Dormono sotto agli alberi, cucinano usando la legna, fanno un fuoco e con un pentolone fanno bollire il cibo, hanno un secchio che a turno riempiono d’acqua che serve per bere, cucinare e lavarsi, non hanno ovviamente il bagno e scavano all’occorrenza delle buche per i loro bisogni. Non siamo in una giungla africana, ma alle porte di Villaricca e Qualiano: “comuni d’Europa”, in una campagna ai bordi della nuova arteria che collega il Ponte Surrieto con la strada provinciale Marano-Qualiano nel territorio di Villaricca, alle spalle di una palazzina di colore rosa. Un gruppo di dieci ragazzi africani, immigrati da Ghana, Congo e Namibia, senza permesso di soggiorno, ma soprattutto senza una casa e un luogo dove dormire. Li abbiamo avvicinati dopo una segnalazione di alcuni cittadini che hanno scoperto l’indegna vicenda. Avevano paura, non volevano parlare, ma a fatica li abbiamo convinti a raccontarci la loro storia. Quando siamo andati a trovarli erano in tre: «gli altri sono a lavoro» – a parlare è Sahms – «oggi non sono riuscito a trovare lavoro, per questo sono qui, mentre loro – indica altri due amici – restano di guardia». Non parlano italiano e facciamo fatica a capire cosa ci dicono, ma è facile leggere sui loro volti la disperazione di un gruppo di giovani poco più che ventenni, venuti in Italia con la speranza di una vita migliore, ridotti a vivere come animali. «Siamo stati sfrattati due settimane fa da quella casa», indica un’abitazione poco distante dal luogo in cui ci troviamo, «il padrone di casa ha chiamato la polizia e siamo stati costretti a scappare perché siamo “irregolari”. Almeno prima avevamo un tetto sulla testa, ora siamo costretti a dormire sotto gli alberi. Stiamo cercando un altro posto, ma è difficile perché nessuno ci vuole, siamo poveri e senza documenti». «La vostra famiglia lo sa che vivete in queste condizioni?» – «No. Non lo sanno. Io personalmente non ho una famiglia, ma gli altri preferiscono non dire loro che vivono in queste condizioni, d’altronde a casa non possiamo tornare, è peggio che vivere qui!».
È assurdo credere a quello che abbiamo visto, ma la realtà è che veramente pochi o nessuno sa di questa orribile vicenda, nonostante la storia di questa comunità fu gia al centro delle cronache nel novembre del 2002, quando per protesta occuparono la chiesa di S. Pasquale Baylon, poi il buio assoluto.
«Avete provato a chiedere aiuto ai centri della Caritas? Loro potrebbero darvi una mano.» – «No. Non sappiamo nemmeno a chi chiedere aiuto, io sono qui da tre mesi, più o meno come gli altri, qui vanno e vengono, alcuni si fermano solo per pochi giorni, mentre altri come me sono costretti a restare qua perché non hanno il lavoro fisso.» – «Come fate per mangiare? E per fare i bisogni?» – «Aspettiamo la sera, quando tornano gli altri amici, portano sempre qualcosa da mangiare. Io ho gia raccolto la legna – indica un mucchio di rami secchi – facciamo bollire l’acqua con una pentola e mangiamo tutti insieme. Per i bisogni e meglio che non le dica come facciamo», in effetti non è difficile capire come fanno, l’odore pungente ci ha colpiti appena abbiamo messo piede in questo posto. «Vogliamo solo un posto più decente dove dormire, mangiare e fare quello che tutti gli esseri umani fanno» è lo sfogo di Ivan, un altro di loro, che non ha resistito quando Sahms ci ha spiegato dove facevano i loro bisogni e ci ha raccontato che lui lavora in campagna e quando riesce a trovare lavoro, gli danno venti euro al giorno per dieci ore di lavoro. «Forse tra qualche giorno vado via, un gruppo di fratelli mi ha detto che posso raggiungerli a Castel Volturno, hanno una casa e si è liberato un posto».
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