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Pizzo e strozzini mettono al tappeto l’economia del sud

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Un’imposta occulta che grava sempre di più su imprese e commercianti, in particolare su quelli del Sud. La Campania, poi, secondo il Rapporto annuale della Confesercenti presentato ieri a Roma è tra le regioni più colpite dal fenomeno del “pizzo” e in assoluto quella messa peggio per quanto riguarda gli imprenditori vittime dell’usura: ben 26 mila, per un giro d’affari di 1,8 mln di euro. Nella regione il racket colpisce 40 mila commercianti, il 40 per cento della categoria. Solo in Sicilia siamo su livelli più alti.
Caserta, Napoli e Salerno sono province definite dal Rapporto “Zone rosse”, quelle, cioè, in cui il fenomeno assume un rilievo particolarmente grave; Avellino e Benevento rientrano tra le “Zone gialle”, in cui la criminalità è comunque ben presente ma meno aggressiva. Sotto il Vesuvio, l’estorsione assume aspetti peculiari: l’intimidazione all’impresa, spiega il Rapporto, viene rivolta di frequente attraverso le maestranze. “Non sono pochi i casi — dice, citato dal Rapporto, Tano Grasso, consulente antiracket di Palazzo San Giacomo e presidente onorario Fai (Federazioni associazioni antiracket e antiusura), – in cui il camorrista si presenta sul posto di lavoro e intima ai dipendenti la sospensione dell’attività lavorativa al fine di spingere l’impresa a “trattare” e a cedere ai condizionamenti mafiosi. Il cantiere resta chiuso alcuni giorni, i lavoratori non si presentano, si interrompe il ciclo produttivo, si produce un danno certo all’impresa”.
Nel corso della presentazione del Rapporto, grasso propone di Creare un “tutor antiracket”, una figura istituzionale a cui imprenditori e commercianti possano far riferimento per denunciare tentativi di estorsione e difendersi dal pizzo. Iniziativa appoggiata dal vice ministro degli Interni, Marco Minniti,
Grasso si chiera anche per il “no” all’indulto, che vanificherebbe il coraggio di chi ha denunciato i propri aguzzini. Tornando a Napoli, il Rapporto rivela le “tariffe” imposte dalla criminalità ai commercianti.
I supermercati possono arrivare a pagare fino a 3 mila euro al mese. Un negozio elegante o situato al centro è costretto a sborsare tra i 500 e i mille euro. Gli esercenti “ordinari” pagano tra i 100 e i 200 euro. Per un banco al mercato la camorra pretende invece tra i 5 e i 10 euro al giorno. Le modalità con le quali viene definiti e riscosso il pizzo sono varie: “pagamento concordato”, “contributo all’organizzazione”, “non solo soldi”, “cavallo di ritorno”.
Se il pizzo è su livelli da emergenza sociale, altrettanto drammatico è il fenomeno dell’usura, di cui in Campania, come già accennato, sono vittima 26 mila imprenditori. Segno evidente, spiega il Rapporto, che “in un’economia con una componente di sommerso significativa, con attività economiche e commerciali precarie, con un tasso di abusivismo alto, l’usura funge da vera e propria supplenza al mercato legale del credito”. Il problema è particolarmente sentito a Napoli, ma affligge l’intera Regione. Nelle province di Avellino e Benevento, spiega il Rapporto, “i clan lasciano il posto ad insospettabili; nella provincia di Caserta l’usura accompagna la vocazione affaristica della camorra dei casalesi, a Salerno si intreccia molto spesso con ambienti politici”.
In Campania, naturalmente, la camorra non si limita ad estorsioni e usura. C’è anche l’agromafia, emergenza connessa alla vicenda delle discariche abusive e dello smaltimento illegale dei rifiuti. Per descrivere la gravità del fenomeno il Rapporto cita le zone di Qualiano, Giugliano e Villaricca definite, nell’ultimo studio di Legambiente, la terra dei fuochi. Zone a forte vocazione agricola dove, il più grave dei pericoli è rappresentato dall’inquinamento del suolo e delle falde acquifere. Ormai, da anni, il fetore dei liquami, la diossina, i veleni e l’eternit minacciano le produzioni agricole. I danni sono ingenti: il giro d’affari del comparto è in picchiata, con una diminuzione del 30-40 per cento.
Infine le denunce: secondo il Rapporto nel 2005 saranno in sensibile aumento, con un’accentuazione del radicamento estorsivo nelle quattro regioni a rischio: oltre alla Campania, Puglia, Calabria e Sicilia che da sole superano il 55,2 per cento dei procedimenti aperti.



Giovanni Brancaccio- Il Denaro 25 luglio 2006

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Racket in Campania, pizzo a 40mila negozi




Quarantamila i commercianti taglieggiati in Campania, con punte massicce nel Casertano e nel Salernitano oltre che nel capoluogo (il 40% della regione e addirittura il 50% dei napoletani). E sono circa 26mila quelli coinvolti nel fenomeno dell’usura. Sono i dati del IX rapporto nazionale «Sos Impresa» della Confesercenti – presentato ieri a Roma – nel quale inoltre viene evidenziata la sempre più frequente trasformazione delle organizzazioni criminali in una «borghesia mafiosa» o «mafia dalla faccia pulita», capace di intervenire anche direttamente – con proprie imprese – nelle relazioni economiche, stabilendo collusioni con la politica e la burocrazia. Il presidente onorario della Federazione associazioni antiracket, Tano Grasso, ha lanciato l’idea di un «tutor», una figura istituzionale (tra governo e associazioni) per combattere il fenomeno e quale punto di riferimento per gli imprenditori che vogliano investire al Sud. D’accordo il viceministro degli Interni, Marco Minniti, il quale auspica che si possa arrivare a una iniziativa legislativa. I dati del rapporto ”Le mani della criminalità sulle imprese” sono eclatanti. «Ogni giorno in Italia 200 milioni di euro passano dalle mani degli imprenditori a quelle dei mafiosi e di questi 80 milioni sono sborsati dai commercianti». La mafie avrebbero raggiunto «un fatturato di 77 miliardi di euro»». Operano nel terziario, nei servizi, nel settore immobiliare, «acquisiscono partecipazioni societarie, sono presenti nel Gotha finanziario di mezza Europa». Fattore di distorsione del mercato e di inquinamento dell’economia. Se le estorsioni sono una sorta di «tassa della mafia», il fenomeno dell’usura – che svolge una funzione di supplenza rispetto alla difficoltà di accesso al credito («problema da affrontare», ha detto Minniti) – è più legato alle contingenze economiche: alla crisi, all’impoverimento della classe media «ma anche a dissesti e scandali che hanno toccato il sistema bancario». Nell’ultimo anno l’indebitamento delle famiglie italiane è cresciuto di 45,9 miliardi di euro. Un disagio che coinvolge gruppi sociali un tempo ritenuti immuni da rischi. E la situazione è particolarmente pesante nel Sud: la Campania per esempio detiene il record degli importi protestati (736.085.901 euro) ed è Napoli la città nella quale si sono registrati più fallimenti. «Ai nostri sportelli si presentano impiegati, professionisti, quel ceto medio che se non poteva dirsi benestante neanche era assillato da problemi». Le vittime sono persone sui 50 anni. Dramma che sconvolge le famiglie e la rete di rapporti sociali., La Confesercenti napoletana, presieduta da Adolfo Masullo, conta 3600 iscritti. Un fenomeno allarmante, ma in Campania – oltre alla pressione delle forze dell’ordine – s’è registrata una forte risposta della società civile (un cui primo effetto è stato l’aumento delle denunce). E in questo hanno avuto certamente un ruolo le associazioni antiracket. Non a caso proprio una imprenditrice coraggiosa, Silvana Fucito (nella foto a destra, con Tano Grasso), è stata definita donna dell’anno 2005 dal «Times».


Luisa Russo – Il Mattino 25 luglio 2006

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