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Cesti maranesi, rivive l’antico mestiere

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Nasce con l’obiettivo di far conoscere ai giovani del territorio uno dei più antichi mestieri artigianali che, per alcuni secoli, ha rappresentato una voce importante dell’economia cittadina, dettando anche i ritmi della vita e le usanze della stragrande maggioranza delle famiglie del territorio. L’industria delle “ceste” è stata una tipica e rinomata attività artigianale cittadina fino alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, poi finita nel dimenticatoio in seguito all’avvento della plastica, la cui diffusione a livello planetario costrinse gli artigiani locali e ricollocarsi nell’ambito della nascente industria edile. E proprio in quest’ottica l’associazione “Aggregarci Marano”, nell’ambito del progetto “Terra Mater et Magistra 2010” curato dall’ufficio Promozione del territorio del Comune, ha presentato nei giorni scorsi il laboratorio teorico – pratico dei “Cesti maranesi”. Con grande dedizione e attenzione, il maestro-artigiano Armando Puca, tra i pochi a portare ancora avanti l’antica tradizione, sta facendo conoscere ai dieci partecipanti i segreti di questo mestiere, la cui produzione fu introdotta, con ogni probabilità, da un nucleo di ebrei insediatisi in città nell’alto medioevo ma di cui oggi si sono perse le tracce. “Il lavoro era a conduzione familiare e ogni componente concorreva, con una precisa distribuzione dei ruoli, alla realizzazione di manufatti assai diversificati – spiega lo storico Enzo Savanelli – Materia prima per la lavorazione delle “ceste” era la “ginella”, nome con cui veniva indicato il castagno di due anni, largo non più di quattro o cinque centimetri, cresciuto nei vicini boschi di Foragnano, Salandra e della collina dei Camaldoli”. Il castagno, dopo esser stata messo a macerare in acqua per circa due mesi, veniva poi infornato a temperatura non elevata per renderlo morbido al taglio, ovvero alla sfoliazione. Un lavoro che richiedeva grande attenzione e precisione per la cui realizzazione gli antichi cestai erano costretti ad usare persino gli incisivi. In un primo tempo, la produzione era destinata al raccolto dei campi, in particolare delle ciliege e di altri prodotti tipici del territorio, ma successivamente ebbe grande diffusione anche tra i pescivendoli. Esportati in tutta Italia e non solo, rappresentavano un vanto per l’intera comunità. “Ma ora – sottolinea Savanelli – ritengo si tratti di una tradizione non più collocabile. Apprendere un mestiere per necessità, avere la possibilità di carpire lo spirito dell’attività è un conto, farlo per altri motivi non ha lo stesso significato”.


Il Mattino 03/11/2010

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