotto la pioggia, ma senza la presenza delle salme perché l’ambasciata ghanese nega all’ultimo momento il nulla osta per presunti motivi di ordine pubblico. Forte la delusione, fra le decine di immigrati accorsi all’appuntamento. E forte la rabbia. Alla fine si registra qualche cassonetto della immondizia ribaltato in strada per protesta. Piove. Anzi, grandina. Stamattina c’è il vescovo di Capua, c’è l’imam della moschea di San Marcellino (Caserta), c’è il sindaco Nuzzo di Castelvolturno coi suoi vigili urbani e il gonfalone, c’è l’assessore regionale Corrado Gabriele, ci sono a decine gli amici e le amiche inzuppati come pulcini, cupi e malinconici ma venuti in massa qui sotto il porticato, sul luogo della tragedia, al numero civico 1083, per ricordarli in silenzio, pregare e piangere insieme, cattolici e islamici una volta tanto riuniti in ecumenico abbraccio. Ci sono tutti, alla cerimonia in onore delle vittime della strage di camorra del 18 settembre scorso. Però mancano proprio loro, le sei vittime innocenti. A cerimonia quasi iniziata, mentre tutt’intorno grandina e il cielo diventa notte, il sindaco Nuzzo fa sapere che l’ambasciata ghanese ha negato l’autorizzazione a trasportare le salme dall’istituto di medicina legale di Caserta a qui. I motivi? Nuzzo dice che la decisione giunge inattesa. «Ma finora – aggiunge il sindaco – ci siamo sempre mossi all’insegna della piena collaborazione. Che la cerimonia dunque abbia inizio. E che la camorra sappia che non ci incute paura». Più tardi si viene a sapere che l’ambasciata ghanese ha chiesto un rinvio fino al prossimo venerdì 19 dicembre e che è stato prenotato un volo per il giorno 22. Sarà su quel volo che le sei vittime saranno imbarcate per tornare finalmente a casa. Costo operazione: 50mila euro stanziati dalla Regione Campania. Nel frattempo, si prega. In un miscuglio di lingue. E di remoti umori. Con emozione. E angoscia. Sotto la pioggia. Sotto il porticato dove quella sera uomini cattivi si scatenarono contro un grappolo di immigrati abbattuti senza colpa. Kwame, Eladiy, Eric, Karim… Uno faceva il meccanico, un altro il barbiere, un altro ancora si arrangiava nei campi. Fu strage di camorra. Eccidio di innocenti. Racconta Bujina, il fratello di una delle vittime: «Mi telefonarono in Ghana: tuo fratello è stato ucciso, vieni. Io dico: qui brutto, qui la legge non è uguale per tutti». Serpeggia la paura, tra i seimila immigrati (duemila all’anagrafe) che vivono lungo la via Domitiana. E rabbia. Fa sapere Mimma D’Amico, del centro sociale ex Canapificio: «Da un paio di mesi molti fra loro stanno lavorando a Rosarno, in Calabria, per la raccolta delle arance. Ci resteranno fino a fine gennaio. Il dopo-strage? Per colpa del blitz del 20 settembre scorso,quando trecento agenti penetrarono nelle abitazioni di immigrati che nulla c’entravano con la strage, ora la diffidenza è enorme. Ed è più difficile il dialogo». Avverte Nasser Ydoury, l’imam di San Marcellino: «Anch’io sono stato irregolare. Anche io guidavo un’automobile senza assicurazione perché non avevo alternative. È un problema di spazi. Questa gente scoppia. Garantiamo loro lo spazio di cui hanno bisogno per parlare, per esprimersi, per ritrovare identità». Corrado Gabriele, assessore regionale campano, se la prende col sindaco Nuzzo: «Ha fatto confusione – accusa – e poi: non si può da una parte schierarsi per la chiusura del centro Fernandez, che raccoglie gli immigrati, e poi dire che si sta insieme ai ghanesi minacciati». E grandina. Anzi, diluvia. La via Domitiana sembra il Po in piena. Manca l’energia elettrica. Dice il vescovo di Capua, Bruno Schettino: «Qui il problema si chiama cibo, casa, lavoro. Altrimenti si resta raminghi a vita». Cala la sera. E ancora diluvia. C’è assemblea di immigrati, al centro sociale Fernandez. Dice l’assessore Rosalba Scafuro: «È stato difficile spiegare l’assenza delle povere salme. Ma alla fine la gente ha capito, per fortuna. Ora aspettano il giorno 22 per dare ai loro amici l’ultimo saluto».
ENZO CIACCIO
Il Mattino il 12/12/08