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giovedì, Aprile 25, 2024
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MATTANZA A NAPOLI: TRE OMICIDI IN UN SOLO GIORNO

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Improvvisa ondata di violenza, ieri, a Napoli e provincia. Tre morti ammazzati in poche ore: due in altrettanti agguati, uno durante un tentativo di rapina. L’episodio più drammatico è accaduto al Vomero alto. Qui il marito della titolare di un’edicola è stato assassinato con una coltellata al cuore da tre giovani che avevano cercato di rapinarlo. Rabbiosa la reazione della gente del quartiere: «Qui ormai siamo in balia dei delinquenti, non si può più vivere». Gli altri due morti ammazzati a Secondigliano e in provincia, a Casandrino. Nel quartiere alla periferia del capoluogo, teatro di una lunga faida di camorra, un pregiudicato è stato colpito mentre era fermo a una stazione di servizio da due killer a volto coperto. A Casandrino sicari in azione all’interno della sezione del Pdci: qui è stato assassinato un falegname, iscritto al partito. Due le ipotesi prevalenti: usura o estorsione legate alla sua attività. L’impennata di violenza proprio nel giorno in cui il Viminale ha annunciato la permanenza stabile a Napoli degli uomini delle forze dell’ordine finora impegnati solo di rinforzo per periodi temporanei.






Si ribella alla rapina, ucciso un edicolante


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di MAURZIO CERINO



Quartieri collinari nella morsa della criminalità. Ancora un episodio di violenza, ancora una volta finito in modo tragico: Salvatore Buglione, 51 anni, è stato ferito mortalmente con una coltellata al cuore durante un probabile tentativo di rapina, ieri sera, nella rivendita di giornali, in via Pietro Castellino 155, di proprietà della moglie, Antonietta Ferrigno. L’uomo è morto pochi minuti dopo mentre l’ambulanza con la quale è stato soccorso varcava l’ingresso del Cardarelli. Non più tardi di una settimana fa, il 27 agosto, era stato pestato a sangue il titolare della salumeria Marra di via Luca Giordano: una tragedia sfiorata. Un episodio che conferma ancora una volta, se possibile, lo stato di emergenza mai arginata nella sostanza sul fronte della criminalità. E una impennata di questi fenomeni nei quartieri collinari Salvatore Buglione ieri sera era da solo nell’edicola: aveva convinto la moglie, infortunata a una caviglia, a rincasare, non appena rientrato dal Comune di Napoli, dove era impiegato al servizio «Patrimonio e logistica». Era solo: un particolare più che insolito: normalmente era lui a far compagnia e ad aiutare la moglie o il suocero fino alla chiusura. E proprio ieri sera, quando nessuno poteva essergli di aiuto, Salvatore Buglione è stato affrontato dai rapinatori – tre più uno in attesa in auto, secondo testimonianze ancora al vaglio del dirigente della mobile Vittorio Pisani – e barbaramente assassinato per difendere, probabilmente, l’incasso della giornata: in ospedale, in una tasca dei pantaloni, gli sono stati trovati oltre 1100 euro insieme alla contabilità della giornata. L’allarme è scattato poco dopo le 20, quando una donna è piombata nel vicino bar urlando a squarciagola: «Hanno ammazzato Salvatore». Il barman, Sergio, si è precipitato in strada, seguito dal titolare della salumeria attigua e dal proprietario del bar: Salvatore Buglione era disteso sul marciapiedi, davanti al banco dell’edicola. Respirava a fatica, mentre il sangue correva sul selciato. Inutile il soccorso dell’amico salumiere che ha tentato una compressione della ferita con garze fornite dal farmacista, in attesa dell’ambulanza giunta in pochi minuti: la coltellata, vibrata con determinazione al petto ha trafitto il cuore dell’uomo. La dinamica è stata ricostruita sulla scorta di testimonianze e con i rilievi tecnici del dirigente della polizia scientifica Fabiola Mancone. Buglione, che al momento dell’aggressione era all’interno dell’edicola, sarebbe stato affrontato sull’uscio della rivendita: lì i tecnici della scientifica hanno recuperato una serie di elementi che confermano questa tesi. Probabilmente gli aggressori hanno approfittato delle ripetute uscite dall’edicola di Buglione, intento a riporre all’interno i giornali sistemati sugli espositori. L’assalto è avvenuto infatti proprio all’ingresso, come testimoniano le vistose chiazze di sangue nel locale anche se, nonostante una versione ufficiale parli di una colluttazione, tutto nello strettissimo spazio era al suo posto: una scena del crimine «statica», come dicono gli addetti ai lavori. Il bandito, interpretando come un tentativo di reazione il gesto di Buglione di portare la mano in tasca, ha sferrato il colpo: un solo fendente al cuore. Poi la fuga: i tre sono stati visti correre verso la parte bassa di via Pietro Castellino: poche decine di metri per poi balzare su un’auto di colore verde, forse una Opel Corsa con un complice alla guida. E da lì sparire nel caos serale del Vomero.




«Vigliacchi, mio marito era il più buono del mondo»




di LEANDRO DEL GAUDIO

«Vigliacchi, vigliacchi, maledetti. Era la persona più buona del mondo… come si fa, come si fa ad ammazzare un uomo così». Parole cariche di dolore, qui nel corridoio centrale della rianimazione dell’ospedale Cardarelli di Napoli. Si stringono nella rabbia e nella disperazione, i parenti dell’edicolante Salvatore Buglione, ammazzato in via Pietro Castellino, al termine di un brutale tentativo di rapina. Sono la moglie, Antonella Ferrigno, che appartiene ad una nota famiglia di edicolanti della zona collinare, e due giovani figli, Stefano e Anna, di 22 e 19 anni. Una smorfia di dolore fa contrarre il viso dei parenti. La moglie e i due figli restano chiusi nell’ultima parte del corridoio del reparto di rianimazione. Per loro è stato un crescendo di dolore, come racconta chi tra amici e familiari della vittima ha ancora la forza di parlare. La moglie dell’edicolante e i due figli hanno appreso la notizia dell’agguato consumato in edicola poco dopo le otto di ieri sera. Nessuno dei tre era presente, ma erano comunque a pochi passi dall’edicola, perché abitano in via D’Antona, lì nei paraggi. La donna è arrivata sul posto, quando era stato già dato l’allarme e la vittima era stata già trasportata al Cardarelli, e in un secondo momento, accompagnata da una vicina di casa, è arrivata anche la figlia. Un crescendo di ansia, di dolore – spiegano le persone che hanno accompagnato i due ragazzi al capezzale del padre -, fino a quando non hanno comunicato loro la notizia della fine di Salvatore. «I due ragazzi hanno saputo in prima battuta che si era trattato di una rapina e che Salvatore era rimasto ferito – spiega Paola Amato, una donna che abita a pochi passi dall’edicola in cui è avvenuto l’efferato omicidio -, poi, quando sono arrivati in rianimazione, il personale medico ci ha chiesto di lasciarli soli, perché dovevano comunicare una cosa privata. È così che hanno appreso della notizia del proprio genitore». Nel giro di pochi minuti arrivano al Cardarelli tanti vicini di casa, tante persone che abitano in via D’Antona, dove risiedeva una tranquilla famiglia borghese – lavoratori, persone oneste – da ieri sconvolta e irrimediabilmente colpita da un lutto indelebile. Giuseppina De Masi è la moglie di Claudio, il fratello della vittima, ed è sconvolta: «Era in procinto di chiudere il negozio, ancora pochi minuti e sarebbe tornato a casa. Era una persona mite, un lavoratore, aveva una sensibilità profonda ed è stato aggredito in modo bestiale». In ospedale, c’è un ragazzo con i capelli corti – è un parente dell’edicolante ucciso – piange e si dispera: «Dovevo andare a fargli compagnia, dovevo stare con lui, se c’ero anch’io, quei vigliacchi non l’avrebbero assalito». Ernesto, un altro parente, racconta: «Bisogna scappare da Napoli, ora con l’indulto, con tutte queste scarcerazioni, la città diventa invivibile per le persone oneste».





LA PROTESTA

I sindacati dei giornalai «Certezza della pena»



I rappresentanti sindacali dei giornalai sono inorriditi e sconvolti dalla notizia della morte di Salvatore Buglione. «In città si sta attraversando un momento poco felice anche per la nostra categoria, che si arrabatta 14-16 ore al giorno. E non me la sento di condannare nessuno», commenta Antonio Cerasuolo presidente della Sinagi Cgil. «Non trovo parole, c’è solo da rabbrividire; sono addolorato per la famiglia», reagisce Aldo Esposito, segretario Uiltucs: «Lavorando in strada, anche noi siamo potenziali vittime come tutti gli altri cittadini». La moglie della vittima, Antonietta Ferrigno, appartiene a una storica famiglia di distributori di giornali poi passata a gestire alcune edicole. Lo ricorda Antonio Bertani – il giornalaio di piazza del Gesù già salito alla ribalta delle cronache proprio per la sua battaglia contro la diffusione dei coltelli, contro la vendita dei pugnali nelle edicole -. Bertani chiede certezza della pena: «Va bene l’indulto, che ha fatto uscire dalle carceri chi, avendo già scontato parte della pena, avrebbe già dovuto essersi pentito, per lasciare il posto a coloro che stanno compiendo reati adesso. Però è troppo facile trovare scappatoie per uscire: quando un giudice emette la sentenza, quella deve essere la pena che viene effettivamente scontata».




Il quartiere accusa: in balia dei delinquenti




di CORRADO CASTIGLIONE


Via Pietro Castellino è un imbuto ingolfato d’auto. I curiosi gettano uno sguardo al di là dell’edicola, dove c’è il nastro bianco e rosso che delimita la scena del delitto. La polizia scientifica ha il suo da fare a rilevare le impronte, anche se in quel gabbiotto ci sono passati proprio tutti, per cercare di dare una mano, per cercare di dare un aiuto, certo, ma di fatto scompaginando il teatro del crimine. Paola, una dei residenti, fuma una sigaretta e racconta: «Una donna ha avvertito subito il 113, ma l’autoambulanza ci ha messo un quarto d’ora per arrivare fin qui dal Cardarelli, che pure è a due passi. Troppo tardi. La verità è che qui può succedere di tutto e nessuno ti dà una mano». Il passante chiede: «Cosa è successo?». «Sasà» risponde uno, con gli occhi pieni di lacrime. «Hanno accoltellato Sasà». Poi fa di no con la testa. E giù a spiegarti che lui non avrebbe fatto male ad una mosca e non era tipo da reagire. Che stava lì soltanto a dare una mano alla moglie, era lei la titolare dell’edicola. Ma, dicono, erano in tre, forse quattro. E c’era uno più in là che aspettava in una macchina verde. Saranno stati dei balordi. Qualcuno dice: «Proprio no, quassù non se ne può più. Siamo dimenticati. Non ci sono controlli. Prima ogni tanto qualcuno passava: ora siamo tornati nel deserto. Soltanto ieri pomeriggio mi è capitato di assistere ad un tentativo di rapina. C’era uno a bordo di un motorino, aveva il casco ed un coltello: ha provato ad avvicinare tre ragazzini, ma loro sono riusciti a scappare. Comunque non c’era nessuno». Intanto arriva il presidente della Municipalità Mario Coppeto. Sussurra: «Era un amico di infanzia. Ci incontravamo spesso anche in Comune. Collaborava con l’ufficio di Maria Rosaria Guidi al Patrimonio e alla Logistica. Pensare che proprio oggi in circoscrizione abbiamo dedicato un’intera seduta al tema criminalità e io avevo chiuso la riunione ripromettendomi di parlarne con il questore Oscar Fioriolli». D’altro canto, i tristi precedenti nella zona collinare sono sotto gli occhi e nella memoria di tutti. Appena quache giorno fa l’accoltellamento ai danni di Renato Marra, il titolare della salumeria di via Luca Giordano, aggredito insieme alla moglie e ad un dipendente a forza di calci e pugni: i rapinatori, sotto la minaccia di una pistola e due coltelli, si fecero consegnare l’incasso della settimana, ammontante a circa diecimila euro. Le fasi della rapina, che si protrasse per circa un’ora, furono particolarmente violente. L’altro giorno una tentata rapina nella vicina via San Giacomo dei Capri. E senza dimenticare la spaccata nella boutique di «Elena Mirò» in via Bernini, a due passi da piazza Vanvitelli: bottino del valore di circa centomila euro con duecentoventi capi di abbigliamento per donna della collezione autunno-inverno 2006-2007. Particolare inquietante: la boutique era già «visitata» qualche tempo fa con una tenica analoga. Intanto un consigliere della Municipalità, Ciro Manzo, osserva: «Soltanto in questa zona sono stati più di duecento a beneficiare dell’indulto. Sarebbe importante dare una risposta forte contro questo fenomeno, senza distinzioni fra destra e sinistra».






NUOVA ESCALATION DI VIOLENZA. INTERVENTO DEL TITOLARE DEL VIMINALE

Amato: rinforzi definitivi e videosorveglianza



di LUIGI ROANO



Tre morti in un giorno, ed è nuova emergenza a Napoli proprio nel giorno in cui il ministro dell’Interno Giuliano Amato fa scattare nuove misure contro la criminalità. Il numero uno del Viminale – infatti – ha dato semaforo verde alla «stabilizzazione dei contingenti di rinforzo per la città di Napoli e all’attuazione di misure di videosorveglianza nei contesti urbani più a rischio con fondi a carico del Pon sicurezza». Nella sostanza, il ministro ha dato il via libera allo stanziamento di 4 milioni di euro per proteggere attraverso la videosorveglianza alcuni degli itinerari turistici più importanti della città, a partire dai Decumani e anche alla presenza permanente in città di quei contingenti spediti in passato per le varie emergenze. L’ultima per l’ondata di scippi scatenatasi tra luglio e l’inizio di agosto. Difficile quantificare quanti esponenti delle forze dell’ordine ora resteranno stanzialmente in città. Amato – nella lettera spedita agli assessori al Turismo di Comune, Regione e Provincia rispettivamente Valeria Valente, Marco Di Lello e Giovanna Martano – chiama in causa il prefetto e non esclude arrivo di ulteriori rinforzi. E alla luce di quanto accaduto ieri il passaggio nella missiva è indicativo di come la situazione sia in grande evoluzione: «Informo pertanto di avere dato incarico immediatamente al dipartimento di Pubblica sicurezza di valutare, sentito il prefetto, le possibilità di implementazione rappresentate: possibilità che potranno essere oggetto di congruo approfondimento tecnico in sede di interforze». Insomma, stabilizzazione di chi già e stato spedito a Napoli e possibilità di ulteriori ampliamenti degli organici in caso di necessità con il benestare del prefetto. Al momento dovrebbero restare in città non più di una cinquantina di carabinieri, pochi, troppo pochi per affrontare il caso-Napoli. Ieri mattina in ben altro contesto non a caso la Iervolino aveva espresso una richiesta al tavolo dello sviluppo della città inserendo come prima priorità da rappresentare al governo la sicurezza e la lotta alla criminalità: «L’arrivo di rinforzi adeguati è quello che chiederò quando andrò a Roma a parlare con il premier Romano Prodi per il tavolo istituzionale» era stato il suo auspicio, per altro subito esaudito da Amato. Ma con i tre morti di ieri tutto cambia. L’annuncio di Amato fa seguito alla promessa di Francesco Rutelli, il vicepremier, che a Telese nel corso della festa dell’Udeur annunciò l’avvio per Napoli di un particolare piano sicurezza a tutela dei turisti e contro la microcriminalità. Ora bisognerà andare oltre e mettere in campo maggiori risorse. Oggi in Prefettura è previsto un comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica nel corso del quale si discuterà appunto della nuova emergenza criminale e anche delle disposizioni del ministro Amato. Si ricorderà: l’11 agosto scorso la Iervolino chiese e ottenne un comitato apposta dopo una serie di colpi ai danni dei turisti. E il questore Oscar Fioriolli rilevò: «Qui purtroppo c’è una densità criminale molto elevata».






Secondigliano: agguato tra la folla, massacrato nella stazione di servizio




di GIUSEPPE CRIMALDI



Dodici colpi per regolare i conti. Un intero caricatore svuotato sulla vittima, tra le auto ferme nel traffico del corso Secondigliano, nel pieno dello «struscio» pomeridiano. Un omicidio di camorra dalle modalità clamorose riapre i giochi criminali nell’area a nord della città. Rispettato il macabro rituale di morte che segue il copione tragico dei colpi esplosi a distanza ravvicinata, devastando le carni, rendendo il volto una maschera irriconoscibile. Così è stato massacrato Bruno Mancini, pregiudicato 43enne che abitava a una decina di metri di distanza dal distributore Tamoil di corso Secondigliano dove i killer lo hanno freddato, sotto gli occhi di decine e decine di persone, oltre che dei quattro dipendenti della stazione di servizio. Un omicidio che riapre la mattanza, ma anche gli interrogativi sulle guerre di camorra a Secondigliano e Scampia. Il primo di una giornata nerissima al termine della quale si conteranno – tra città e provincia – ben tre morti ammazzati. Alle cinque della sera il corso Secondigliano è già un imbuto che continua a ingoiare macchine. All’altezza del civico 94 – un palazzo color ocra che ospita anche molti studi legali e di commercialisti – un uomo passeggia lentamente sul marciapiedi. C’è un distributore di carburante della Tamoil, ed è lì che si rende conto di una moto che sopraggiunge a forte velocità, facendo lo slalom tra le auto che rallentano perché il semaforo dà il rosso. Non ha nemmeno il tempo di intuire il pericolo che i killer esplodono i primi colpi di pistola: Mancini, ferito, tenta una disperata fuga nel casotto della stazione di servizio. I colpi si susseguono in rapida successione. Sembra una mitraglietta: in realtà, a far fuoco è una pistola calibro nove. Colpi micidiali. Proiettili che non lasciano scampo. Mancini muore in pochi istanti, tra le urla della gente che fugge e sotto lo sguardo inorridito dei benzinai, impietriti dalla scena. Giungono subito le gazzelle del Radiomobile dei carabinieri del Comando provinciale guidato dal colonnello Gaetano Maruccia. Subito dopo sul posto arriva il comandante del Nucleo operativo, maggiore Francesco Rizzo, e il maggiore Giovanni Marolla, della Compagnia «Stella». Il primo passo degli investigatori viene rivolto al passato criminale della vittima. Mancini aveva precedenti per rapina e violazione della legge sulle armi. Non aveva mai avuto a che fare con storie di traffici di droga. Non aveva mai riportato condanne per associazione mafiosa. Scavando meglio nei suoi fascicoli d’indagine emerge però un particolare: l’uomo sarebbe stato legato ad ambienti vicini alla Masseria Cardone, zona controllata dal clan Licciardi. Sullo sfondo dell’ultimo delitto non vi sarebbe dunque lo scontro tra i Di Lauro e gli «scissionisti», ma uno scenario nel quale si stanno riorganizzando le alleanze criminali per il predominio delle piazze dello spaccio di droga nell’area nord. Un business milionario. Fin qui l’ipotesi sugli scenari. Intanto è aperta la caccia ai killer. Sul distributore c’è una videocamera a circuito chiuso. Un elemento che si sarebbe potuto rivelare utile alle indagini. Si scopre però che quella telecamera non ha registrato nulla, perché sabato scorso quello stesso distributore era stato assaltato da due rapinatori che, dopo aver picchiato i due dipendenti, avevano rubato l’incasso della giornata e razziato tutte le videocassette. E dunque: perché Mancini è stato assassinato? Uno dei pochi punti certi è che la sua morte potrebbe essere in qualche modo collegata all’omicidio di sabato scorso, in via Duca degli Abruzzi, di Modestino Bosco, pregiudicato ritenuto vicino al clan Di Lauro. Al corso Secondigliano arrivano dopo le 18 anche il coordinatore della Dda, il procuratore aggiunto Franco Roberti ed il sostituto procuratore antimafia Raffaele Cantone. Pochi minuti dopo il loro telefonino squillerà ancora: arriva la notizia che a Casandrino è stato commesso un altro omicidio.




AGGHIACCIANTE RETROSCENA

«Mms» con la foto del cadavere trasmessi dal luogo del crimine



La folla. La solita folla che assiste ad una scena di morte con indifferenza. Molto di più è accaduto ieri a Secondigliano: non la solita morbosa curiosità che mobilita in prima fila, dietro i nastri bianchi e rossi che delimitano la scena di un crimine, la gente di un intero quartiere. No. Ieri è accaduto di più. Con un pugno di ragazzi – bandana in testa e occhialini da sole – che dopo essere riusciti a guadagnare un «punto d’osservazione» privilegiato, salendo su una cassetta d’acqua minerale e arrampicandosi su alcune fioriere del corso Secondigliano, hanno sfoderato il telefonino cellulare per scattare fotografie. Come dire: la morte in diretta, trasmessa via mms. «Un fatto indegno», commentano due investigatori sottovoce. Vero. Ma anche il segno dei tempi, in un quartiere in cui la gente esce di casa dopo che i killer sono entrati in azione e corre a vedere «il morto». La scena che si presentava ieri sotto gli occhi dei presenti era particolarmente cruenta. C’era sangue ovunque, anche dopo che il corpo della vittima era stato ricoperto da un lenzuolo bianco. Ma questo non ha impedito a un centinaio di persone di mancare all’appuntamento con la morte. E c’era – in questo variegato pubblico – persino qualche madre che teneva per mano il proprio bambino piccolo. Attimi di tensione si sono sfiorati quando, poco prima dell’arrivo del carro funebre della polizia mortuaria, la curiosità degli astanti ha rotto gli argini, sfondando il limite imposto dalle forze dell’ordine. Tutto è poi tornato alla normalità, grazie all’intervento dei carabinieri.
giu.cri










Raid nella sezione Pdci, ammazzato per debiti




di MARCO DI CATERINO

Casandrino.
Non avrebbe più voluto pagare gli strozzini. Da anni sotto usura, il titolare di una avviata falegnameria, si sarebbe rifiutato di girare una serie di assegni appena ricevuti alla banda di usurai. Un’ipotesi, per ora, ma è quella sulla quale lavorano i carabinieri. Una vendetta di natura economica, ecco perché si indaga anche sul movente estorsivo. Ieri pomeriggio, a Casandrino, ucciso con due colpi di lupara Alfonso Pezzella, 56 anni, fondatore della locale sezione del Pdci. L’agguato poco prima delle 19, davanti alla sezione del partito dedicata ad Antonio Gramsci. Gli assassini sapevano dove trovarlo perché l’imprenditore dopo il lavoro si recava nella sede della sezione, in via Chiacchio, a poche decine di metri dalla piazza principale di Casandrino. E ieri pomeriggio Alfonso Pezzella, che si era appena seduto a un tavolino insieme con il fratello Francesco per la solita partita a carte, ha visto subito arrivare i killer, che pochi istanti prima erano scesi da una Renault Clio. I sicari di sono diretti verso l’ingresso dalla sezione ad armi spianate. Alfonso Pezzella ha avuto il tempo di alzarsi di scatto, uscire dal locale, imboccare il portone di un palazzo vicino alla sezione, in cerca di scampo. Il commando lo ha raggiunto a metà del passo carraio, e spinto a terra. Poi gli ha poggiato le canne della lupara alla testa ed esploso due colpi. Alfonso Pezzella è morto sul colpo, in un lago di sangue, il volto orrendamente sfigurato. I killer si sono allontanati di corsa, a bordo di un’auto guidata da un complice, in direzione di Sant’Antimo. Sul posto i carabinieri del gruppo di Castello di Cisterna e quelli della compagnia di Casoria, coordinati dal procuratore aggiunto Franco Roberti, dell’antimafia. Gli inquirenti parlano di una indagine complessa e delicata, la pista che viene battuta in queste ore è quella dell’usura o dell’estorsione. In paese da anni si sussurrava dei problemi finanziari che affiggevano Alfonso Pezzella, che era un cittadino benvoluto e stimato, come la sua famiglia. La ferocia con la quale però gli assassini si sono accaniti contro di lui porta gli inquirenti nella vicina Sant’Antimo, roccaforte di tre clan, tutti finanziati da una sorta di holding dell’usura. Nella notte interrogato il fratello della vittima, che era con Pezzella al momento del raid.






CASANDRINO: PAURA DOPO IL RAID DI MORTE
Il sindaco: subito la caserma dei carabinieri. Il ricordo degli amici. L’ex consigliere Morelli: «Una persona perbene». Perna, segretario provinciale: «Qui è un rischio lavorare»




di GIUSEPPE MAIELLO

Casandrino. Rabbia, stupore, incredulità, l’assassinio di Alfonso Pezzella ha ferito la città. Comunista doc, era sempre stato un operaio prima di Rifondazione comunista e poi dei Comunisti Italiani, occupando fino a circa due anni fa il ruolo di responsabile della sezione. Incarico che aveva assunto dopo di lui il fratello Francesco. Tutta la famiglia è impegnata nel partito di Diliberto. «Non riesco a capacitarmi. Alfonso era un bravissimo ragazzo, un lavoratore instancabile, tutto casa e famiglia, che morte orribile», dice visibilmente commosso un suo cugino, Silvano, che ha il salone di barbiere proprio in piazza, all’incrocio con via Chiacchio. «Sono corso da Napoli, appena mio padre mi ha telefonato – aggiunge un altro cugino, che porta lo stesso nome e cognome della vittima – perché, vorrei sapere perché, Alfonso era sempre disponibile con tutti» Netto il commento del sindaco Antimo Silvestre: «La città ha bisogno di sentirsi sicura, richiesta cha abbiamo ribadito anche nell’ultima seduta del comitato per la sicurezza spiega Silvestre – occorrono ulteriori sforzi da parte delle forze dell’ordine. Prefettura e istituzioni favoriscano la realizzazione della caserma dei carabinieri». L’assessore Antonio Silvestre, di An, tra i primi ad accorrere sul luogo del delitto, punta l’indice sulla recudescenza della criminalità nei centri a nord di Napoli: «La città è indifesa, si colpisce ovunque e ad ogni ora; ci vuole maggiore sicurezza. Purtroppo, dal governo non vengono segnali in questo senso». Ha la voce commossa l’ex congliere comunale Luca Morelli, figlio dell’ex sindaco Luigi, e coordinatore della sezione «Gramsci». «Una persona onesta, un compagno di partito esemplare. Quello che è accaduto è incredibile. Alfonso ha militato per 40 anni prima nel Pci, poi in Rifondazione infine nel Pdci. Era uno dei più assidui della sezione, si può dire che dal primo gennaio al 31 dicembre fosse una presenza fissa della nostra sede». Una pausa, Morelli è sul luogo dell’agguato, si ferma dinanzi allo sbarramento delle forze dell’ordine. «Non posso credere a quello che è successo – conclude – Alfonso era una persona onesta. In città c’è molta emozione per quanto è accaduto perché era stimato da tutti, nessuno poteva immaginare quanto è accaduto». Dinanzi alla sezione «Gramsci» anche il segretario provinciale del Pdci, Luigi Perna: «Un delitto spietato, Alfonso era una persona perbene, un fondatore del partito a Casandrino. Un militante che fisicamente ed economicamente ha contribuito a reggere la sezione cittadina. Non credo ci siano piste politiche da seguire. Quello che viene da pensare è che fare l’imprenditore nel Napoletano è molto rischioso. Un piccolo artigiano deve fronteggiare spesso situazioni pericolose».




Padre di tre figli e nonno



Casandrino. Alfonso Pezzella era un artigiano molto noto e apprezzato. Aveva ereditato la bottega di falegnameria dal padre e lavorava già da qualche anno con il figlio. Padre di tre figli, nonno da poco tempo, Pezzella era conosciuto a Casandrino come un serio lavoratore, ma anche come un militante politico di primo piano. Da oltre 40 anni aveva seguito l’attività del Pci prima, di Rifondazione in un secondo momento, infine dei Comunisti italiani. «Un compagno esemplare, un militante perfetto» nella descrizione degli altri iscritti della sezione Gramsci di via Chiacchio, vicino alla quale è avvenuto l’omicidio. Pezzella era stato segretario del partito di Diliberto e poi aveva ceduto il testimone al fratello Francesco oggi segretario in carica. Pezzella era una presenza fissa, praticamente ogni giorno si recava nella sede del Pdci, più di una volta era lui stesso ad aprirla. In passato era stato uno degli animatori delle feste dell’Unità, tanto da essere conosciuto anche a livello regionale. Alfonso era stato candidato più volte, senza mai essere stato eletto, nel Pci. E quella dei Pezzella era una sorta di dinastia politica, il nipote Armando era stato candidato a sindaco a Grumo Nevano ed è stato vicesindaco e assessore della giunta di Casandrino. Attualmente è il segretario, a Gruno, sempre dello stesso partito. Quando Alfonso Pezzella, finiva di lavorare, si recava direttamente nella sede del partito ancora con gli abiti da lavoro. Abiti che indossava anche quando è stato ammazzato.
g.m.




aricoli tratti dal quotidiano IL MATTINO del 5 settembre 2006

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