Molti sono i misteri che l’archeologia moderna non è in grado di spiegare. Luoghi d’arte che sembrano aver restituito i loro segreti, ma che improvvisamente ci regalano nuove sensazionali scoperte. Un esempio non lontano da casa nostra è la città di Pompei, la Graeca urbs di cui parla Petronio nel Satyricon, la città romana citata da Plinio il Vecchio, distrutta da una disastrosa eruzione vulcanica del Vesuvio nel 79 d.C.
Accanto alle abitazioni, alle botteghe, alle suntuose ville dei luogotenenti romani, un equipe di archeologici svedesi sta portando alla luce, recentemente individuati sotto la cenere vulcanica, diversi strati di resti d’utensileria (tra cui ferro carbonizzato) molto precedenti alla Pompei romana, risalenti a circa 3500, 2200 e 1500 anni prima della venuta di Cristo. Chissà quali ragioni spinsero genti di epoche diverse a scegliere tutte lo stesso sito, per giunta pericolosissimo a causa della minaccia incombente del vulcano.
Diverse sono le ipotesi formulate dai responsabili delle università mondiali, da anni impegnati nelle campagne di scavo della città latina, per citare qualche nome Steven Ellis (Università di Sidney e Michigan) e Gary Devore (Standford University), ma in particolar modo colpisce la dichiarazione della professoressa Leander Touati dell’Università di Stoccolma, in merito all’utilizzo di tecniche di costruzione avanzate per l’epoca: “…gli insediamenti preistorici potrebbero aver superato i problemi di approvvigionamento idrico costruendo pozzi ben più sofisticati di quanto ritenuto sinora approfittando di un più favorevole corso del Sarno”.
