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La Torre, chiude la colonia del Regno Unito

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La colonia anglo-scozzese del clan La Torre perde l’ultimo dei suoi rappresentanti. Torna in Italia anche Tiberio puntinella, 48 anni, cugino di don Augusto e suo fedele esecutore di ordini, suo punto di riferimento a sud di Londra. Dopo la concessione dell’estradizione, alla quale si era lungamente opposto temendo la detenzione al regime del 41 bis, ieri sera Scontland Yard lo ha accompagnato sino alla scaletta dell’aereo, assistendo alle operazioni di imbarco sul volo AZ207 dell’Alitalia, il cui arrivo a Fiumicino, inizialmente previsto per le 20, è slittato di alcune ore. Ad attenderlo, sulla pista di atterraggio, la polizia di frontiera e i carabinieri del Reparto operativo di Caserta, che dovevano notificargli le tre ordinanze di custodia cautelare in carcere nelle quali gli viene contestata la partecipazione a tre omicidi. Tiberio La Torre, sulla scorta delle dichiarazioni rese alla Dda dal cugino, da Mario Sperlongano, da Giuseppe Fragnoli e da Giuseppe Valente, è considerato uno degli autori dell’omicidio di Alberto Beneduce e Armando Miraglia (il primo, fino all’1 agosto 1990 capozona di Baia Domizia, l’altro sul suo autista-guardaspalle), di Vittorio Boccolato (una lupara bianca, i cui resti sono stati trovati nel 2004 in un pozzo, tra Mondragone e Falciano del Massico) e di Hassa Fakhry (un egiziano che collaborava con i carabinieri su operazioni di droga). I processi per i tre omicidi sono già conclusi, la posizione di Tiberio La Torre è stata stralciata proprio in attesa dell’estradizione. Procedura che, nel suo caso, è stata più rapida di quella per Antonio La Torre, rientrato in Italia un paio di anni dopo la sua condanna a 13 anni di reclusione per estorsione e dopo che era stato colpito da un ordine di cattura internazionale. Già fissato il suo interrogatorio: lunedì mattina, nel carcere di Rebibbia.





Augusto, la lettera e il pentimento a orologeria

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Quattro anni, cinque mesi, sette giorni. Dalla richiesta di collaborazione all’annuncio della ritrattazione, parabola discendente di un capocamorra, Augusto La Torre, che aveva affidato l’operazione di plastica facciale prima al corso di laurea in psicologia e poi al pentimento. Un’esperienza chiusa, un capitolo archiviato il 16 luglio 2007, dopo un lungo interrogatorio del pm Alessandro Milita. «La mia collaborazione con la giustizia – ha scritto in una lettera inviata a un quotidiano – è finita oggi alle 15,30». E ha ribadito quanto già anticipato qualche giorno prima, sempre per iscritto, al presidente della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, Elisabetta Garzo, che doveva decidere sull’omicidio di Benito Beneduce. Cioè, che si rimangerà ogni accusa. Aggiungendo che i suoi familiari (la madre Paolina Gravano e i figli avuti dalla ex moglie, Annamaria Giarra) torneranno presto a Mondragone, e che fornirà «prove documentali che da sole basteranno a smascherare i bugiardi, i megalomani e i mitomani, oltre ad altre situazioni molto più importanti e complesse». Augusto La Torre, dunque, annuncia il suo ritorno nel mondo della camorra. Ammesso che l’abbia mai realmente lasciato. E lo fa alla vigilia dei rientro del cugino Tiberio puntinella da Londra, con il fratello Antonio detenuto in Italia, con l’attuale – apparente – vacatio ai vertici del clan mondragonese. La lettera, che in alcuni suoi passaggi appare minacciosa (con possibile riferimento al magistrato Raffaele Cantone, con il quale aveva iniziato a collaborare ma che aveva ben presto scoperto la sua attività di doppiogiochista, attività che gli era costata la perdita dei benefici ottenuti sino a quel momento) e scritta perché avesse pubblica diffusione, in ambienti investigativi viene letta come un annuncio a quanti sono nelle carceri o latitanti, soprattutto ai Casalesi. Una dichiarazione d’intenti, lì dove parla della prossima ritrattazione, che vale quale messaggio agli inquirenti, è vero, ma interessante anche al vertice del clan dei Mazzoni. Nei lunghi interrogatori, nei processi, nelle confessioni degli omicidi e delle estorsioni, Augusto La Torre aveva lungamente e diffusamente parlato dei suoi rapporti con gli aversani: con Mario Iovine e Vincenzo De Falco (morti da quattordici anni), con Dario De Simone, con Francesco Bidognetti, con Francesco Schiavone. Ma anche con Michele Zagaria, con il quale non è mai andato d’accordo (un’antipatia reciproca, pare) e con Antonio Iovine, che le voci vogliono al vertice dei Casalesi dopo l’intesa raggiunta con la famiglia di Schiavone-Sandokan. Cosa vuole ritrattare, Augusto La Torre? E perché insistere ancora una volta sui «bugiardi, megalomani e mitomani», con un chiaro e non inedito riferimento a Mario Sperlongano, l’uomo che era stato il suo vice, pentito di grande credibilità e attendibilità, morto a ottobre dello scorso anno? Ecco, una delle chiavi potrebbe essere celarsi proprio nei verbali di Sperlongano, le cui accuse sono state spesso non sovrapponibili a quelle di La Torre e che più volte aveva messo in guardia gli investigatori sul rischio che il suo capo raccontasse verità parziali, salvando i suoi uomini più fidati e gli imprenditori della zona grigia, quelli che facevano girare i soldi e che per lui li reinvestivano all’estero. Magari sulle stesse piazze del narcotraffico che aveva lungamente frequentato prima dell’arresto in Olanda. Era il 1998, la storia potrebbe ricominciare da lì.




ROSARIA CAPACCHIONE – IL MATTINO 21 LUGLIO 2007

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