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ADDIO ORIANA. TESTIMONE DI UN’EPOCA DIFFICILE E CONTROVERSA

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Oriana Fallaci era nata a Firenze il 29 luglio 1929. Da molti anni lottava contro il cancro, che definiva “l’Alieno”. In un’intervista al New York Times del febbraio 2003, attribuì la responsabilità del suo tumore all’ex dittatore iracheno: “Sono convinta di essermi ammalata in Kuwait, quando Saddam Hussein diede fuoco ai pozzi. Ho respirato quella nuvola nera”.

Giornalista e scrittrice, Oriana Fallaci diventa famosa a livello internazionale per le sue interviste ai potenti del mondo e i suoi reportage, specie di guerra. Negli ultimi anni la sua attenzione critica verso l’Islam contemporaneo suscita reazioni contrapposte, comprese denunce alla magistratura, in Italia e all’estero.

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La Fallaci esordisce non ancora diciassettenne come cronista di un quotidiano fiorentino per poi passare all’Europeo. Qui si occupa di attualità e costume e a questa fase appartengono i suoi primi libri: I sette peccati di Hollywood (1957), Il sesso inutile, viaggio intorno alla donna (1961), il romanzo Penelope alla guerra (1962) e Gli antipatici (1963).

Si misura con eventi come la conquista della Luna (tema del libro Se il Sole muore, 1965) e con la guerra in Vietnam: Niente e così sia, 1969, è il libro con cui vince il suo primo premio Bancarella e rivela le sua qualità di corrispondente consolidando la sua fama internazionale. Negli anni seguenti continua a recarsi in Vietnam, seguendo le battaglie più sanguinose e distinguendosi per il coraggio.

Si occupa anche, sempre per L’Europeo e poi per Il Corriere della sera, dei conflitti indo-pachistani e mediorientali e delle insurrezioni in America Latina, rimanendo gravemente ferita nel massacro di Plaza Tlatelolco a Città del Messico (1968). E’ questo anche il periodo delle sue celebri interviste con capi di stato e leader politici, da qualcuno giudicate a tratti insolenti, da altri fin troppo addomesticate, ma che restano comunque un modello nel genere più difficile del giornalismo: particolarmente noti e riusciti i “faccia a faccia” raccolti nel libro Intervista con la Storia (1974), con Henry Kissinger, Nguyen Van Giap, Golda Meir, Gheddafi, Deng Xiao Ping e Khomeini.

Le cronache raccontano che durante l’intervista all’Ayatollah, la Fallaci lo apostrofò deliberatamente come “tiranno” e senza timore si tolse il chador che era stata costretta a indossare per essere ammessa alla presenza del leader iraniano. Henry Kissinger, all’epoca segretario di Stato statunitense, definì l’intervista con la Fallaci come “la conversazione più disastrosa mai avuta con un membro della stampa”.

Al suo passaggio alla narrativa viene premiata dal pubblico di tutto il mondo. I suoi romanzi (Lettera ad un bambino mai nato, 1975, 40 edizioni solo in Italia; Un uomo, 1979, premio Viareggio; Insciallah, 1990, superpremio Bancarella) vengono tradotti in 30 paesi (tra cui Giappone, Cina, Thailandia, paesi arabi), vendono milioni di copie e scatenano puntualmente polemiche culturali e non solo. Che sono solo l’antipasto di quello che accadrà per l’ultima, colossale battaglia della Fallaci, quella contro l’Islam inaugurata da La rabbia e l’orgoglio, rielaborazione di un intervento apparso sul Corriere della sera all’indomani dell’11 settembre.

Il tono è quello di un pamphlet contro le dittature, il terrorismo, l’estremismo, il fanatismo religioso dell’Islam, ma anche contro la mediocrità dei governanti, le ragioni di real politik per colpa delle quali la società occidentale (a partire dall’Europa) non difende più, nel confronto con l’Islam, i valori che la contraddistinguono (molti i richiami al risorgimento, alla resistenza).

Il libro, pubblicato dopo 11 anni di silenzio, suscita molte critiche e polemiche per il suo taglio duro e per certe affermazioni che, inizialmente attribuite allo shock per gli attentati, in seguito sono state confermate dall’autrice e riprese nel successivo La forza della ragione (2004). Il suo ultimo libro è Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci (2004).

La sua ultima invettiva, lo scorso 30 maggio 2006, è stata raccolta dal New Yorker, uno dei più prestigiosi settimanali americani. L’articolo, lungo dieci pagine, è titolato The Agitator – Oriana Fallaci indirizza la sua furia contro l’Islam: la scrittrice attacca un po’ tutti, Romano Prodi e Silvio Berlusconi, liquidati come “due fottuti idioti”, gli immigranti messicani, il presidente venezuelano Ugo Chavez, Federico Fellini, e l’olio di oliva fatto in New Jersey.

Ma il suo obiettivo principale erano ancora una volta, come ha fatto negli ultimi cinque anni, gli islamici: che non sopporta in generale, perché “non credo che esista un Islam buono e uno cattivo” e più in particolare perché non vorrebbe vedere mai la moschea che dovrebbe sorgere a Colle Val d’Elsa: “E’ vicino casa mia, prendo l’esplosivo e la faccio saltare”.

L’ultima provocazione risale al febbraio 2006. Ricevendo la medaglia d’oro dal presidente del Consiglio regionale della Toscana, Riccardo Nencini, nella sede del consolato italiano a New York, Oriana Fallaci aveva annunciato che stava preparando una vignetta su Maometto. Il Giornale della Toscana spiegava che la scrittrice aveva detto di voler raffigurare Maometto “con le sue nove mogli, fra cui la bambina che sposò a 70 anni, le sedici concubine e una cammella col burqa. La matita, per ora, si è infranta sulla figura della cammella, ma il prossimo tentativo probabilmente andrà meglio”.

REPUBBLICA.IT – 15 SET 2006

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