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sabato, Maggio 4, 2024
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Tre omicidi per la “piazza” di Melito
LE INTERCETTAZIONI | Dopo i clamorosi botta e risposta i boss prendono le precauzioni per non cadere nelle trappole dei nemici

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Davide Chiarolanza e Luigi
Barretta erano vicini agli
“scissionisti”, Antonio Russo
“’o ciuccio” ai Di Lauro




NAPOLI. Nessuno dei destinatari del
provvedimento di fermo deve rispondere
di omicidio, sia ben chiaro, ma
nel documento della Procura ci sono
chiari riferimenti a tre delitti maturati
tra il 31 marzo ed il 9 maggio dello
scorso anno proprio nell’ambito
dello scontro tra i “dilauriani” e gli
“scissionisti” per il controllo delle
“piazze di spaccio” di Melito. Si tratta
di tre spacciatori ammazzati perché
non avevano ottemperato alle direttive
impartite dai due clan in contrasto.
In particolare Davide Chiarolanza
ha pagato con la vita la sua amicizia
con lo “scissionista” Massimo
Bevilacqua, a sua volta cognato
del boss Ciro Nocerino,
uno degli esponenti di
spicco degli “spagnoli”. Il
24enne fu freddato tra la
folla nel pomeriggio del 31
marzo scorso in via Michelangelo
a Melito. La sera il
boss “scissionista” Giovanni Venosa,
che si è rifugiato nel Lazio, manda un
sms al fratello Francesco raccomandandogli
di non muoversi di casa. Il
giorno dopo l’agguato gli “007” intercettano
una telefonata tra Giovanni
Venosa e la madre (che non è indagata).
Nel corso della conversazione
la donna riferisce al figlio che sta cercando
di affittare una nuova abitazione,
ma che non c’è ancora riuscita.
Poi gli dice di aver capito il contenuto
del messaggio inviato nella
nottata all’altro figlio e gli chiede se
“stanno ricominciando un’altra volta”,
in riferimento alla guerra di camorra
in atto. Venosa rassicura la madre
raccomandandole di non fare
uscire di casa il fratello.
La risposta degli “spagnoli” arriva
il 6 aprile successivo, quando viene
attirato in trappola e ammazzato, in
via Madonnelle a Melito, Antonio
Russo “’o ciuccio”, 28enne, spacciatore
dei Di Lauro. Gli investigatori rilevano
che prima dell’agguato c’era
stato un contatto tra un “pezzo grosso”
degli “spagnoli” di Melito che aveva
chiesto delle informazioni su una
persona vicina ai Di Lauro, forse
proprio Russo. Fatto sta che dopo
quella telefonata e un sms intercettati
dai carabinieri scatta la vendetta
con l’omicidio di “’o ciuccio”. Riportiamo
il testo dell’sms inviato al
boss. “Ti voglio dire una cosa, io ho
paura di queste cose. Non mettere
imezo la mia famglia, se mi devi
chiamare per sapere queste cose non
chiamarmi, ho paura”. È bene precisare
che nessuno è al momento indagato
per quell’omicidio.
Infine sono ancora i Di Lauro a colpire,
ma è l’ultimo omicidio perché,
forse anche per l’arrivo a Napoli di
Paolo Di Lauro, viene sancita la tregua.
Il 9 maggio nella campagne di
Crispano viene trovato il cadavere crivellato
di pallottole di Luigi Barretta,
22enne di Melito, fratello del ras
“scissionista” Berardino, vicino al padrino
Giacomo Migliaccio “’a femmenella”.
Il giovane era sparito da casa
alcuni giorni prima ma i familiari
non avevano denunciato la scomparsa.
Il giovane spacciatore non aveva
eseguito gli ordini di Salvatore Di
Lauro di non recarsi più armato nella
“piazza di spaccio” di via Cupa
Sant’Antimo per spaventare i pusher
“dilauriani”. In una conversazione intercettata
il 6 maggio, tre giorni prima
del ritrovamento del cadavere di
Barretta, Carmine Mariniello racconta
di una brutta esperienza vissuta
assieme a Vincenzo Di Perna
“bucatino”. I due raccontano di essere
stati affrontati da una ventina di
“scissionisti” e che in particolare Di
Perna aveva fatto appena in tempo a
raggiungere le panchine quando è
stato chiamato da Luigi Barretta, che
era armato. Immediatamente scattò
la spedizione punitiva dei Di Lauro e
Barretta fu trovato crivellato di pallottole.

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GIOVANNI COSMO





L’EPISODIO | Sul letto dell’abitazione di via Ghisleri furono trovate le foto dello “scissionista”con la testa mozzata

I Di Lauro distrussero la casa di Venosa


NAPOLI.
La guerra tra i Di Lauro e gli
“scissionisti” è stata portata a termine
senza esclusione di colpi, usando
sia le armi ma anche il fuoco, per fare
terra bruciata attorno ai nemici.
Basti ricordare le numerose anitazioni
distrutte e date alle fiamme. E
anche nel corso della faida di Melito
c’è stato un episodio del genere, una
spedizione punitiva nel corso della
quale è andata completamente distrutta
la casa del boss “scissionista”
Giovanni Venosa. Ma non solo. Come
chiaro segnale di morte i “guaglioni”
del clan Di lauro avevano mozzato la
testa in tutte le foto che ritraevano
Giovanni Venosa e la moglie. La circostanza
viene fuori sempre dalle intercettazioni
telefoniche. Di seguito
riportiamo la conversazione tra Venosa
e la moglie, intercettata dagli
“007” il 13 aprile dello scorso anno.
Moglie: «Uhè».
Giovanni: «Uhè Nanà…».
Moglie: «Che c’è?».
Giovanni: «Che mi hai cercato?».
Moglie: «Eh».
Giovanni: «Adesso mi sto svegliando
».
Moglie: «Uhm».
Giovanni: «Che dicono i bambini…».
Moglie: «Che dicono Giovanni hanno
avuto le botte… fanno sempre bordello…
».
Giovanni: «Mica Gennaro ti ha fatto
quel piacere?».
Moglie: «No ancora lo devo chiamare
proprio… non lo sò…».
Giovanni: «Vedi di risolvere questo
fatto dai… quello sta facendo lo
sfratto… sta portando i mobili verso
sopra allora…».
Moglie: «Eh».
Giovanni: «…incomprensibile… capito?
».
Moglie: «Eh dopo lo chiamo e glielo
dico… adesso lo chiamo…».
Giovanni: «Tu che dici?».
Moglie: «Niente!».
Giovanni: «Con chi stai?».
Moglie: «Io e mammà!».
Giovanni: «Stai mangiando o no? tesoro…
».
Moglie: «Eh, senti Giovanni ma poi
la roba che ci manca non c’e’ la ridanno
».
Giovanni: «Anna, ma che te ne importa…
che fa vuoi tutto quello che tenevi?
Che ci mancano i candelabri…
questa roba quà… te lo compro…
un’altra volta… andiamo un’altra
volta là e te lo compro un’altra volta…
».
Moglie: «Eh…».
Giovanni: «Che hai detto?».
Moglie: «Le fotografie nostre del battesimo…
».
Giovanni: «Eh».
Moglie: «Eh, non ci sono le teste a
noi…».
Giovanni: «Non ci sono?».
Moglie: «Le teste…».
Giovanni: «Ah».
Moglie: «Eh… adesso voglio vedere se
casomai…».
Giovanni: «Ma perchè te l’ha portate
lo zio?».
Moglie: «No me la detto lo zio… stavano
aperte sul letto e… senza testa
a me e a te…».
Giovanni: «Ah».
Moglie: «Eh… e senti Giovanni…
un’altra cosa… pure il lettino non
c’è…».
Giovanni: «Va bene… poi lo prendiamo
da Pinuccio il lettino… non ti
preoccupare…».
Poi la conversazione continua.





EX “DILAURIANI” POI DIVENTATI “SCISSIONISSTI”

I fratelli Francesco e Salvatore Amato
comandavano anche da dietro le sbarre



NAPOLI.
Erano i referenti del clan
Di Lauro per lo spaccio di ogni sorta
di stupefacente a Melito, ma nel
corso della guerra con gli “scissionisti”
non hanno mai preso posizione
rimanendo equidistanti,
anche perché all’epoca della sanguinosa
faida erano già in carcere.
I fratelli Francesco, detto “ia ia”,
e Salvatore Amato, sono stati più
volte intercettati in carcere, rispettivamente
all’interno della
casa circondariale di Poggioreale
e della casa di reclusione di Secondigliano.
Ma negli ultimi mesi,
nel periodo della faida di Melito, i
due boss, sebbene detenuti, attraverso
il cognato Eduardo Napoletano
(nella foto), continuano ad
impartire direttive per la gestione
del traffico di sostanza stupefcaente
nel rione di via Cupa
Sant’Antimo, mantenendo così costanti
contatti con gli affiliati al
gruppo degli “scissionisti”.
Il 30 maggio dello scorso anno i
due boss sono stati condannati a
pene durissime nel corso del processo.
I giudici hanno condannato
a sedici anni e otto mesi di reclusione
Salvatore Amato, che pur essendo
incensurato è stato ritenuto
capo e promotore dell’omonima
organizzazione. Quattordici anni
di reclusione, invece, sono stati inflitti
a Francesco Amato: l’imputato,
pur avendo diversi reati specifici
alle spalle, è stato assolto
dall’accusa di essere tra i promotori
dell’omonima organizzazione
malavitosa. Antonio Amato è stato
condannato a nove anni di reclusione,
così come Annunziata
D’Alise. Dieci anni sono stati invece
comminati a Salvatore Bottone,
mentre per Nicola Velotti i
giudici hanno stabilito un verdetto
alternativo: cinque anni di
ospedale giudiziario per incapacità
di intendere e di volere.




IL ROMA DEL 10 FEBBRAIO 2006

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