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sabato, Giugno 29, 2024
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PREPARAVANO FUOCHI, STRAGE NELLA FABBRICA
Giugliano, gli articoli del Mattino

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di GIGI DI FIORE


GIUGLIANO. La scritta del cartello triangolare a sfondo giallo sembra una beffa: «Pericolo di esplosione». E suonano stonati anche i due avvisi che invitano a non fumare. Scene di morte, atmosfera surreale su un’area annerita circondata da alberi di percoche gialle e fichi. È qui, in fondo ad un sentiero sterrato immerso in campi coltivati a frutta chiamato traversa Ischitella di via Santa Maria a Cubito, che in pochi secondi si è materializzato un pezzetto di inferno: cinque morti dai corpi dilaniati e resi irriconoscibili, dopo l’esplosione di una fabbrica di fuochi d’artificio.

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Cerchi l’illecito, i permessi fuori posto e invece i tre manufatti che componevano l’opificio della ditta «Fratelli Vallefuoco snc» di Mugnano sono tutti autorizzati dalla Prefettura. Licenze, documenti, curriculum da fare invidia per uno dei nomi di «maestri artigiani della pirotecnia» conosciuti nel mondo. Cinque fratelli avevano continuato la tradizione di famiglia, l’attività fondata dal padre. Di quei fratelli, due non ci sono più, morti nello scoppio: Giuseppe, 43 anni, e Antonio, 41. Dove c’erano due manufatti in mattoni e lamiere di circa dodici metri quadrati, ora c’è il nulla, resti di corpi. Con i fratelli Vallefuoco, sono morti anche Cristoforo Lieto, 48 anni, con il figlio Antonio di 20 e Carmine Napolitano, 23 anni. Tutti di Visciano. Tutti occupati nella ditta dei fratelli Lieto, altra realtà molto nota nel panorama degli spettacoli pirotecnici nazionali.
L’inferno si è materializzato poco prima delle due del pomeriggio, in un’afa opprimente ed un caldo che neanche l’ombra del grande pioppo, a ridosso del primo manufatto, quello degli uffici, rimasto intatto con il suo frigorifero bianco spalancato, riusciva ad alleviare. Sotto quell’albero, c’è una rozza tavola in legno, con accatastate bottiglie di birra, uno zainetto a terra, percoche ovunque. Racconta Gabriele Vallefuoco, uno dei fratelli, rimasto illeso con piccole escoriazioni sul corpo: «Stavamo mangiando sotto l’albero, io mi sono attardato a togliere da mezzo e a ripulire. I cinque morti si erano avviati verso il corpo centrale, dove ci sono i due manufatti che servono a preparare i fuochi. Non ho capito nulla, mi sono buttato a terra. L’indescrivibile, poi nulla più».
Chi era a ridosso della fabbrica, dove si stavano ultimando delle «bombe» da portare ad una festa patronale in provincia di Lecce programmata per oggi, ha perso la vita. I carabinieri di Giugliano, guidati dal capitano Gianluca Trombetti, raccolgono le prime testimonianze. Al reparto grandi ustionati dell’ospedale Cardarelli, con prognosi riservata, viene portato Romualdo Vallefuoco, 28 anni, nipote dei titolari della fabbrica. Al lavoro, erano in sette, poi, al momento dell’esplosione, intorno c’erano amici e, soprattutto, Giuseppe Lieto e il figlio con un loro collaboratore. Sussurra Gabriele Vallefuoco: «Mannaggia, mannaggia…come è potuto succedere? Erano venuti in tre per appoggiarsi alla nostra fabbrica e cercare materiale, da prendere per i loro spettacoli».
Une versione ripetuta negli interrogatori alla caserma dei carabinieri: i Lieto, insieme con i Vallefuoco ed altre ditte, avrebbero dovuto organizzare il grande spettacolo pirotecnico per Santa Domenica nei dintorni di Lecce. Erano arrivati a Ischitella poco prima, con il loro camioncino carico di tubi per grandi evoluzioni pirotecniche. Senza più fabbrica propria, si «appoggiavano» dai Vallefuoco, ritengono gli inquirenti, per preparare i fuochi. Mentre entravano nell’opificio con i due fratelli Vallefuoco, o erano già dentro, l’esplosione. Ipotizza un inquirente: «C’è da verificare se era in lavorazione più materiale del consentito che, per l’alto calore, ha potuto provocare l’esplosione». Ma c’è chi pensa a una dinamica diversa, con qualcuno già al lavoro al momento dello scoppio. Il boato è arrivato fino al centro di Giugliano, mentre in zona accorrevano curiosi. La fabbrica non c’è più, la Passat verde targata Firenze, parcheggiata sul terreno a pochi metri, è distrutta. Un paio di extracomunitari gironzolano con il volto smarrito, mentre la Polizia mortuaria, autorizzata dal pm di turno Luigi Santulli, tenta di recuperare brandelli di corpi. Macabri rituali, cornici d’inferno.





“LI HO VISTI ENTRARE, E’ SALTATO TUTTO IN ARIA”


di ENZO CIACCIO



Il piazzale all’interno della fabbrica di fuochi è un cumulo di detriti fumanti, come dopo un bombardamento a tappeto. «Il boato – raccontano – si è sentito fino a San Marcellino, che dista dodici chilometri da questa campagna isolata. Tutt’intorno, le cinque casematte sventrate offrono scenari di sapore mediorientale.
E i mattoni, schizzati come proiettili a centinaia di metri lontano. E i resti umani, disseminati nella campagna, che qui è ricca di fragole e pesche gialle e albicocche tra le più buone d’Italia. Una mano, una povera mano tutta annerita, giace laggiù, sul lato opposto del viottolo, sotto il quarto albero a destra, nel pescheto lussureggiante.
Scene da day after. Lui indossa una maglietta variopinta, con una donnina che balla stampata sopra e la scritta «wonderful beauty» a caratteri argentati: Gabriele Vallefuoco, massiccio e asciutto, è uno dei fatelli titolari della famosa ditta, che ha vinto premi in tutto il mondo e da 45 anni fa sognare generazioni di adulti e bambini. Piange. Ma di lacrime spente. La scritta sulla maglietta, festosa e sgargiante, sembra un insulto a tutto questo dolore, immenso eppure contenuto in un pudore d’altri tempi. E racconta, Gabriele. E descrive l’orrore di quegli attimi in cui ha visto morire la sua famiglia: «Eravamo sotto il pioppo, il grande pioppo che sovrasta la fabbrica – dice – e avevamo appena finito di consumare la colazione. Faceva un gran caldo, ma all’ombra si stava bene. Io stavo facendo un po’ di pulizie e avevo appena salutato mio suocero, che era venuto apposta per portarci il caffè. Sapete, qui siamo in aperta campagna, ci sentiamo un po’ abbandonati e spesso qualche amico ci rinfranca col caffè o l’acqua minerale. Poi mio suocero si è allontanato, se ne è andato a raccogliere le pesche gialle, le percoche, nel campo che sta dall’altro lato del viottolo. È stata la sua salvezza. Appena è scomparso alla mia vista, ho sentito come il boato di una bomba che esplode. Ho visto pietre e detriti schizzare via dappertutto, come durante un’eruzione. E poi un altro boato. E un altro ancora. I miei due fratelli, Antonio e Giuseppe, e Cristoforo e Antonio Lieto, che erano venuti per comprare dei fuochi, un attimo prima erano entrati nel deposito insieme a un giovanotto. Sì, ho pensato: stanno proprio vicini al materiale esplosivo. È stato nell’attimo in cui ho messo a fuoco questo pensiero che ho capito quel che davvero era successo». È un racconto lucido, quello di Gabriele Vallefuoco. Anche se con qualche ombra. E continua, il fratello sopravvissuto: «Mi sono sorpreso a indietreggiare, poi a correre lontano. Mi faceva male la gamba, una pietra mi aveva ferito. E correvo, correvo. Correvamo tutti. A perdifiato».
Ore 15.30. Gli uomini della polizia mortuaria fanno fatica a raccogliere i resti. È un macabro dovere, consumato mentre i familiari arrivano alla spicciolata. Pianti, Disperazione. Orrore. E facce cupe, che guardano a terra. Mario Maneli, insegnante e appassionato pirotecnico, da tre anni non dava più una mano ai Vallefuoco. Colpa della leucemia, male carogna che impedisce la vita. Però li frequentava, perchè la passione è passione e nemmeno la leucemia riesce a chetarla: «Ho battezzato il figlio di Gabriele. Questa era una famiglia esperta. Tragedia inspiegabile». E il suocero di Gabriele, salvo grazie alle pesche che voleva raccogliere, dice come inebetito: «Il loro è un lavoro come gli altri. Sono cose che possono succedere. Non è colpa di nessuno. Capito? Colpa di nessuno». Pomeriggio di lutto. Gabriella, la giovane figlia di Cristoforo Lieto, ripete la sua nenia raccontata a se stessa: «È colpa mia, è stata solo colpa mia». Sviene la moglie di una delle vittime. E Basìl, algerino da 13 anni qui, racconta la sua mezza, stranita verità: «Raccolgo frutta. Nei campi. Brava gente, i Vallefuoco. Mi davano acqua e caffè. Mi volevano bene». Lavoravi per loro? «No». E i tuoi amici? «Sono algerini come me. O marocchini. Di notte, dormivano in una casamatta della fabbrica. Ci sono le brandine. E non c’è umidità». Lavoravano per loro? «no no…».




MAGIA E DRAMMA, IL DETINO DI DUE FAMIGLIE



Giugliano.
Si incrociano i destini di due famiglie, che, nel mondo tutto da scoprire della pirotecnia ufficiale, sono delle stelle. I Vallefuoco ed i Lieto, come a dire due delle cime nell’organizzazione di spettacoli con fuochi d’artificio. Un mondo che conserva, anche se sono passati tanti secoli, il mistero della magia, il confine con il rischio, il pericolo di morte che aveva nel Medioevo. Un po’ alchimisti, un po’ artigiani, un po’ artisti, i «fuochisti» si considerano ancora tali, quando lasciano a bocca aperta spettatori estasiati dalle magie dei giri del fuoco e dei colori. E il titolo di cavaliere, che si dà a tanti «maestri fuochisti» testimonia quella magia. Un titolo solo verbale. Così, Gabriele Vallefuoco è per tutti il cavaliere e lui, fino a ieri, ne andava fiero. Ora anche per i Vallefuoco il pericolo di morte nel loro mestiere misterioso è diventato realtà: i cinque fratelli sono diventati tre. Giuseppe e Antonio non ci sono più. Vittime del loro lavoro, o del loro destino, accettato con fatalismo da tutti i «maestri fuochisti». Diceva un loro collega, accorso sul luogo dell’esplosione: «Non scriva chi sono. Qui sono corso a testimoniare la mia solidarietà ai Vallefuoco. Tra noi ci conosciamo tutti, quelli regolari e seri. Sappiamo che il rischio è parte del nostro mestiere, ma pensiamo che l’abilità e l’esperienza non ci porteranno mai alla morte. Forse è un modo per non pensarci».
I destini dei «maestri fuochisti». I destini incrociati, che hanno portato i Lieto a trovare, due anni dopo la loro tragedia a Visciano, ancora delle morti. I fratelli Lieto di Visciano, come i fratelli Vallefuoco di Mugnano: due anni fa, esplose la loro fabbrica. Nell’esplosione, morì Salvatore Lieto, 51 anni, uno dei quattro fratelli. Rimasero in tre: Ugo, dirigente del sindacato artigiano Cna, Cristofaro e Carmine. Salvatore era conosciutissimo a Visciano, dove era stato anche assessore. Senza fabbrica, i Lieto avevano continuato con successo ad organizzare spettacoli pirotecnici per l’Italia. Quel destino ha portato Cristofaro, con il figlio Antonio, dai Vallefuoco nel pomeriggio maledetto: si «appoggiavano» a quella fabbrica, per uno spettacolo di fuochi d’artificio da tenere in Puglia. È saltata in aria anche la «Vallefuoco».
Piangono la moglie e la figlia di Cristofaro Lieto. Urlano: «Perchè tutti e due. Perchè? È colpa nostra». Chissà perchè. Ognuno cerca ragioni alla fatalità, altri parenti, accorsi sullo sterrato annerito dall’esplosione proprio mentre sono all’opera gli uomini della Polizia mortuaria, esprimono la loro rabbia.
I Vallefuoco ed i Lieto, tante volte insieme in rassegne e spettacoli pirotecnici a fronteggiarsi per conquistare premi e riconoscimenti. Amici e colleghi, rivali e concorrenti. Ma i «maestri fuochisti» sanno dimostrare anche solidarietà di corporazione e i Vallefuoco avevano accolto i Lieto nella loro fabbrica, concedendo loro spazio e possibilità di produrre fuochi. Un «appoggio», per continuare a lavorare con successo.
In fondo, non erano stati i Lieto colpiti tanto duramente dalla sorte due anni fa? Ugo Lieto è stravolto dal dolore. Non riesce a dir nulla. Due anni fa, il fratello Salvatore, ora l’altro fratello Giuseppe ed il nipote Antonio. Sarà pure il rischio di un’attività magica, sarà anche la voglia di vedere sorridere i bambini con il naso all’aria fisso verso i fuochi in cielo, ma dietro quelle gioie c’è un rischio elevato. Tutti, però, sanno che sia i Vallefuoco che i Lieto, non riusciranno a smettere, dopo due generazioni, la loro attività.
g.d.f.





ROMUALDO IN FIN DI VITA, ANSIA AL CARDARELLI



di ANNA MARIA ASPRONE





Romualdo, 28 anni, una vita ancora tutta davanti. Poi, in un attimo tutto è in discussione, la stessa vita è appesa al filo della speranza. Quel forte boato che ha distrutto la fabbrica di famiglia ha devastato vite, sogni e speranze, lasciando intorno solo un acre odore di fumo e disperazione. Romualdo è uno dei più giovani dei Vallefuoco ma ha già sulle spalle anni di esperienza nel settore. Non è certo uno sprovveduto come suo padre, come quei suoi zii, morti nell’esplosione. Da ieri pomeriggio Aldo, come lo chiamano in famiglia sta lottando con tenacia per la sua vita. Il suo giovane corpo, devastato al 70 per cento dalle ustioni, per fortuna sta reagendo alle cure dei sanitari che si alternano incessantemente al suo capezzale. Ma occorreranno almeno 5 giorni prima che venga sciolta la prognosi che resta per ora riservata.
Fuori, davanti alla porta del Centro Grandi Ustionati dell’ospedale Cardarelli, tutti pregano per lui. Mamma, papà, la fidanzata, i cugini e gli amici. Tutti con il fiato sospeso, gli occhi già consumati dalle lacrime versate per Antonio e Giuseppe, gli altri due membri della famiglia, morti in quella terribile deflagrazione. «Sembrava fosse caduto un aereo» dice un amico che attende con i familiari notizie per sperare. L’atrio del pronto soccorso del Cardarelli è un via vai di gente, soprattutto giovani e ragazze che vengono a chiedere notizie di Aldo e a dire una parola di conforto a quella famiglia, che tutti conoscono a Giugliano per serietà e affiatamento. «Sono molto uniti tra loro – commenta con gli occhi lucidi una giovane donna – stanno sempre tutti inisieme. Uniti nel lavoro e ora nel dolore». Anche ieri, fratelli e nipoti erano tutti insieme impegnati a preparare quel carico di giochi pirotecnici che la sera stessa avrebbe dovuto essere portato a Lecce per una festa. Ma nessuno li vedrà quei giochi. Quegli splendidi gioiosi fuochi hanno bruciato la vita di cinque persone e messo a rischio quello di Romualdo. Ieri, comunque, in serata è giunta una buona notizia: una tac ed un’ecografia hanno escluso, almeno per il momento, la presenza di lesioni interne.





DA ISCHITELLA VERSO IL CANADA, LA FRANCIA E LA CINA
Vallefuoco, marchio mondiale



Cinque fratelli, fino all’incidente di ieri, tutti impegnati nell’azienda, fondata dal padre Romualdo. Due generazioni, che hanno fatto della produzione pirotecnica la loro ragione di vita. E l’azienda Vallefuoco è oggi una delle stelle nel settore dei fuochi d’artificio in Campania. Sede a Mugnano, fabbrica dal 1973 al bivio di Ischitella. I maggiori risultati negli anni compresi tra il 1988 ed il 1990, quando i fratelli Vallefuoco partecipano alla grande manifestazione pirotecnica di Vancouver e Toronto in Canada, nonché in Cina ed in varie parti di Europa, Francia e Spagna. Poi risultati e riconoscimenti un po’ dappertutto in Italia, compreso il parco divertimenti «Mirabilandia» vicino Ravenna. Negli ultimi tempi, una specializzazione particolare nella produzione: l’accensione elettronica degli artifici con effetti piromusicali. Nel curriculum, di cui Gabriele Vallefuoco va fiero, tanti premi: il primo posto nella manifestazione piro-musicale in Canada, gli encomi a Macao ed a Montecarlo, i risultati al festival di Bilbao e San Sebastiano in Spagna. Arte e capacità esportate nel mondo, tanto che, come tradizione antica, Gabriele Vallefuoco viene chiamato da tutti «cavaliere», pur non essendo stato investito da alcun titolo formale. Titolo puramente verbale che, per tradizione, viene esteso a molti «maestri della pirotecnia», considerata dal Medioevo un’arte a confine con la magia. Nel 1997, a San Luca Branca, la ditta Vallefuoco conseguì tutti i premi speciali: migliore bomba da tiro, migliore serie di bombe da tiro, migliore bomba da tiro novità.




DA VISCIANO GLI SPETTACOLI PER PIAZZA PLEBISCITO



Fireworks, botti di Capodanno




Anche la «Fireworks» è un’azienda di fuochi d’artificio, che raggruppa dei fratelli: quattro, fino all’incidente che, due anni fa, distrusse la fabbrica di Visciano provocando la morte di Salvatore, il primogenito. Rimasero gli altri fratelli Lieto a continuare l’attività, con un marchio conosciuto in tutto il mondo. Come i Vallefuoco, anche i Lieto sono uno dei nomi più noti nel settore dei fuochi d’artificio in Campania ed in Italia. Negli ultimi tempi, gran parte degli spettacoli pirotecnici di Capodanno a Napoli sono stati organizzati dai Lieto, come in occasione del concerto di Lucio Dalla a piazza Plebiscito. Anche nell’ultimo Capodanno è stata la ditta Lieto a tenere la conclusione dei fuochi d’artificio da Castel dell’Ovo. In contemporanea, i Lieto tennero lo spettacolo pirotecnico anche ad Amalfi. La sciagura di due anni fa, fu una mazzata per i fratelli, che comunque continuarono l’attività soprattutto di gestori di spettacoli pirotecnici. Molti i premi ai festival ed alle rassegne pirotecniche nel mondo. Ma molti anche i riconoscimenti ufficiali per iscritto, inviati, negli ultimi tempi, ad uno dei fratelli, Ugo, che è esponente del sindacato artigiani Cna. Gli ha scritto, ad esempio, il sindaco di Salerno, Mario Di Biase, complimentandosi con lo spettacolo pirotecnico del Capodanno 2003 trenuto proprio nel capoluogo salernitano: «Anche in questa occasione ha confermato la maestria e la fantasia della sua arte, riuscendo ad entusiasmare un pubblico tradizionalmente eterogeneo, competente ed esigente».





L’ARTE DEI BOTTI: POCHE REGOLE MA MOLTI SOLDI


di DANIELA LIMONCELLI



Vogliono un napoletano per mettere in scena gli spettacoli pirotecnici delle Olimpiadi di Atene. Ancora non è conclusa la contrattazione con il pirotecnico dell’azienda Schiattarella, tra le più note della Campania, ma gli addetti al settore è con orgoglio che danno per certa la presenza di un suo maestro dei fuochi ai giochi olimpici.
Erano «made in Campania» i fuochi richiesti ed esportati in Portogallo per i Campionati europei, sono tutti del Sud i più gettonati maestri pirotecnici chiamati a dipingere i cieli dall’America alla Cina in occasione dei grandi eventi. Citano esempi su esempi, una lunghissima lista da albo d’oro, i responsabili delle associazioni di aziende o di spettacoli pirotecnici, in questo giorno di lutto del settore. Lo fanno con forza per mettere profonde distanze tra i fabbricanti delle micidiali Osama o Kamikaze, bombe di Capodanno, e le aziende pirotecniche a norma di legge che tutto il mondo invidia.
Stando all’Associazione nazionale spettacoli pirotecnici, sono circa 500 in Italia le aziende produttrici a norma di legge. Contano su oltre 3mila addetti, circa 15mila occupati nell’indotto, per un giro di affari di svariati milioni di euro. In testa, il Sud. La maggior parte delle aziende ha sede in Campania. I tre poli maggiori della regione: la provincia di Caserta, la provincia di Napoli e di Salerno. Oltre 5mila sarebbero in Campania gli occupati nell’indotto. Al secondo posto in Italia come numero di aziende pirotecniche produttrici la Sicilia, al terzo la Puglia.
«Fanno la corte alla nostra tecnica di lanciare in aria i fuochi di artificio perfino i cinesi che, oggi, sono tra i maggiori produttori di fuochi di artificio» racconta Viviano Nobile, segretario dell’Anisp, proprietario di un’azienda a Mercato San Severino, produzione concentrata tra Cina e Albania. «Gli italiani – spiega -, e i campani più degli altri, sono gli unici a saper ”dipingere” in cielo fuochi di artificio a nove aperture con un solo lancio». Gli oltre mille feriti e i circa trenta morti uccisi in Italia negli ultimi dieci anni dai fuochi di Capodanno? «Vittime di un mercato illegale – spiega Nobile -, di realtà che nascono e muoiono: un censimento dettagliato delle fabbriche non autorizzate per ora non esiste. Ma le aziende che lavorano nel rispetto della legge combattono con tutte le loro forze gli abusivi: danneggiano le imprese di antica tradizione, sia in termini economici che d’immagine, mentre il comparto dei fuochi potrebbe rappresentare uno dei settori trainanti dell’economia campana». Per combattere gli abusivi, le imprese di categoria si stanno battendo per ottenere l’approvazione di un albo professionale dei pirotecnici (la normativa è alla Camera dei deputati). Oggi, infatti, sono le Prefetture a rilasciare o meno l’idoneità alla professione.
La Vallefuoco, l’azienda dove si è verificato l’incidente mortale, vanta trofei in Canada come in Cina. Faceva parte delle 80 aziende regolari che operano in Campania (40 quelle che hanno sede tra Napoli e provincia per un fatturato annuo di 250mila euro). Contano mille addetti e un fatturato annuo di 500mila euro (dati Cna, Confederazione artigianato e piccola media impresa di Napoli). E tiene a sottolineare Nicola Campoli, direttore generale della Cna di Napoli e provincia: «Alto è il livello artistico e produttivo della Vallefuoco. L’attività si svolge nel pieno rispetto delle normative sulla sicurezza del lavoro previste da questura, prefettura, asl e vigili del fuoco». Purtroppo, sottolineano alla Cna di Napoli, neanche il rispetto delle norme di sicurezza riesce a prevenire gli incidenti. Chiede, infatti, la Cgil di Napoli insieme con quella dell’area giuglianese, maggiori garanzie di sicurezza sul lavoro, specialmente rispetto a un mestiere, come questo, così a rischio. «Dietro la produzione artigianale dei fuochi pirotecnici – spiega Campoli – psi nascondono pericoli legati al processo produttivo, nonostante siano rispettate tutte le norme, così come può avvenire in qualsiasi azienda. Purtroppo il settore finisce sempre sui giornali solo per terribili episodi. Sarebbe ora invece di riconoscere l’alto valore culturale di questa arte che fa parte delle nostre tradizioni ed è apprezzata in ogni parte del mondo. Le nostre aziende pirotecnicheproducono arte ed economia». Allo studio al Cna, una serie di iniziative per combattere gli illegali e rilanciare il comparto. «A iniziare – anticipa Campoli – da un consorzio pirotecnico campano che raggrupperà tutte le imprese più famose e rappresenterà una sorta di filiera dell’intero ciclo produttivo. Il comparto potrebbe infatti rappresentare uno dei settori trainanti dell’economia regionale».





IL MATTINO 6 LUGLIO 2004 – PAGG. 2- 3

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