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Cantiere selvaggio, la politica italiana ha scoperto il caso Napoli e provincia

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L’Italia ha scoperto il caso Napoli, la politica nazionale e campana si è interrogata, dopo le indagini della procura, sulla questione morale. La notizia è che il consociativismo è tornato di gran carriera con destra e sinistra piegate al volere dell’imprenditore di turno, questa volta il re delle strade Alfredo Romeo, arrestato per l’inchiesta sugli appalti a Napoli che ha fatto traballare la giunta Iervolino.
Nei giorni di “MangiaNapoli” (così ribattezzata l’inchiesta “Global Service” che ha scosso Palazzo San Giacomo con l’arresto di quattro tra assessori ed ex assessori), nelle ore di meraviglia collettiva, il prefetto Alessandro Pansa lanciava l’allarme: in provincia 40 comuni su 91 sono a rischio camorra. “La metà dei comuni della provincia, uno su due, è sotto monitoraggio per infiltrazione della malavita, due sono sotto gestione commissariale: Casalnuovo e Arzano”.


Un allarme passato sotto silenzio, un allarme fondato.
Peccato che sia un disco rotto, perché se attraversi la provincia partenopea, ne osservi la mappa degli enti locali, ti accorgi che il disastro è già nei fatti. Non servono nuove e vecchie cassandre.

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Una mappa di crimini e affari sporchi.
La provincia partenopea non può definirsi un deserto, parola troppo abusata. E’ piuttosto un campo di sperimentazioni far sopravvivere oltre un milione di persone sopra una bomba ecologica tra cemento illegale, appalti truccati e rifiuti tossici disseminati ovunque. Bastava leggere le relazioni di scioglimento dei comuni per capire che a Napoli gli schieramenti politici confluiscono nel magma bipartisan dell’affarismo e della mafiosità strisciante.
Lo strumento con il quale si è realizzato questo abuso osceno è la compiacenza della politica, la sovrapposizione tra controllati e controllori, lo strapotere dei clan e amministrazioni comunali conniventi. Gli inquirenti parlano di strumenti urbanistici piegati ai voleri della cricca locale, feudi in mano a famiglie che da anni gestiscono territori, sottraggono lembi di democrazia e le piegano ai loro interessi.


La mafia sotto casa
aggredisce i patrimoni naturali, devasta i territori, azzera i servizi, umilia il vivere civile e democratico. In provincia di Napoli dal 1991, anno di introduzione dello strumento dello scioglimento, ad oggi 46 comuni sono stati azzerati per contiguità con il potere camorristico. In 6 casi si tratta di comuni già interessati dallo scioglimento. Serviva l’inchiesta Romeo per interrogarsi sul fallimento della politica? Dal 1991, i comuni salvi, mai sciolti o mai monitorati, si contano sulle dita di una mano, il resto è una mappa di crimini e affari sporchi.


Ma nella terra della “munnezza” tossica,
il dato sulla incidenza ambientale è da emergenza nazionale. Basta girare nella provincia dimenticata che qualche giornalista straniero ha paragonato all’Afghanistan, per capire che la politica aveva abdicato al suo ruolo. “Ho portato un giornalista straniero – racconta Amato Lamberti, sociologo ed ex presidente della provincia – a fare un giro e mi ha detto: “voi siete come l’Afghanistan: ci sono le forze della coalizione e poi i Talebani che amministrano, attaccano e fanno quello che vogliono””. Nel 67% dei comuni sciolti per camorra tra le ragioni c’è l’abusivismo edilizio, 7 su dieci.
La percentuale sale se aggiungiamo anche la gestione dei rifiuti. Tra le prime ragioni di scioglimento dei comuni in provincia di Napoli c’è proprio la devastazione ambientale, una compagnia di giro che a livello locale annienta e demolisce territori e futuro. Lo stato non c’è, non c’è una cintura di legalità capace di reagire, i controlli degli abusi sono semplicemente assenti. L’assessore all’urbanistica della regione Campania Gabriella Cundari ha sottolineato: “L’assenza assoluta di un centesimo per procedere alle demolizioni”. Una frase che è risuonata dopo la scoperta di interi quartieri abusivi.

Un intero quartiere abusivo. Casalnuovo, comune di 40 mila abitanti in provincia di Napoli, viene sciolto per infiltrazione della camorra nel dicembre 2007. Con il rilevamento satellitare degli abusi edilizi fermo per carenza di fondi, nell’era della tecnologia, il cemento illegale si scopre con i vecchi metodi. Tra le cause di scioglimento di Casalnuovo c’era la scoperta di un quartiere abusivo, sorto nel silenzio della politica, dei vigili urbani e di chi era addetto al controllo. Storie di guapparia, camorra e malapolitica. Nel comune si era registrato il furto di 130 pratiche di condono, non denunciate alle autorità, per le unità abitative abusive. Il gioco era semplice: far risultare le costruzioni precedenti alla richiesta di condono. Nella relazione di scioglimento si legge: “E’ ragionevole dedurre che tale apparente negligenza era in realtà preordinata a celare la circostanza che i manufatti abusivi non erano ancora stati costruiti alla data di presentazione del condono”. Un’amministrazione che strumentalizzava “il ruolo istituzionale in funzione degli interessi della criminalità organizzata”.


Il sindaco Antonio Manna (Fi)
aveva provveduto anche al rimpastino della giunta dopo la scoperta del quartiere, l’unico a non cambiare era l’assessore all’urbanistica, il più colpevole. In fondo la delega all’urbanistica la teneva proprio il sindaco. Il sindaco motivò il rimpastino come una scelta inevitabile, affermando: “Adesso bisogna solo lavorare per riscattare l’immagine di un paese intero. I problemi degli oltre 53mila abitanti di Casalnuovo sono tanti. A cominciare dall’abusivismo, che d’ora in avanti sarà una priorità nel programma di governo”. A giugno arrivano gli abbattimenti degli edifici, a dicembre del 2007 arriva lo scioglimento del consiglio comunale.

Manifesti di morte. Ma non è l’unico caso di quartieri sorti dal nulla. Dopo Casalnuovo tocca a Melito. Melito è un altro centro al nord di Napoli, 35 mila abitanti, sciolto nel 2005 per infiltrazione mafiosa. Condizionamento del voto, intimidazioni con l’arresto dell’ex sindaco Alfredo Cicala (Margherita), che era sceso in campo per far vincere il compagno di partito Giampiero Di Gennaro. Nelle elezioni del 2003 il centro-sinistra aveva un’altra opzione, Bernardino Tuccillo, ma non era ben visto dagli uomini di onore. Meglio dividersi e portare al trionfo Di Gennaro. A Tuccillo poco prima del voto fecero trovare in strada dei manifesti di morte con il suo nome. Lui era vivo, ma gli davano qualche suggerimento. Dopo il periodo di commissariamento torna in comune nel 2008 come sindaco Antonio Amente. Per il primo cittadino non mancano grane giudiziarie. Indagato in qualità di sindaco che nel 2001 aveva autorizzato la costruzione di interi quartieri abusivi che la procura pone sotto sequestro nel giugno 2007. L’inchiesta della procura di Napoli, pm Maria Cristina Ribera, si realizza in più tranche e coinvolge oltre al sindaco anche l’assessore all’urbanistica, il responsabile settore antibusivismo del comune, ma anche notai e professionisti oltre ai costruttori Guerra. L’inchiesta “Dirty house” porta al sequestro di unità abitative per il valore di 100 milioni di euro. Per la procura nelle aree poste sotto sigillo non era possibile costruire. Il piano regolatore non prevedeva la costruzione di 3 piani, le concessioni erano per opifici artigianali e non per unità abitative, alcune autorizzazioni era destinate all’ampliamento del cimitero e non alla edificazione di case. Una lottizzazione abusiva realizzata da una organizzazione a delinquere, secondo la procura, che si è macchiata di reati contro la pubblica amministrazione, di truffa ai danni del comune e di continue violazioni delle norme urbanistiche e delle prescrizioni edilizie. Una allegra compagnia di giro che teneva in scacco il comune.

Una inchiesta che aveva suscitato la disperazione di quanti con mutuo avevano proceduto all’acquisto, ignari del raggiro. Circa 330 gli appartamenti sequestrati.


Una indagine che ha trovato lo stop del gup,
il giudice per l’udienza preliminare che, a metà settembre, ha prosciolto tutti gli indagati rimarcando errori nella costruzione dell’accusa. Per il primo cittadino una vittoria: “Sono il sindaco forse più onesto di Italia”. Ora la procura ha fatto ricorso in cassazione perché si proceda al giudizio degli indagati sottolineando la validità dell’impianto accusatorio per nulla scalfito dalla sentenza di proscioglimento. La procura sottolinea che “i sequestri realizzati sono stati confermati dal tribunale del riesame e poi dalla corte di Cassazione” e che l’analisi degli atti del gup è parziale e le conclusioni sono “aberranti”. Un contenzioso giudiziario aperto in attesa del pronunciamento della Cassazione. Resta la verità dei fatti, fuor di profilo penale.

Modello Poggiomarino. In molti casi le concessioni edilizie rilasciate per opifici o per insediamenti produttivi danno il largo a cataste di cemento e speculazioni immobiliari.

In provincia di Napoli, gli enti locali faticano ad adottare piani regolatori e si procede in spregio delle regole urbanistiche. Poggiomarino insegna. Quando il comune fu sciolto nel 1991, si scoprì che copia del prg era in casa di Pasquale Galasso, boss della camorra. Il modello Poggiomarino è in uso, l’edilizia è in mano ai clan che ne gestiscono gli affari. Quando parli di cemento e di camorra il pensiero corre a Giugliano e alla cosca Mallardo.


Giugliano
cresce a dismisura, in pochi anni la città è raddoppiata. Terra di cemento e discariche tossiche. L’ultimo sequestro è arrivato con l’operazione della direzione distrettuale di Napoli dopo le rivelazioni del pentito Gaetano Vassallo, legato al gruppo Bidognetti del clan dei Casalesi. Un imprenditore che si occupava di smaltire tonnellate di rifiuti illecitamente con coperture ad ogni livello, già finito sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti negli anni 90, ma misteriosamente giunto immacolato fino ai giorni nostri, fino a quando Vassallo ha deciso di “cantare”. L’indagine della procura partenopea, nel luglio scorso, ha portato al sequestro di 8 discariche abusive. Il metodo Vassallo era rodato: smaltire illecitamente nei terreni campani tonnellate di rifiuti solidi urbani e nocivi. I siti prescelti erano privi dei minimi presidi ambientali e completamente abusivi. Giugliano è terra da stuprare e molte discariche erano localizzate nel comune dei Mallardo. Ma i controlli?


A Giugliano per anni si è sversato e costruito abusivamente
e quando si parla di controlli bisognerebbe invocare l’intervento dei vigili urbani. Nei giorni di “Mangianapoli” è arrivata una sentenza choc: 18 condannati su 19, assolto solo un privato cittadino. Con giudizio abbreviato sono stati condannati vigili urbani, professionisti, dirigenti dell’ufficio tecnico. Le condanne emesse dal giudice Anita Polito hanno superato le richieste della pubblica accusa, da 4 ai 12 anni di reclusione, nonostante lo sconto di pena di un terzo. Non c’è l’aggravante per mafia, in questo caso il sistema, la consorteria criminale era composta da chi doveva gestire, controllare, tutelare il territorio.


I vigili a Giugliano lavoravano,
ma per i loro interessi, coprendo abusi, devastazioni, cemento illegale, dispensando piaceri, in cambio di soldi, potere e perfino promesse sessuali. Nessuna sanzione in cambio di mazzette, così nasceva la seconda Giugliano. Funziona così in provincia di Napoli. L’inchiesta della direzione distrettuale di Napoli, coordinata dal pubblico ministero Paolo Itri e condotta dalla polizia di Giugliano, ha fatto luce su una cricca di corruttori e affaristi del crimine, assegnati al comando dei vigili urbani, all’ufficio tecnico con abusi e scempi commessi tra Giugliano, Lago Patria, Varcaturo.

Falso, associazione a delinquere, corruzione tra i reati commessi dalla consorteria, solo una parte è arrivata a sentenza con giudizio abbreviato, per gli altri imputati è in corso il dibattimento. Una inchiesta che coinvolge l’intero corpo dei vigili urbani, si salva solo il comandante.

Antonio Basile capitano dei vigili urbani è stato condannato a 12 anni così come l’altro capitano Giuseppe Taglialatela, poi condanne per imprenditori, agenti di polizia municipale, geometri.


Giugliano vigile.
A rileggere, alla luce delle condanne, l’ordinanza di custodia cautelare del gip Giuseppe Ciampa del maggio scorso lo scenario diventa infernale. Due anni di indagine, intercettazioni, decine si episodi di corruzione vagliati, per svelare il sistema della Giugliano vigile. “Emerge dalla conversazione – si legge nell’ordinanza – che il corpo dei vigili urbani di Giugliano è dunque un settore a parte nel quale non è possibile entrare, dove la falsificazione e l’omertà è la regola”.Il sistema di corruzione tenuto in auge dalla consorteria composta da vigili urbani e ufficio tecnico ha reso per anni il territorio di giugliano “zona franca del malaffare”, Un sistema di corruzione “sbalorditivo per la sua estensione fondato sul principio cardine secondo il quale ad ogni costruzione deve corrispondere una tangente, piccola o grande che sia”.Un territorio diviso per zone con un tariffario del pizzo per chiudere gli occhi su vecchi e nuovi abusi. I vigili pronti a tutto, ma supini e rispettosi della gente “che capisce” con riferimento ai Mallardo di Giugliano: quando gli interessi erano afferibili al clan, allora solo inchini e lustrini.Diventa difficile immaginare una risposta dello stato, se nelle terre della camorra, lo stato ha questa faccia. A Giugliano quando è arrivata l’inchiesta da poco si era insediata la nuova giunta, il sindaco è Giovanni Pianese, ancora una volta in sella dopo le stagioni da primo cittadino (di stretta osservanza pomiciniana) degli anni 80. Ha vinto con l’appoggio delle grandi famiglie di Giugliano come quella del consigliere Giuseppe Aprovitola, 1.800 preferenze, tra i big del cemento in città. Tra i coinvolti nell’inchiesta c’è anche Francesco Porcaro, geometra dell’ufficio tecnico: vengono segnalate sue telefonate proprio con Aprovitola, indicato nell’ordinanza, ma non coinvolto nell’inchiesta, come imprenditore protagonista degli affari cementizi degli ultimi 15 anni a Giugliano, dove non si muove foglia che il clan Mallardo non voglia, a cui risulterebbe, secondo quanto affermato dagli inquirenti nella stessa ordinanza, “contiguo”.
Prima delle elezioni, il sindaco Pianese contro la microcriminalità pensava a “videosorveglianza e ad un´operazione per diffondere tra i giovani il rispetto e il senso dello Stato, la legalità”. Le prime videocamere potrebbe piazzarle in comune.


Quando la festa sarà finita.
I controllori sono parte del sistema affaristico e criminale. Negli stessi giorni di “MangiaNapoli” è arrivata la sentenza di primo grado del tribunale di Nola che ha condannato l’ex sindaco di San Gennaro Vesuviano. Una stringata nota di agenzia: «Condanna per Fausto Gaetano Pesce (Fi, ndr.), in ordine ai reati di abuso d’ufficio e falso ideologico e per aver favorito alcune ditte ritenute in odore di camorra. L’inchiesta, pm Maria Antonietta Troncone, ha portato alla condanna per diversi reati anche del comandante della polizia municipale del comunedell’agro nolano, Biagio Palma». Palma nel 2007 partecipò in una scuola elementare al convegno “Pizzini no grazie”. Tra i condannati anche consiglieri comunali, ex assessori, dipendenti comunali. Il comune di San Gennaro Vesuviano è stato sciolto nel 2001, quando era sindaco Pesce, e poi nel 2006, con sindaco Aniello Catapano, sempre centro-destra. La giustizia amministrativa ha riabilitato Catapano, che è tornato di nuovo in sella, ora è nuovamente primo cittadino. Ma c’è un particolare da tenere in conto. Secondo la relazione di scioglimento della giunta Catapano due consiglieri dell’amministrazione precedente, ora condannati, erano protagonisti anche del nuovo corso. Oltre a questi c’erano anche i dipendenti, così come il comandante dei vigili urbani, ancora in servizio anche se imputati. Altro elemento di contiguità i rapporti con l’ingegnere Francesco Fabbrocino, anche lui condannato a 3 anni di reclusione, figlio di Stefano e nipote del superboss Mario Fabbrocino. Nel processo giunto a sentenza di primo grado ai condannati – tra questi il precedente sindaco Pesce – è stato inoltre contestato l’aver favorito proprio imprese legate al clan Fabbrocino. Una linea di continuità e coerenza, nonostante il giudizio del Tar, che lega le due giunte. In fondo il sindaco Catapano è il cognato di Antonio Iovino, titolare dell’impresa dove lavorava Francesco Fabbrocino, e «destinatario (Iovino) – si legge nell’indagine prefettizia – di ordinanze di custodia cautelare per reati di mafia». Ma torniamo ai consiglieri. Tra i condannati c’è anche Francesco Annunziata, già assessore ai lavori pubblici nella giunta Pesce, segnalato dalla
commissione prefettizia in assidui rapporti proprio con Francesco Fabbrocino. L’Annunziata ha proposto insieme con gli altri ricorso al Tar, vincendolo. Oggi ha sul groppone una condanna a 3 anni e 4 mesi in primo grado. Sul comune di San Gennaro alla voce consiglieri si legge Francesco Annunziata, geometra; ma anche Saverio Giugliano, anche per lui una condanna a 3 anni e 6 mesi. Il Tar li ha riabilitati, il tribunale li ha condannati, in primo grado. Oggi l’ex sindaco Pesce con una condanna sulle spalle a 3 anni e 6 mesi è vicepresidente del consiglio provinciale di Napoli. Per tutti c’è lo scudo dell’indulto. Tra poco scenderà il silenzio su Napoli e tornerà tutto come prima. La festa è finita, “gli amici se ne vanno” cantava una canzone. Da Parthenope andranno via luci e telecamere, resta il ritratto di questa provincia coperta da mafia e malaffare.

Inchiesta pubblicata sul numero di gennaio di Narcomafie

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