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TRANSESSUALE BRUCIATO VIVO, TUTTI ASSOLTI
L’omicidio a Melito due anni fa

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MELITO. Si chiude con l’assoluzione dei due imputati il processo per l’omicidio di Enrico Taglialatela, il transessuale dato alle fiamme da un branco di balordi il 19 agosto del 2003 a Melito e morto dopo undici giorni di agonia. Dopo tre ore di camera di consiglio i giudici della terza sezione della Corte d’Assise (presidente Achille Scura) hanno scagionato Domenico Marino e Luigi Sturace dall’accusa di aver commesso il brutale delitto. Il verdetto è stato letto dieci minuti prima delle 15 nell’aula bunker del carcere di Poggioreale dove si è celebrata l’udienza conclusiva del dibattimento. I due imputati, entrambi incensurati e poco più che ventenni, sono scoppiati in lacrime. Per entrambi finisce un incubo, la criminale aggressione ai danni di Taglialatela resta senza colpevoli. A chiedere l’assoluzione erano stati sia gli avvocati (Anna Ziccardi per Sturace, Francesco Foreste e Saverio Senese per Marino) sia il pubblico ministero Fabio De Cristofaro. Le parti sono giunte alla medesima conclusione partendo però da posizioni differenti: gli avvocati nella certezza della estraneità dei due ragazzi alla terribile accusa mossa nei loro confronti, il rappresentante dell’accusa a seguito della ritrattazione del testimone-chiave, un amico di Marino e Sturace che nella fase delle indagini preliminari aveva messo gli investigatori sulle tracce degli imputati. Il teste aveva poi modificato la versione originaria sia in occasione dell’udienza di «incidente probatorio» celebrata prima del dibattimento sia in aula, davanti alla Corte d’Assise, inducendo il pm De Cristofaro a chiedere la trasmissione degli atti all’ufficio di procura per valutare la sussistenza di eventuali profili di falsa testimonianza e a sollecitare la scarcerazione di Marino e Sturace, poi accolta dalla Corte d’Assise il 7 gennaio scorso. Alla luce di queste considerazioni appare assai probabile che la procura decida di impugnare l’assoluzione e proporre appello contro la sentenza. Soddisfatti naturalmente i difensori. Afferma l’avvocato Ziccardi: «Dopo sedici mesi è stata finalmente fatta giustizia». Taglialatela, che lavorava come parrucchiere, fu aggredito durante la notte del 19 agosto 2003 in una zona di Melito frequentata prevalentemente da «lucciole». Un gruppo di malviventi lo cosparse di benzina e appiccò le fiamme, l’incolpevole giovane in breve venne divorato dal fuoco. Soccorso poco dopo e condotto all’ospedale di Giugliano, fu poi ricoverato presso il centro Grandi ustionati dell’ospedale Cardarelli dove, nonostante l’impegno dei sanitari, spirò undici giorni più tardi per la gravità delle ferite riportate. Le indagini si indirizzarono sulla targa di una Fiat Bravo ripresa dalle telecamere di un distributore di benzina e confiscata ieri per ordine della Corte. Quindi furono acquisite le dichiarazioni del teste che aveva indicato nell’azione criminosa la vendetta determinata dalla indisponibilità manifestata dal transessuale ad assecondare la richiesta di alcune «prestazioni». Sin dal principio il giudizio ha assunto i caratteri del processo indiziario. Il verdetto di ieri accoglie la tesi della difesa e consente agli imputati scrollarsi di dosso l’atroce sospetto di aver commesso un omicidio così efferato. Ora si attendono le motivazioni.




Sturace: finito un incubo, ora voglio trovare lavoro

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Aveva accettato di sottoporsi all’interrogatorio da parte del pm e in aula, tra le lacrime, aveva giurato la propria innocenza. «La mia coscienza è pulita» aveva affermato Luigi Sturace in occasione della drammatica udienza dell’11 novembre scorso. E ora, pochi minuti dopo la sentenza che lo ha mandato assolto dall’accusa di aver partecipato all’omicidio di Enrico Taglialatela, ancora frastornato afferma: «Sono felice per il verdetto. Non c’entro con quell’omicidio, è la pura e semplice verità. Adesso spero di ricominciare a vivere, voglio solo tornare a un’esistenza normale dopo tanti mesi d’inferno. Ho anche perso il lavoro – era impiegato come saldatore presso una ditta di Reggio Emilia n.d.r. – adesso farò di tutto per trovare un’altra occupazione anche se so che non sarà facile». Anche Marino, l’altro imputato del processo, aveva ribadito sin dal principio la propria estraneità al delitto. Ma alla comprensibile soddisfazione dei due protagonisti della vicenda fanno da contraltare i dubbi della procura. il pm Fabio De Cristofaro, che ha rappresentato l’accusa a dibattimento, non parla. Si limita a uno stringato commento il procuratore aggiunto Paolo Mancuso, che dice: «Per il nostro ufficio si tratta di una sentenza annunciata alla luce della decisione, che noi non abbiamo condiviso, di ritenere inutilizzabili le dichiarazioni dei testi, i quali secondo noi sono stati intimiditi». Per questa ragione il pm De Cristofaro aveva chiesto alla Corte d’Assise di disporre il procedimento incidentale previsto dalla legge per accertare se il testimone-chiave del processo e il padre di questi avessero subito pressioni per ritrattare le dichiarazioni accusatorie rese durante le indagini. La richiesta del pubblico ministero era stata però respinta dai giudici.





DARIO DEL PORTO – IL MATTINO 1 MARZO 2005

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