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QUALIANO: PRESA LA MOGLIE DEL BOSS ABBINANTE, SI NASCONDEVA CON I FIGLI

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Si nascondeva in un appartamento alla periferia di Qualiano assieme ai quattro figli. Raffaella De Felice, 42 anni, moglie del boss Guido Abbinante, è stata arrestata all’alba di ieri dai carabinieri del comando provinciale di Napoli. Ricercata dallo scorso 16 maggio – quando fu condannata dal Tribunale di Napoli nell’ambito del processo contro il clan Di Lauro – la donna viene indicata dagli inquirenti quale «responsabile» di una delle piazze di spaccio più fiorenti del mercato di Secondigliano. Su di lei pesano due condanne: una definitiva a cinque anni e nove mesi per produzione e traffico di sostanze stupefacenti e un’altra in primo grado a tredici anni e quattro mesi. Pene severe, osservano i magistrati, degne di un’autentica imprenditrice della camorra partenopea: cognata del boss Raffaele Abbinante, meglio conosciuto come «Papele ‘e Marano», Raffaella De Felice vanta un curriculum di tutto rispetto nell’ambito della criminalità organizzata. Una «posizione» che le ha permesso di gestire, in prima persona, lo spaccio di sostanze stupefacenti nel lotto H di Secondigliano: prima per conto del clan Di Lauro, la dinastia capace di detenere per un ventennio il monopolio della droga in buona parte della Campania, poi per conto degli «scissionisti», la fazione a cui ha preso parte l’intera famiglia Abbinante durante la sanguinosa faida dei cinquanta morti e passa.
La De Felice fu condannata in primo grado assieme a Paolo Di Lauro (alias «Ciruzzo o milionario») e al figlio Vincenzo tre mesi fa: la quarta sezione penale inflisse tredici anni e quattro mesi di reclusione alla moglie di Abbinante, trent’anni al capoclan e otto al figlio. E assieme al primogenito della famiglia di via Cupa dell’Arco, la donna-manager fu protagonista di quell’errore giudiziario (alcune righe mancanti nel dispositivo di carcerazione) che portò a Napoli gli ispettori del ministero. A differenza di Vincenzo Di Lauro (che fu effettivamente scarcerato), la donna non mise mai piede in cella: le quindici righe mancanti, quelle righe sui «gravi indizi di colpevolezza» che servono a tracciare il profilo di una persona che finisce in manette, fecero diventare nulla l’ordinanza di custodia cautelare.
La correzione del dispositivo e le successive indagini avviate dai carabinieri hanno consentito di individuare il rifugio dove si trovava la donna. La moglie di Abbinante si nascondeva assieme ai figli in un appartamento di via Antica Consolare Campana, a poche centinaia di metri dal centro di Qualiano: qui l’hanno ammanettata i militari diretti dal maggiore Francesco Rizzo, comandante del nucleo operativo, e dal colonnello Gerardo Iorio, alla guida del reparto operativo.



UF – IL MATTINO 5 AGOSTO 2006

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