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giovedì, Marzo 28, 2024
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Differenziata il grande bluff. Inchiesta del Mattino. 1

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Tutti la vogliono, tutti la predicano ma pochi la praticano. Si chiama raccolta differenziata, due parole magiche, secondo alcuni, che potrebbero allontanare lo spettro dell’emergenza rifiuti. «Differenziare, differenziare, differenziare», è il motto del ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio. «Centra l’obiettivo, rifiutali con intelligenza», è lo slogan della campagna promozionale promossa dall’assessorato regionale all’Ambiente, sperimentata per un mese e che, presentata ieri, entra ora nel vivo con spot radiofonici e televisivi, sensibilizzazione nelle scuole. «Il punto di forza – spiega l’assessore Luigi Nocera – saranno le locandine da distribuire porta a porta con i comportamenti corretti per la separazione in casa dei rifiuti». Due settimane fa il governatore Antonio Bassolino ha illustrato un piano da 30 milioni di euro tra fondi Ue e ordinari per investire appunto in attrezzature per la differenziata. Tutti la vogliono, ma ancora non funziona. Su poco meno di tre milioni di tonnellate prodotte, la Campania l’anno scorso ne ha differenziate soltanto 400mila, di cui 100mila di umido e il resto plastica, carta, cartoni, alluminio e legno, molto meno del 13% rispetto all’obiettivo del 35 per cento fissato dalla legge. Poco, troppo poco tanto è vero che il presidente della commissione Ambiente al Senato, Tommaso Sodano, la settimana scorsa ha proposto di sciogliere i Consigli nei Comuni che non raggiungono le quote dovute. In Campania sarebbe una catastrofe, su 551 comuni solo 70 superano la soglia. «La mia non è stata una provocazione – puntualizza Sodano, che ha dovuto affrontare la rivolta degli amministratori locali e le contestazioni dei colleghi -. Ho presentato una tabella con scadenze precise, proponendo l’obbligo ai Comuni di passare dal 35 per cento fissato oggi dalla legge al 40 nel giro di due anni. Una cosa è certa, se non diminuiscono i volumi aumentano sempre più le discariche e soprattutto i cittadini dovranno pagare di più. Se non dalla gestione dei rifiuti, da che cosa si misura una buona amministrazione?». Due milioni e 600mila tonnellate sono andate ai sette impianti Cdr campani in perenne crisi. Le 400mila tonnellate hanno preso le vie più disparate. Una buona parte, carta e cartoni soprattutto, nelle piattaforme private. «Ma molto è tornato con tutto il resto – attacca un sindacalista che preferisce restare anonimo – ovvero nei bidoni e sui camion dell’indifferenziata, e dunque nei Cdr. Doppio lavoro, doppia spesa, doppio smaltimento». C’è una serie A e una serie B nella differenziata. Una bottiglia di plastica o una lattina di alluminio raccolta in provincia di Salerno, nel Nolano o in Penisola sorrentina ha molta più probabilità di finire nel giro giusto del riciclo. Beffardo il destino di una bomboletta spray depositata a Napoli. Tolta la parte umida differenziata che è stata all’incirca di 100mila tonnellate, alle 34 piattaforme tutte private solo in teoria dovrebbero essere arrivate le 300mila tonnellate circa di legno, carta, alluminio, plastica, le cosiddette frazioni nobili dell’immondizia. Nobili perché l’alluminio delle lattine di aranciata, ad esempio, sono riciclabili al cento per cento e chi le porta al posto giusto guadagna pure un contributo. Dunque, un materiale appetibile per l’industria, così come il vetro e la plastica. Ma quante industrie campane sono pronte a comprare i materiali nobili per riciclarli? «Si contano sulle dita di una mano – risponde Mimmo Merolla, responsabile regionale di Cisal enti locali e servizi -. Ci sono aziende irpine che vorrebbero il legno da triturare e sono costrette a cercarlo fuori regione. Per carta e cartone le aziende di trasformazione per alimentare il fabbisogno devono importare mentre le piattaforme di raccolta non riescono a crearsi un indotto. Peggio ancora per la frazione umida». Centomila tonnellate di umido, tanto doveva finire nei compostaggi campani nel 2005 per essere trasformato in inerti per composizioni ambientali o in fertilizzanti. Invece, è stato tutto dirottato altrove perché dei tre compostaggi campani nulla funziona. Trecento tonnellate di parte umida dei rifiuti partono ogni giorno per il Veneto, Qualcosa va anche in Puglia e Calabria. Le piattaforme venete ne fanno inerti per ricomporre cave o fertilizzanti, soprattutto quando si tratta di residui delle potature. La Campania aspetta che ci sia un compostaggio degno di questo nome. Quello della società mista Pomigliano Ambiente, da 30mila tonnellate, è in costruzione e nel frattempo serve come sito di trasferenza. Quello di Polla, consorzio Salerno 3, è da seimila tonnellate ma non in esercizio. A Bisaccia ce n’era uno privato da 30mila tonnellate, il Commissarito per l’emergenza l’aveva individuato come stoccaggio ma la magistratura è arrivata prima sequestrandolo. Insomma, l’umido, ovvero foglie di lattuga, bucce di banana, torsoli di mele e tutto il resto continuerà a partire per il Veneto. Dei 551 comuni campani soltanto 70 sono oltre il 35% di differenziata e guadagnano da questo primato: pagano 78 euro anziché 106 per ogni tonnellata sversata negli impianti Cdr, risparmiano sulle quantità e hanno ulteriori contributi. Un’altra anomalia è nelle mancate assunzioni da parte dei comuni dei 2.300 lavoratori, molti ex socialmente utili, da impegnare nella differenziata. Per ognuno che ne assumono i comuni ottengono un contributo che si traduce in risparmio, ovvero 20 tonnellate gratis da sversare nei Cdr. Ma preferiscono affidare la differenziata a ditte esterne. 1/ continua


francesco vastarella – il mattino 31 ottobre 2006

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