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GLI AFFARI DELLA DONNA MANAGER. FU ELIMINATA A SANT’ANTIMO NEL 2004

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Secondo la Dda di Napoli, fino a qualche anno fa non c’era una sola opera pubblica sulla quale non avesse voce in capitolo. Lei, Immacolata Capone, imprenditrice, madrina e moglie di un boss ucciso. Lei, la vedova che viene ammazzata pochi mesi dopo l’omicidio del coniuge, in un agguato alle porte di Napoli a novembre del 2004, è stata per anni una sorta di ministro delle opere pubbliche per conto del boss Zagaria. Il suo ruolo era essenziale: procurarsi il certificato antimafia, l’attestato che consente ad un’impresa di aprire i battenti, di entrare sul mercato a pari merito con gli altri competitor. In che modo sia riuscita ad aggirare controlli e monitoraggi, lo hanno spiegato ieri gli inquirenti della Dda di Napoli, al termine di un’inchiesta che ha portato in cella decine di affiliati ai famigerati «casalesi». Era attivissima dovunque ci fossero interessi da tutelare, specie sotto il profilo amministrativo, nelle stanze della giunta di un comune di periferia o, vero e proprio salto di qualità, dove fosse richiesto un intervento nel grattacielo della Regione Campania. Il suo «contatto» nel Palazzo della Regione – dicono i vertici della Dda di Napoli – era rappresentato dall’imprenditore e consigliere dell’Udeur Vittorio Insigne, indagato per concorso esterno in associazione camorristica, accusa che è stata respinta dal diretto interessato nel corso del suo interrogatorio in Procura. Una madrina moderna, per dirla con gli inquirenti, lontana dalla platea giudiziaria di un’aula di Corte di Assise, ma perfettamente capace di dire la sua nel richiedere una visura camerale o nella gestione di fondi legati ad opere pubbliche. «Non la conosco e non potevo sapere che fosse legata alla camorra», ha spiegato il consigliere dell’Udeur nel corso dell’interrogatorio, mentre Immacolata Capone riusciva lì dove avevano fallito i boss di riferimento, chiudendo accordi con clan avversari e stabilendo ripartizioni di interessi criminali per ogni attività edilizia che cadeva sul suo territorio. Una logica manageriale, che l’ha portata ad intrattenere rapporti con i Moccia di Afragola per alcune opere pubbliche e ad assumere rilievo unico tra i casalesi, troppo per essere tollerato dagli uomini del suo stesso clan.

La donna fu uccisa con cinque colpi di pistola alla testa. L’omicidio avvenne il 17 marzo 2004, lungo la centralissima Via Roma a Sant’Antimo. Immacolata Capone, 37 anni, titolare di un’azienda di escavatrici e macchinari per costruzioni edili con precedenti per reati finanziari e considerata dagli inquirenti un personaggio non marginale alle vicende collegate ai clan dell’area afragolese, fu massacrata come un boss. Era la vedova di un esponente di primo piano dei Moccia e lei stessa era legata alla stessa cosca. Il marito, Giorgio Salierno, era stato assassinato nel dicembre 2003 dopo tre giorni di torture per estorcergli alcune informazioni. Fu ritrovato nella chiesa sconsacrata della Madonna del Terremoto ad Afragola con un colpo alla nuca: prima di essere assassinato era stato costretto ad inginocchiarsi.

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