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venerdì, Aprile 19, 2024
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QUANDO LA VIOLENZA FA MORIRE LA PASSIONE

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Non c’è cosa più assurda che morire per una partita di calcio. Meno di una settimana fa, su un campo di terza categoria in Calabria, l’episodio che già aveva buttato nello sconforto tutti gli amanti del calcio con la morte dopo una rissa del dirigente della Sammartinese, ieri poi l’ennesimo atto di follia figlio di una cultura malata e violenta che da oltre un trentennio si è impadronita del calcio italiano. Sono un amante viscerale del calcio, tanto da essere stato nella mia vita per cinque anni arbitro federale della FIGC. All’inizio ero entusiasta della mia esperienza, il vivere da vicino un partita di calcio, sentire l’odore della polvere, il sudore, la fatica e la gioia a fine gara diessermi impegnato nella mia passione più grande. Unico neo di questa avventura però è sempre stato il clima che sulla maggior parte dei campi su cui ero impegnato si respirava. Più di una volta ho dovuto assistere a risse a fine partita, a interventi violenti gratuiti a scontri anche fuori dai cancelli dello stadio. Una volta dovetti sospendere definitivamente una partita del campionato Juniores regionale, perchè a seguito di una espulsione per un pugno rifilato ad un avversario, si scatenò una rissa tra tutte e due le squadre, giocatori, riserve e dirigenti contemporanemente a cui poi si aggiunsero persone che erano oltre la recinzione ad assistere all’incontro. Cinquanta e più persone che si picchiavano selvaggiamente per cosa? Una partita di calcio! Dopo un po’ di tempo gli animi si calmarono e uno dei dirigenti di una delle squadre mi mostrò lo squarcio del suo giaccone provocato da una lama di coltello che qualcuno aveva adirittura impugnato in quel momento!

Quell’episodio mi fece riflettere parecchio, ma non mi scoraggiò e continuai ad arbitrare con passione e dedizione. Fino al giorno in cui fui inviato in provincia di Avellino per dirigere un incontro tra la seconda e la prima classificata di un girone di prima categoria. La partita fu corretta e bella e terminò giustamente in parità. Nello spogliatoi però fui colpito ripetutamente all’uscita della doccia da due individui col capo coperto da un passamontagna. Fu un momento scioccante, tutta la passione che avevo dedicato al calcio in quel momento svanì. Non potevo credere di essere stato picchiato così gratuitamente, senza motivo apparente a fine partita.Neanche quell’episodio mi fece demordere dal continuare, ma sono sincero nel dire che mi segnò profondamente, tanto da condizionarmi psicologicamente ad ogni partita successiva. Così quando qualche mese dopo capii che quello che era nato come un divertimento, era ormai fonte di preoccupazione e di inquietudine! Decisi così di smettere di arbitrare, sconfortato anche dal fatto che a far morire questa mia passione fosse stato un unico fattore: la cultura violenta che domina il nostro calcio.

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