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domenica, Maggio 5, 2024
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TREDICENNE UCCISO, DOPO LA TRAGEDIA LE POLEMICHE

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NAPOLI – Mentre l’inchiesta della procura prosegue, s’infiamma la polemica sulle periferie. Sulla tragica morte di Salvatore, il tredicenne ucciso dalla reazione di un poliziotto libero dal servizio a un tentativo di rapina, è intervenuto anche l’Osservatore Romano nel numero in edicola oggi: «Scampia – si legge fra l’altro – come tante altre ”scampia” che circondano il salotto buono, non è stata raggiunta dal decantato ”rinascimento di Napoli”». Quanto accaduto, scrive il quotidiano della Santa Sede, «pone ancora una volta interrogativi seri alle istituzioni, in particolare a quelle che hanno il dovere di rendere vivibili le città. Non ci può infatti limitare a rimettere a lucido il ”salotto buono” delle metropoli come Napoli, ripulendo facciate e risistemando piazze già eleganti. L’immagine non basta».
Attacca anche il deputato di An Italo Bocchino: «Napoli paga il fallimento di una politica urbanistica, consolidata negli ultimi dieci anni dall’amministrazione cittadina, che ha diviso la città in due sezioni, il salotto radical chic del centro e il ghetto delle periferie». L’assessore allo Sviluppo della giunta Iervolino, Nicola Oddati, però replica: «Davanti a vicende così complesse andrebbero evitati demagogia e sarcasmo. In questi anni si è lavorato per migliorare il tenore di vita, al centro come in periferia, sappiamo che questo non è risolutivo, che resta ancora molto cammino, ma per occorre in questo senso la collaborazione di diversi soggetti».
L’altro profilo della questione è di politica giudiziaria. Il segretario nazionale del sindacato di polizia Uilsp, Michelangelo Starita, propone di identificare e se necessario segnalare ai servizi sociali i minori di 14 anni trovati da soli a mezzanotte nelle strade delle grandi città, magari profilando un’ipotesi di abbandono di minori. Il presidente del Tribunale per i minorenni di Napoli, Stefano Trapani, ragiona: «Un ragazzo che lavora non può all’improvviso trasformarsi in rapinatore. Evidentemente c’è qualcosa che sfugge a coloro i quali, genitori, scuola, assistenti sociali, dovrebbero invece individuare quei segni premonitori che certamente si registrano». Trapani rilancia due proposte: abbassamento dell’età imputabile al di sotto dei 14 anni e individuazione di responsabilità anche a carico dei genitori dei minori che delinquono. «Si fanno tante chiacchiere – afferma il magistrato – nessuno però suggerisce possibili rimedi. Col tempo, ne sono convinto, arriveremo alla possibilità di giudicare, non dico condannare, i minori all’età di tredici anni. Questo non risolverà tutti i problemi ma può servire». Contro la proposta di abbassare la soglia di imputabilità si era espressa, in un’intervista al Mattino, il procuratore per i minori di Napoli Luciana Izzo. «La visione della collega – commenta Trapani – è un po’ distante dalla realtà napoletana. Ma chi, come lei, viene da fuori, è giustificato».
L’inchiesta, intanto, continua. Ieri il pm Monica Campese ha disposto una perizia balistica, che andrà a integrare i risultati dell’autopsia, e interrogato per novanta minuti Thomas, il complice di Salvatore. Il ragazzo, che ha diciassette anni e deve difendersi dall’accusa di tentata rapina aggravata, ha ripetuto la sua versione dei fatti, quella che in alcuni punti contrasta con quella dell’agente. «Se le sue parole dovessero trovare conferma nelle perizie – afferma l’avvocato Lucia Cavallo, che assiste Thomas assieme a Alfonso Quarto – emergerebbero a nostro avviso profili di responsabilità a carico del poliziotto». L’avvocato Sergio Rastrelli, che difende l’agente (indagato per omicidio colposo per eccesso di legittima difesa) assieme a Angelo e Sergio Pisani, dice: «Qui non esiste una versione del poliziotto, al contrario ci sono una serie di dati obiettivi, come lo stato dei luoghi, i rilievi della Scientifica e le prime risultanse della perizia, tutti concordanti fra loro. Dunque non temiamo alcuna modifica del quadro istruttorio». DARIO DEL PORTO






Gli angeli nascosti di quell’inferno chiamato Scampia



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di CARLO NICOTERA




Victoria Silversted, superbonazza testimonial della fiera ”Oggi sposi”, imperversa su decine di cartelloni pubblicitari lungo corso Secondigliano in direzione di Scampia e lungo i vialoni del quartiere delle Vele, dove abitava il piccolo Salvatore Di Matteo. I capelli ossigenati, la bocca truccata oltre le linee naturali delle labbra, il seno spremuto da un wonderbra fuori del toppettino striminzito, sono uguali a quelli che esibisce una ragazzetta di dodici anni che esce dalla Virgilio IV, scuola media di Scampia. Cambiano l’altezza, il contesto, il profilo. Modello e imitatrice hanno in comune solo gli eccessi e la difficoltà della lingua, nessuna delle due parla italiano: la prima stenta in cadenza anglofona, l’altra parla (urla) solo in napoletano. Lontana Victoria, lontanissima la città vivibile.
Per arrivare qui, davanti al muro di antenne paraboliche che incrostano la fatiscenza delle Vele ancora in piedi, abbiamo fatto Corso Secondigliano. Un po’ di conti: otto anni fa (novembre ’94) stesso giro. I negozi più frequenti, dopo gli alimentari, sono quelli di arredamento, da ”Divani&Divani” a ”Interni d’autore”. Forse perché è meglio rendere speciale, confortevole e sempre nuova la propria casa, che aspettarsi che fuori cambi qualcosa, che tanto non cambia mai nulla. E infatti non un’insegna abusiva, non una facciata, non un marciapiede sono stati cambiati, puliti, rimessi a posto. Stesse ricchezze, stesse miserie. L’immutabilità delle cose è un deterrente naturale contro lo sviluppo, l’affrancamento, il progresso, evidente solo per il moltiplicarsi dei negozi di telefonia cellulare che otto anni fa erano una rarità.
È rimasto anche – tumefatto da sovrascritte e naturale erosione – quel lungo murales antiamericano «andarono caravelle… tornarono portaerei». E lì di fronte c’è un altro simbolo del non-cambiamento: il ”giardino” recintato che contiene macerie coperte d’erba, quel che resta dell’esplosione (gennaio ’96) che aprì la voragine nella strada e nella vita di undici persone. E quando arrivi a Scampia, ti accolgono immutati i palazzoni-alveare da cui i ragazzi scendono per incontrarsi e camminare sul «lungocarcere», come chiamano l’interminabile marciapiede, largo quanto quello di via Caracciolo, ma che si affaccia sul penitenziario, e su cui l’odore del mare non arriva neanche con lo scirocco.
Un quartiere maledetto, si dice. Un Giambellino del Sud senza un Giorgio Gaber a cantarlo e a sublimarlo nell’ironia. Impossibile d’altronde, perché questa disperazione è livida, come la giornata di pioggia di ieri e le ballate bronxiane di Beppe Lanzetta. Così, quando entri nell’accampamento di cinque tossici, dove ti accompagna Gino – coperto da una sciarpa per non farsi riconoscere – e calpesti un campo di siringhe, e ti perdi negli occhi strabici e senza orizzzonte dei suoi amici indifferenti alla pioggia, al piscio e al morire che qui non è mai dolce – pensi che il piccolo Salvatore, ”’O criaturo” come lo chiamano i coetanei che te lo raccontano, non aveva visto altro, non sapeva altro, non poteva sapere altro. Forse. Forse.
Forse. E non solo perché, almeno attraverso quelle paraboliche, oltre a qualche notizia, nelle case entra il mondo patinato e irreale della tv, non diversamente da come entrava nelle case della cupa Albania, da cui i profughi partivano sognando l’Eden. Ma anche perché qui ci sono piccole roccaforti di sensibilità e di resistenza all’abbandono, ed è ingiusto dimenticarlo nella crudezza delle cronaca nera e nei dibattiti a seguire: chi è il buono? chi è il cattivo? Chi può dirlo: qui innocenti e colpevoli abitano sullo stesso pianerottolo, dormono spesso nello stesso letto. E qui c’è gente che combatte ogni giorno non solo invocando la presenza delle istituzioni, ma usando due armi non esplosive e a lungo andare efficaci: parole e pazienza.
Nulla di eclatante, per carità, tanto è vero che lo scopri e te ne accorgi quasi per caso. Per esempio arrivando appunto nella media Virgilio IV, e incontrando, subito dopo la infelice copia della Silversted, Salvatore. Tredici anni, orecchino, cicatrice grossa sul mento («’a bicicletta»), cicatrice sulla mano sinistra («il ferro da stiro quand’ero piccirillo nella culla»), la voce già da adulto: «faccio ’a terza media. E dopo? mi piace o’ computer. Ma di più, o’ teatro. E ’st’anno vorrei ’na parte in italiano… voglio studià»…
Il teatro, proprio così. Te lo raccontano la vicepreside Silvana Casertano che insegna inglese («non è facile, le basi sono quelle che sono, ma ai ragazzi piace, forse perché con quelle parole capiscono le canzoni, vedono meglio il mondo che gira intorno, fuori dal ghetto, dentro lo schermo») e Tiziana Carotenuto, che cura il laboratorio teatrale: «A ragazzi come questi, senza regole, abituati a stare in mezzo alla strada, ribelli, non li puoi tenere fermi in un banco per cinque ore. Con i laboratori di sport, informatica, teatro, li occupiamo, coinvolgiamo le famiglie (che collaborano venendo qui due o tre pomeriggi alla settimana), li interessiamo. E l’anno scorso abbiamo vinto anche un concorso nazionale con l’Odissea, tradotta come ”La storia d’o povero Ulisse”».
«Piano piano cominciamo ad evere risultati – spiega la vicepreside – una alla volta, un’occasione dopo l’altra, le famiglie si avvicinano anche perché in casa si ritrovano figli più motivati, più consapevoli. E ora mamme e papà (quasi tutti a reddito zero, gente che si arrangia) sono venuti a chiedere di fare altre cose quest’anno e l’anno prossimo: ”non lasciateci soli”, sono venuti a dirci. A noi. Mentre il Comune non ci può sistemare l’impermeabilizzazione di un corridoio che porta alla palestra, che l’Asl ha chiuso, bloccando un’attività cruciale…».
E Salvatore ’O Criaturo? Quel passaggio improvviso dal ”gioco” alla morte? Ne parlano, diffidenti, i suoi coetanei, quelli con cui giocava a pallone o con la playstation. Le risposte non risolvono, ma fanno capire… «non è colpa di nessuno, le cose vanno così»… «l’hanno chiamato, tanti hanno detto no, lui ha detto sì»… «chi sbaglia paga, chi ce l’ha fatto fare?». E se lo dicevano a te? «…e che ne so»… E il poliziotto? «…Io voglio vedere se ti mettono ’na pistola in capa che fai…»… Ma tra di voi ne parlate? «,,, no, mai…»
La vicepreside Casertano li conosce a uno a uno: «Bisogna capire e vedere tante cose. Questi bambini non hanno strumenti: se una cosa tocca a loro, non sanno come regolarsi, non sanno come liberarsi dai modelli del branco, dai codici della strada. Se vedono le cose dal di fuori, sono capaci di grande lucidità, di grande equilibrio, di grande umanità. Presi da soli, a quattr’occhi, quando hanno capito che si possono fidare, che puoi anche vincere un braccio di ferro con loro, che gli riempi la vita con una cosa nuova, un interesse, una speranza… Beh, allora sono come angeli, che vorresti metterti in tasca e portarteli a casa». Come Salvatore, l’attore, che non abita più da queste parti, ma al Rione Amicizia che, visto dal centro di Napoli è un inferno, ma raccontato da lui che ha lasciato queste strade è bellissimo: «… da lì, a luglio, possiamo andare anche al mare…».




IL MATTINO – 9 GENNAIO 2002

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