Ucciso per aver colpito l’uomo sbagliato. Punito per aver fallito la missione di morte affidatagli dai nuovi capi e che lo avrebbe accreditato nel nuovo cartello camorristico. Ucciso perché ritenuto inaffidabile. È lo scenario dell’ultima giornata di sangue e terrore alle porte di Napoli, la faida bis per la conquista delle piazze di droga. Uno scenario che va ricostruito a partire dalla fine: ore 22, martedì notte, viene ucciso ad Arzano Luigi Magnetti, 21 anni, una carriera criminale iniziata adolescente a fianco dei boss di casa Di Lauro. Omicidio 86 nel 2007: un delitto che riconduce alla guerra tra quel che resta del clan di Paolo Di Lauro e i potentissimi scissionisti degli Amato-Pagano. Una guerra che ha assunto strategie differenti rispetto alla prima stagione di violenza, che tra il 2004 e il 2005 consumò 58 omicidi in pochi mesi. Non più uno scontro frontale tra due eserciti, ma una serie di colpi sferrati alla roccaforte dei Di Lauro da parte dell’ultima generazione di scissionisti. Dopo gli scissionisti, dunque, ecco arrivare i «girati». Sono i fuoriusciti dell’ultima ora, la terza generazione dei boss storici, «quelli che si sono arrevotati» – si legge negli atti d’indagine – giovanissimi al soldo dei più forti, che abbandonano i Di Lauro. Una strategia assunta anche da Luigi Magnetti, ucciso poche ore dopo l’incursione nel bar «Mary» al rione Berlingieri. Ha pagato con la vita – spiegano gli inquirenti – l’errore di persona. Ha puntato alla sagoma sbagliata: ha ammazzato Salvatore Ferrara (22 anni), ma la vittima designata era Paolo De Lucia (parente del 19enne Ugo De Lucia, gravemente ferito nel corso del raid), altro esponente della famiglia del rione Berlingieri storicamente vicina al clan di Ciruzzo ’o milionario. Ferrara aveva la stessa corporatura di Paolo De Lucia, una somiglianza che si è rivelata fatale. Fatto sta che poche ore dopo l’agguato nel bar «Mary», Magnetti è stato ucciso ad Arzano. Gli inquirenti della Mobile – coordinati dal vicequestore Vittorio Pisani e dal capo della omicidi Pietro Morelli – hanno ricostruito le sue ultime ore di vita: una doccia dopo l’agguato, via la tuta e le scarpe da ginnastica, abiti puliti per l’appuntamento con gli affiliati dell’ultima ora. In via Caiazza ad Arzano, però gli è toccata la punizione del clan al quale cercava di affiliarsi. Da qualche tempo, il ventunenne aveva lasciato via del Lungo Ponte a Secondigliano, la zona della Villanella Grassa e si faceva vedere spesso ad Arzano. Un cambio di residenza che agli occhi degli inquirenti della Dda (i pm Sergio Amato e Stefania Castaldi) vale come una prova della nuova affiliazione, sul quale il giovane pregiudicato aveva costruito il suo futuro criminale, provando a «girarsi» a favore dei più forti, incappando però nella giustizia privata degli scissionisti.
LEANDRO DEL GAUDIO – IL MATTINO 27 SETTEMBRE 2007