Un anno dopo la tragica fine di Swezana, due anni, uccisa dal furgone guidato da un parente 15enne, la morte è tornata a bussare al campo sette dei rom di Giugliano per portarsi via la vita di un altro bambino. La vittima si chiamava Marco Osmanovic, cugino di Swezana, due mesi compiuti l’altro giorno. I genitori lo hanno trovato senza vita nella sua culla, all’alba di ieri, stroncato da un’insufficienza respiratoria. Inutile la corsa all’ospedale «San Giuliano» di Giugliano: i sanitari del pronto soccorso non hanno potuto fare altro che certificare l’arresto cardiocircolatorio. «Avevo insistito coi medici dell’ospedale di Pozzuoli affinché, quattro giorni prima, lo ricoverassero – si sfoga il papà, Zarco, bosniaco di 22 anni – ma non hanno voluto sentire ragioni. Nessun ricovero per un bimbo rom, mi hanno detto». Così la famiglia ha raccontato tutto ai carabinieri di Giugliano, a partire dalla diagnosi con la quale, martedì scorso, i sanitari puteolani hanno «congedato» il piccolo Marco. «Mio figlio respirava male: aveva una bronchite, probabilmente. Ma i medici non lo hanno voluto. Ci hanno detto che stava bene», accusa il papà. L’autorità giudiziaria ha disposto l’autopsia: solo nelle prossime ore si saprà cosa abbia effettivamente ucciso il bimbo. Non si esclude un rigurgito o un soffocamento provocato dai cuscini dove il piccolo era appoggiato.
Sia come sia, Marco è sicuramente vittima delle condizioni di vita disumane in cui è costretta la sua gente nel campo alla periferia di Giugliano dove – un anno dopo la morte di Swezana e due dopo la tragica fine di Samir, ucciso a 19 giorni dal freddo – niente è cambiato. Mancano acqua e luce, mancano i servizi igienici. Il fango, rimestato dalla pioggia, trasforma tutto in palude. E i bimbi, tanti, giocano scalzi fra i ratti grossi come gatti.
UF – IL MATTINO 7 MAGGIO 2006
