13.7 C
Napoli
domenica, Maggio 5, 2024
PUBBLICITÀ

Camorra. Scissionisti, arriva la condanna per Vincenzo Russo del clan Abete

PUBBLICITÀ

Nove anni di carcere per aver fatto parte del clan Abete, organizzazione malavitosa influente nell’area a nord di Napoli. È questa la condanna decisa dal giudice Pollio al termine del processo con rito abbreviato per Vincenzo Russo, trentasei anni, accusato di associazione a delinquere di stampo camorristico. Per l’imputato, la Procura Antimafia aveva chiesto la condanna a quindici anni di carcere, indicandolo tra gli uomini di fiducia del cartello Abete-Abbinante-Notturno-Aprea, famiglie storiche della mala di Secondigliano, Scampia e dintorni, protagoniste della scissione e della guerra per il controllo delle più redditizie piazze di spaccio all’ombra delle Vele.

Russo è stato anche indicato dai collaboratori di giustizia come gestore di una base per la vendita della droga ma anche come killer capace di eseguire gli ordini di morte voluti dai capi. Di lui hanno parlato in questi mesi ex affiliati passati nel frattempo a collaborare con la giustizia, ricordando retroscena e episodi, che sono stati di recente ripetuti in dibattimento nel corso del processo in appello in cui Russo è imputato per l’omicidio di Gianluca Cimminiello, l’uomo di Casavatore ucciso il 2 febbraio di sei anni fa e noto come il tatuatore dell’ex calciatore azzurro Lavezzi. Per questa accusa, Russo dopo una condanna in primo e secondo grado ha ottenuto l’annullamento dalla Cassazione con la possibilità di ripetere il secondo grado per approfondire alcune testimonianze, così come richiesto dalla difesa (avvocato Giuseppe Ricciulli). E in aula, nelle udienze che si sono svolte finora e che riprenderanno a settembre, davanti ai giudici della Corte d’assise d’appello si sono alternati collaboratori di giustizia che hanno parlato del ruolo di Russo all’interno del clan e del regalo che il boss Arcangelo Abete avrebbe deciso di fargli perché «si stava facendo la galera in silenzio».

PUBBLICITÀ

Il regalo, a detta del collaboratore, fu un appartamento nella zona dello Chalet Bakù a Scampia. «L’appartamento era di fronte casa sua – ha spiegato Giuseppe Ambra testimoniando di recente nel processo in Assise appello – Abete fece partecipare i capipiazza all’acquisto della casa con una colletta, per cui ognuno versò la propria quota». Il collaboratore ha anche raccontato di aver saputo notizie sul delitto del tatuatore: «Il commando che agì davanti al negozio del tatuatore ricambiò così i venti pacchi di cocaina avuti da Pagano come dono per la scarcerazione». Dunque, a detta di alcuni pentiti, l’omicidio del tatuatore fu uno scambio di favori tra esponenti della camorra e Cimminielo era finito nella lista nera per aver scatenato, con la sua bravura, le gelosie di un collega amico dei camorristi.

Partendo dalle indagini su quell’efferato delitto gli 007 dell’Antimafia arrivarono a Vincenzo Russo, all’epoca diciannovenne e lo ritennero presunto killer oltre che affiliato, componente del clan di camorra guidato da Arcangelo Abete. Di qui il processo per il reato di associazione a delinquere di stampo camorristico che ha seguito la via del rito abbreviato. Al cuore delle accuse le intercettazioni e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Pentiti che hanno svelato i segreti della mala di Secondigliano, gli intrecci, le trame, indicando nomi, ruoli e responsabilità di ciascuno all’interno delle gerarchie di camorra. C’è stato anche chi, tra gli ex affiliati, ha ricordato agli inquirenti un episodio che coinvolgerebbe Russo. Il particolare è tra quelli emersi nel processo in Assise appello durante la testimonianza di Giovanni Illiano, un tempo fedelissimo del clan Amato-Pagano. Ha raccontato agli inquirenti che Russo si sarebbe offerto di sostituirsi a Raffaele Amato jr: «Amato jr temeva di essere arrestato di nuovo e allora chiese a Vincenzo Russo di spacciarsi per lui alla visita che doveva fare al Loreto Mare consentendo ad Amato jr di fuggire e darsi alla latitanza». Amato jr è il giovane nipote dell’omonimo capo del clan che nel 2004 dichiarò guerra ai Di Lauro ponendosi alla testa della rivolta che portò alla scissione e a una delle più feroci guerre della camorra. Per Russo, tuttavia, le accuse al centro del processo che ieri è arrivato a sentenza sono tutte concentrate sul suo ruolo all’interno del clan come presunto fidato affiliato.

Viviana Lanza, il Mattino.it

PUBBLICITÀ

RESTA AGGIORNATO, VISITA IL NOSTRO SITO INTERNAPOLI.IT O SEGUICI SULLA NOSTRA PAGINA FACEBOOK.

PUBBLICITÀ

Ultime Notizie

“È stato messo un po’ in disparte”, il ruolo del ras ‘Frizione’ ridimensionato dal pentito

C’è anche Luigi Rignante tra i collaboratori di giustizia che hanno fatto luce sull’evoluzione delle nuove leve degli Amato...

Nella stessa categoria