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martedì, Maggio 7, 2024
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IN MEMORIA DI NUVOLETTA, IL CARABINIERE-EROE
Il militare di Marano ucciso oltre vent’anni fa

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MRANO. Venduto agli Schiavone, ucciso da un patto orrendo tra il clan dei Casalesi e i Nuvoletta di Marano, a ventitré anni esatti dal suo assassinio, il 2 luglio 1982, il ricordo del giovanissimo carabiniere Salvatore Nuvoletta, ammazzato per vendetta ad appena vent’anni dalla camorra, da ieri è una lapide posta proprio all’ingresso della compagnia dei carabinieri di Casal di Principe. Una storia minima rimossa, un piccolo eroe a lungo dimenticato, insignito della medaglia d’oro al valor civile, va ad aggiungersi ai simboli della lotta alla camorra in una terra «caratterizzata da elevato indice di criminalità», come recita la dedica su marmo. Per lui una solenne cerimonia ieri mattina ha richiamato a Casal di Principe i vertici regionali dell’Arma dei carabinieri, a partire dal comandante della Regione carabinieri Campania, il generale Leonardo Gallitelli, accanto al colonnello Paolo Pelosi del Comando provinciale e al capitano Antonio Montanaro, guida della locale compagnia. Schierata in forze anche l’associazione nazionale carabinieri, con il suo ispettore regionale, il generale Domenico Cagnazzo. Da Marano (dove gli hanno dedicato una strada e intitolato la tenenza dei carabinieri) sono arrivati i familiari di Nuvoletta e il sindaco Bertini, mentre la città di Casal di Principe era rappresentata dall’assessore Di Caterino e dall’ex sindaco Renato Natale. E ad officiare la cerimonia religiosa, con il parroco don Carlo Aversano e il cappello militare monsignor Sciarretta, è giunto anche il parroco di Forcella don Luigi Merola, scortato visto il suo impegno per la legalità a Napoli. Presente anche il viceprefetto Panico. Ma ieri è mancata innanzitutto la città, poco informata dell’evento, sorpresa dallo spiegamento di forze dell’ordine, ma incapace di riempire i banchi della chiesa del Santissimo Salvatore. Assenti anche i parlamentari, tranne il diessino Lorenzo Diana. Tuttavia Ferdinando Nuvoletta, l’anziano padre del carabiniere, fa spallucce e scandisce: «Sono tornato a Casal di Principe dopo tanto tempo, ma non abbiamo mai odiato questa città e i suoi cittadini onesti né oggi potremmo farlo; l’unico rancore è verso gli assassini di mio figlio». Di quel delitto si è autoaccusato Antonio Abbate, condannato a dodici anni, oggi collaboratore di giustizia, imparentato con i Lubrano e i Nuvoletta di Marano, a cui gli Schiavone si rivolsero per portare a termine la loro vendetta. A detta del pentito Carmine Schiavone, il giovane carabiniere avrebbe partecipato al conflitto a fuoco nel quale fu ucciso il nipote del boss Francesco Schiavone-Sandokan, quel Mario Schiavone detto Menelik. La sentenza di morte fu eseguita a Marano, proprio sotto il negozio di frutta e verdura di famiglia: «Ero appena salito in casa – ricorda tra le lacrime il fratello Enrico – quando sentii numerosi colpi di pistola; corsi in strada e vidi mio fratello trucidato, era il più giovane, ultimo di sei fratelli e una sorella». Ma oggi «quel gemellaggio di morte tra la camorra di Casal di Principe e di Marano è diventato un gemellaggio per la legalità», sottolinea il sindaco di Marano, Bertini. «Abbiamo celebrato un esempio di speranza per il territorio», ripete il nuovo parroco anticamorra, don Luigi Merola, che qui ha avuto un illustre predecessore, don Peppino Diana.



LORENZO IULIANO

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LA VICENDA: Bidognetti, gli arresti e le verità di Diana



Tre giudici prendono con le molle le sue confessioni e scarcerano Raffaele Bidognetti, il giovane boss che uccise il medico Falco dopo il mandato di morte ricevuto in sogno dalla madre morta. Altri tre giudici gli credono e confermano le accuse a carico di Bidognetti padre, che ordinò l’omicidio di Salvatore Vitale. Se qualcuno aspettava la verifica del Riesame per valutare l’attendibilità di Luigi Diana – quel manovale di camorra che per anni aveva servito la famiglia Bidognetti, che poi era passato con gli scissionisti di Cantiello e che infine, condannato all’ergastolo, stanco e ammalato, ha deciso di collaborare con la giustizia – ebbene, quel qualcuno dovrà aspettare che tutte le sue dichiarazioni siano depositate. E che il riscontro sia totale e incrociato. Ma una prima analisi della sorte dei due provvedimenti fa segnare un punto a favore del pentito, al quale è stato ammazzato lo zio appena è diventata pubblica la notizia della collaborazione. Il provvedimento restrittivo a carico di Francesco Bidognetti (ma anche di Feliciello, Ferrara e Di Sarno) era sostanzialmente basato sulle sole dichiarazioni di Diana, ben più chiare, precise e dettagliate di quelle rese a suo tempo da Ferrara, insufficienti per motivare una richiesta di arresto. Precise anche quelle sull’omicidio Falco, ma differenti da quelle rese dagli altri collaboratori che avevano indicato in Aniello Bidognetti l’esecutore del delitto, pur raccontando lo stesso movente. La revoca della misura cautelare a carico di Raffaele Bidognetti arriva dopo una serie di scarcerazioni, disposte dal Tribunale del Riesame di Napoli, che hanno riguardato i fermati nel blitz di tre settimane fa. Un’operazione congiunta della Dda di Napoli, della polizia e dei carabinieri, che avevano fermato i maggiori esponenti del clan Bidognetti con l’accusa di estorsione aggravata. Operazione giustificata dalla necessità di dare una risposta immediata alla camorra casalese, che in quelle ore – e da due mesi – aveva ripreso a sparare colpendo innanzitutto i familiari del nuovo pentito (con l’omicidio dell’anziano zio e i furti nelle abitazioni dei fratelli) e poi siglando i due raid nei bar di Parete e Casal di Principe, azioni che avevano portato al ferimento di un passante. La lettura delle motivazioni di quelle revoche sarà esercizio interessante per comprendere se qualcosa è cambiato nella valutazione degli elementi d’accusa o se si è affievolita, invece, la percezione del pericolo che arriva dalle guerre tra clan: perché l’agro aversano è una polveriera come e più di Scampia.

r.cap.




IL MATTINO ED. CASERTA 3 LUGLIO 2005

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