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mercoledì, Maggio 15, 2024
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EMERGENZA RIFIUTI, LA GENESI DEL DISASTRO

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NAPOLI – Per capire perché Napoli e la Campania si affaccendino così tanto intorno alle montagne di rifiuti, in un’ emergenza gravida di angosce medievali e capace di mobilitare i vescovi e i prelati, incitare insurrezioni e spaccare le coalizioni, occorre partire da lontano, dal 1994. Da quell’anno parte il commissariamento della Regione, la cui ultima proroga è stata fissata per il 31 dicembre di quest’anno.

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IL SISTEMA RIFIUTI IN PRINCIPIO

Inizialmente il sistema rifiuti prevedeva il totale smaltimento del pattume nelle discariche. La commissione parlamentare d’inchiesta in Campania ne ha contate almeno 150 di abusive. E ogni tanto se ne scoprono di nuove. Si tratta, in genere, di discariche illecite realizzate all’interno di ex cave per l’estrazione, spesso altrettanto illegale, di tufo e di pozzolana. Il meccanismo – spiegano alla Legambiente – è quello caratteristico del circuito economico dell’ecomafia: parte dal controllo sul territorio e sulle attività estrattive e conduce alla trasformazione delle cave in discariche per ogni sorta di rifiuti. Gli immondezzai a cielo aperto disseminati in tutta la regione hanno accolto negli anni rifiuti provenienti da tutta Italia. I camionisti – soldati dell’esercito delle ecomafie trasportavano il pattume di società di modeste dimensioni, intestate a prestanome, ai colletti bianchi degli uffici di “palazzo”. L’interesse a scaricare in Campania e nell’hinterland napoletano in particolare – spiega un dettagliato dossier della Legambiente – era tutto economico: 40, 50 lire per lo smaltimento a chilo contro le 200 chieste dai depositi del Nord. Una tariffa spregevole, frutto di una scelta cieca e di un uso empio del territorio. Un gioco al ribasso con appalti strappati a cifre assurde. E destinati a dar sempre lo stesso risultato: nessuna manutenzione, nessun recupero del materiale riutilizzabile.

IL PIANO RASTRELLI

Nel 1997 l’ex presidente della Regione, Antonio Rastrelli di An, affiancato dal Prefetto, elabora un piano Regionale per i rifiuti finalizzato alla termovalorizzazione. Le Province, inascoltate, si oppongono. Il progetto, che inizialmente prevedeva la costruzione di sei inceneritori, viene corretto nel 1998. Per Napoli e provincia vengono previsti un impianto di termodistruzione (da localizzare ad Acerra) e tre di Cdr (Giugliano, Caivano e Tufino). Per le restanti province campane, invece, vengono previsti quattro di Cdr (Battipaglia, Santa Maria Capua Vetere, Benevento e Salza Irpina) e uno di termodistruzione (Battipaglia). Per Napoli sono già attivi i Cdr di Giugliano e Caivano. Ancora fermi i lavori del termovalorizzatore di Acerra, la cui realizzazione trova la decisa opposizione dei residenti, affiancati da Verdi e Rifondazione. A manifestarla i più importanti esponenti dei due gruppi politici, Alfonso Pecoraio Scanio e Fausto Bertinotti. Il sistema integrato per lo smaltimento dei rifiuti manca, inoltre, di alcuni elementi fondamentali. Tuttora devono essere ancora individuati i siti da assegnare allo stoccaggio dei sovvalli (a Giugliano le ecoballe vengono depositate provvisoriamente nei pressi del cdr, in un’area da 120 mila mq). Attualmente non è stato ancora chiarito dove saranno determinati i siti per le ceneri e le scorie (radioattive) degli inceneritori.

L’EMERGENZA

Secondo le statistiche un italiano produce in media 450 chili l’ anno di rifiuti, un napoletano cento in più. Se Napoli ha tre milioni di abitanti, c’è da smaltire un milione e 650 mila tonnellate l’ anno. Poi ci sono Avellino, Benevento, Caserta, Salerno. E le province dei capoluoghi. Non bastasse, se la media nazionale della raccolta differenziata è del 15-16% qui affonda al 2-3 %. Lo sapevamo da anni che non poteva durare. Che un giorno o l’ altro la situazione sarebbe esplosa. E infatti. Arriviamo al 2001, quando l’emergenza scoppia in tutta la sua drammaticità. Un comune dopo l’altro è costretto a dichiarare il coprifuoco. A chiudere scuole e uffici, negozi e strade. L’ordine ai cittadini è perentorio: restatevene a casa, se uscite fuori rischiate la vita. La spazzatura incendiata nelle strade diviene il simbolo di un’emergenza senza proporzioni. A scatenarla l’intervento dell’Asl che il 16 gennaio ordina la chiusura della discarica di Tufino e quattro giorni dopo quella di Parapoti (Sa). Il risultato è a dir poco sconvolgente: 152 comuni della Campania in piena emergenza; due milioni di persone costrette a convivere con la spazzatura. Per fronteggiare la situazione, vengono riaperte le discariche di Castelvoturno, Palma Campania e Serre. Emilia Romagna, Umbria e Toscana “accolgono” il restante pattume.

LA RACCOLTA DIFFERNZIATA, L’UNICA SOLUZIONE PER USCIRE DALLA CRISI

La situazione igienica sull’orlo del collasso trova la sua lenta fuoriuscita dall’emergenza nei sistemi di trattamento dei rifiuti, ossia cdr ( enormi impianti per pressare l’ immondizia in ecoballe a forma di cubo chiuse nel nylon) e termodistruttore. A monte però andava realizzata una seria raccolta differenziata. Nell’impianto di cdr dovrebbero infatti arrivare solo i residui della raccolta diversificata. Purtroppo quest’ultima, spesso nei comuni serviti dagli impianti di trattamento dei rifiuti, viaggia su percentuali vicinissime allo zero. La differenziata potrebbe dunque essere l’unica via di scampo all’assedio selvaggio di montagne di spazzatura smaltita in depositi che rischiano il sovraccarico. Sei anni fa il ministro verde dell’Ambiente Edo Ronchi sposò con convinzione questa tesi e predispose un decreto ad hoc che pianificava il percorso verso la graduale riduzione di immondizia. Nel 2001 la media italiana dei rifiuti raccolti in maniera differenziata si è attestata sul 16,9 per cento (dati Legambiente), ben lontana dall’obiettivo del decreto Ronchi che prevedrebbe per la fine del 2002 il raggiungimento del 35 per cento.

INTERESSI FORTISSIMI – La questione rifiuti non può tuttavia essere bollata solo dalle lamentazioni sulla scarsa sensibilità dei cittadini o dal deficit di pianificazione politica. Il Mezzogiorno e la Campania in particolare subiscono, infatti, da anni la spregiudicatezza di lobby e consorterie che, a fronte dell’enorme e sicuro business dell’immondizia ammassata in discarica, frenano, talvolta anche con mezzi illeciti, azioni di recupero a favore di una cultura ecologica. Gli interessi che girano attorno allo smaltimento tradizionale dei rifiuti, insomma, entrano in rotta di collisione con la buona volontà di coloro che ambirebbero a città ecosostenibili.

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